mercoledì 2 giugno 2010

Piero Grasso (2)


Pur continuando a dirsi frainteso, il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, non riesce a farci capire come stiano davvero le cose. Si comincia sospettare che si rifugi intenzionalmente nell’ambiguità. Tutto inizia da alcune sue frasette esplosive sulle stragi mafiose degli anni 1992 e 1993. «Una dimostrazione di forza che, sconvolgendo, avrebbe dato la possibilità a un'entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l’intera situazione» nata dalle macerie di Tangentopoli. «Certamente Cosa nostra ha inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste». «La mafia ebbe in subappalto una vera e propria strategia della tensione». Questa la tripletta di Grasso. Tutti, ma proprio tutti, hanno pensato a Silvio Berlusconi. Fu infatti il Cav - e solo lui - a creare l’anno dopo le stragi «una nuova realtà politica», cioè Forza Italia (1994). Mettendo perciò le cose in fila, il Berlusca è «l’entità esterna» che incarica le coppole di creare il caos per permettergli di riportare l’ordine atteggiandosi a salvatore della patria. In cambio, Cosa nostra avrebbe avuto mano libera per le proprie imprese.

Ripeto che tutti, a sinistra come a destra, hanno interpretato così le dichiarazioni di Grasso. La sinistra, felice dell’occasione, ha ripreso lena nell’infangare il premier. La destra, indignata, ha parlato di parole «farneticanti». Lo stesso Napolitano, ha convocato l’altro ieri il procuratore al Quirinale per saperne di più. A nessuno, come è ovvio, fa piacere avere un premier stragista e mafioso. A questo generale sconvolgimento, si sottrae solo il dott. Grasso. Si dice sorpreso per le interpretazioni, ripete di non avere fatto nomi e di avere detto cose note. Il Giornale gli ha sollecitato l'altro ieri un'intervista di chiarimento. Gli avrei chiesto: intendeva riferirsi a Berlusconi e, se no, a chi?; «l’entità esterna» che aveva «appaltato» il caos alla mafia per «potere poi riprendere in pugno la situazione» era il Cav o, se no, chi altri?; la «nuova realtà politica» che «la mafia voleva favorire perché agevolasse le sue richieste» era Forza Italia e, se invece siamo tutti fuori strada, chi?; su che basi, egregio procuratore, ha creduto di potere dire ciò che ha detto: forse per le confidenze di Massimo Ciancimino o di Gaspare Spatuzza o che altro?, ecc.

Grasso ha preferito invece dare l’intervista alla Stampa. In essa manifesta doloroso stupore per essere stato equivocato anche «da autorevoli firme di importanti testate». Quindi, aggiunge, «è forse venuto il momento di chiarire». Ha invece affastellato confusione a confusione. Nessuno dei quesiti essenziali è stato chiarito. Grasso spiega di avere detto quelle cose in una circostanza e a una platea particolari. Era a Firenze nel diciassettesimo anniversario (il 26 maggio scorso) della strage di via Georgofili con i parenti delle vittime. «Un atto dovuto - spiega - verso questa gente che ha sofferto». Non dice se quanto dichiara ha fondamento e su che basi. Fa capire solo che era un giusto tributo ai parenti. In altre parole che - desumo - ritiene lecito per ragioni consolatorie alludere e fantasticare per non deludere le attese di chi soffre e vuole conoscere i responsabili. «Non era una riunione della Crusca», ha detto al sottoscritto in una breve telefonata. Ossia - si arguisce - che con i cruscanti non si sarebbe lasciato andare nello stesso modo. Prendiamo atto, che il procuratore ha una versione per i parenti e una per i non parenti. Non mi pare il massimo del senso di responsabilità. Ma c’entrano Berlusconi e i suoi? «Nessuno ha mai parlato di Berlusconi e di Dell’Utri», risponde Grasso alla Stampa. Anzi, aggiunge: «Io stesso ho firmato, con altri colleghi di Firenze, la richiesta di archiviazione per Berlusconi e Dell’Utri (per le stesse accuse di bombe e stragi, ndr). Era il 7 agosto del 1998. Una decisione che sarà poi richiamata in occasione di una seconda archiviazione a Caltanissetta, il 3 maggio 2002». Oh, finalmente un punto fermo: il Cav e Dell'Utri non c’entrano perché le accuse contro di loro, come mandanti delle stragi di Falcone, Borsellino, Georgofili, ecc. sono state archiviate ben due volte! Dunque, illustre procuratore, si è sbagliato a rinnovare l'allusione ai due tapini davanti ai parenti delle vittime il 26 maggio 2010? Troppo facile. Infatti, in un altro passaggio dell’intervista, Grasso dice: «Ho parlato (davanti ai parenti, ndr) di una trasversalità di interessi che contribuirono ad armare Cosa nostra».

Altro che trasversalità di interessi! Lei ha parlato di complicità con le coppole di «nuove realtà politiche». Questo è l’inedito che ci ha propinato una settimana fa e che ora ci sconvolge tutti perché fa pensare come due gocce d’acqua al Cav e a Fi. Purtroppo, la Stampa si lascia sfuggire l’obiezione e il procuratore fa l’ingenuo. Glissa se alluda al Cav e afferma che le cose dette ai parenti «non le dice lui: sono scritte in sentenze passate in giudicato» oltre che «in tre libri pubblicati dal 2001 al 2009». Tace però di cosa pensi lui davvero. Rimanda a quanto ha letto: la mafia, mettendo le bombe, voleva «generare tensione sociale nel Paese». E «l’entità esterna» e le «nuove realtà politiche» che, complici le coppole, dovevano poi salvare la patria? Da dove emerge il fatto, chi glielo ha detto? Silenzio. Chi ci capisce, è bravo.

Ora siamo a questo punto: il Cav non è il colpevole perché la sua posizione è stata biarchiviata, però è il solo che assomigli all’identikit del «nuovo soggetto politico in via di formazione» in quegli anni. O c’è qualcun altro? Vattelapesca. Resta la penosa impressione che il procuratore abbia lanciato il sasso e nascosto la mano. Probabilmente, ha fatto il passo più lungo della gamba o ha anticipato i tempi di una polpetta avvelenata ancora in cottura e ora mette la testa nella sabbia. Fin qui, Grasso passava per equilibrato. È stata la destra, proprio per la sua neutralità, ad appoggiarne la nomina nel 2005 a procuratore nazionale antimafia contro Gian Carlo Caselli, notoriamente schierato con il Pd. A farne il nome fu Luigi Bobbio, magistrato e deputato di An. Bobbio fece perfino approvare un emendamento all’ordinamento giudiziario per favorire Grasso contro Caselli. Ponti d’oro, insomma, a quello che pareva l’uomo giusto per separare il grano dal loglio nella sentina del pentitismo mafioso. Giudicate voi se lo sia ancora.

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