lunedì 17 ottobre 2011

Lobotomizzato

No, bhe, perchè SE fosse vero... (e visto che l'articolo e i giornalisti sono di repubblica, c'è da prenderlo con le pinze) bisogna pubblicarle queste cose per far capire bene CHI sono e come mai i vari movimenti non sanno mai niente di loro. Questo potenziale assassino, con tanti altri suoi compagnucci lobotomizzati come lui, si sono addestrati ad Atene. Il biglietto per la nave, chi glielo pagava, paparino? Ed è anche laureato. E questa dovrebbe essere la nuova generazione? E tra l'altro, mi piacerebbe anche sapere se quelli di repubblica lo hanno denunciato o sono suoi complici.


ROMA - E' un "nero". F. è pugliese, ha 30 anni all'anagrafe, una laurea, un lavoro precario e tutta la rabbia del mondo in corpo. Sabato le sue mani hanno devastato Roma. E lui, ora, ne sorride compiaciuto. "Poteva esserci il morto in piazza? Perché, quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?". Non i poliziotti o i carabinieri a 1.300 euro al mese su cui vi siete avventati, magari. Non quelli che pagano a rate le macchine che avete bruciato. Non il Movimento in cui vi siete nascosti. "Noi non ci siamo nascosti. Il Movimento finge di non conoscerci. Ma sa benissimo chi siamo. E sapeva quello che intendevamo fare. Come lo sapevano gli sbirri. Lo abbiamo annunciato pubblicamente cosa sarebbe stato il nostro 15 ottobre. Ora i "capetti" del Movimento fanno le anime belle. Ma è una favola. Mettiamola così: forse ora saranno costretti finalmente a dire da che parte stanno. Ripeto: tutti sapevano cosa volevamo fare. E sapevano che lo sappiamo fare. Perché ci prepariamo da un anno".

Vi preparate? F. sorride di nuovo. "Abbiamo fatto il "master" in Grecia".

Quale "master"? "Per un anno, una volta al mese, siamo partiti in traghetto da Brindisi con biglietti di posto ponte, perché non si sa mai che a qualcuno viene voglia di controllare. E i compagni ateniesi ci hanno fatto capire che la guerriglia urbana è un'arte in cui vince l'organizzazione. Un anno fa, avevamo solo una gran voglia di sfasciare tutto. Ora sappiamo come sfasciare. A Roma, abbiamo vinto perché avevamo un piano, un'organizzazione".

Quale organizzazione avevate? "Eravamo divisi in due "falangi". I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour. Altri 300 li proteggevano alle spalle, per evitare che il corteo potesse isolarli. L'ordine che avevano i 300 era di non tirare fuori né caschi, né maschere antigas, né biglie, né molotov, né mazzette fino a quando il corteo non avesse girato largo Corrado Ricci. Non volevamo scoprire con gli sbirri i nostri veri numeri. E volevamo convincerli che ci saremmo accontentati di sfasciare via Cavour. Ci sono cascati. Hanno fatto quello che prevedevamo. Ci hanno lasciato sfilare in via Labicana e quando ci hanno attaccato lì, anche la seconda falange dei 300 ha cominciato a combattere. E così hanno scoperto quanti eravamo davvero. A quel punto, avevamo vinto la battaglia. Anche se loro, gli sbirri, per capirlo hanno dovuto aspettare di arrivare in piazza San Giovanni, dove abbiamo giocato l'ultima sorpresa".

Quale? "La sera di venerdì avevamo lasciato un Ducato bianco all'altezza degli archi che portano in via Sannio. Dentro quel Ducato avevamo armi per vincere non una battaglia, ma la guerra. Il resto delle mazze e dei sassi lo abbiamo recuperato nel cantiere della metropolitana in via Emanuele Filiberto".

Sarebbe andata diversamente se avessero caricato subito il corteo in largo Corrado Ricci e vi avessero isolati. "Non lo hanno fatto perché, come ci hanno insegnato a fare i compagni greci, sono stati confusi dal modo in cui funzionano le nostre "falangi"".

Come funzionano? "Siamo divisi in batterie da 12, 15. E ogni batteria è divisa in tre gruppi di specialisti. C'è chi arma, recuperando in strada sassi, bastoni, spranghe, fioriere. C'è chi lancia o usa le armi che quel gruppo ha recuperato. E infine ci sono gli specialisti delle bombe carta. Organizzati in questo modo, siamo in grado di assicurare un volume di fuoco continuo. E soprattutto siamo molto snelli. Ci muoviamo con grande rapidità e sembriamo meno di quanti in realtà siamo".

È la stessa organizzazione con cui funzionano i reparti celere. "Esatto. Peccato che se lo siano dimenticato. Dal G8 di Genova in poi si muovono sempre più lentamente. Quei loro blindati sono bersagli straordinari. Soprattutto quando devono arretrare dopo una carica di alleggerimento. Prenderli ai fianchi è uno scherzo. Squarci due ruote, infili un fumogeno o una bomba carta vicino al serbatoio ed è fatta".

Parli come un militare. "Parlo come uno che è in guerra".

Ma di quale guerra parli? "Non l'ho dichiarata io. L'hanno dichiarata loro".

Loro chi? "Non discuto di politica con due giornalisti".

E con chi ne discuti, ammesso che tu faccia politica? "Ne discuto volentieri con i compagni della Val di Susa".

Sei stato in val di Susa? "Ero lì a luglio".

A fare la guerra. "Si. E vi do una notizia. Non è finita".

Il papà del black bloc? Un funzionario Bankitalia


Genova - Lo hanno fermato, come si dice in ambienti giudiziari, in flagranza di reato, mentre lanciava sassi contro la polizia. Accusa di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, annessa comunicazione ai familiari. Ed è a quel punto che, in questura, hanno strabuzzato gli occhi. Perché uno dei protagonisti della guerriglia che ha incendiato per ore le strade della Capitale, a un primo accertamento, risulta figlio d’un funzionario della Banca d’Italia. Istituzione nel mirino di tutti, Indignati e black-bloc, ancorché con forme diametralmente opposte. È solo uno dei dettagli che comincia a filtrare mentre accelerano le indagini sugli scontri fra “neri” e forze dell’ordine. Da due giorni ormai ininterrottamente in primis la Digos, ma pure il Ros dei carabinieri, lavorano infatti sul campo per dare un volto ai violenti e decifrare nel limite del possibile quel che è accaduto. Fissando un po’ di paletti: un segnale preciso ha rappresentato il la all’inferno, le devastazioni erano praticamente previste e in parte ritenute inevitabili, la presenza degli stranieri non era così massiccia come preventivato e però ne è rimasto qualche segno inquietante.

Chi sono, i venti fermati? Hanno tutti meno di trent’anni (dodici quelli finiti in carcere, altri otto denunciati a piede libero), cinque i romani, uno originario di Lecce ma studente a Bologna, uno di Brindisi, uno di Catania, in parte noti agli investigatori per fatti legati alla piazza, uno già segnalato per la partecipazione a un rave. Sei sono minorenni, quattro le donne. Fra i residenti nel Lazio, ma il dettaglio dello screening sarà più approfondito oggi, figurerebbe il figlio del bancario. Il quale, messo alle strette, non avrebbe negato la partecipazione a parte della guerriglia. Gli interrogatori saranno completati entro mercoledì, sebbene il numero degli indagati sia comunque destinato a salire: «Una decina di frame - è la conferma che arriva da più di un investigatore - è molto interessante, e nel giro di qualche giorno potrebbe rivelarci svariate identità. Solo il tempo d’isolarli e inviarli nelle principali questure per i riconoscimenti». C’è stato un momento preciso, ritengono Digos e Procura, nel quale i violenti hanno deciso di alzare il tiro dopo i primi saccheggi. Di radunarsi insomma nel cuore del corteo pacifico, che nella loro testa doveva trasformarsi in involontario scudo poiché inattaccabile dalla polizia: «Hanno sollevato una bandiera con uno smile giallo - spiegano gli inquirenti - e subito dopo sparato un fumogeno. Da quell’istante chi non aveva preso parte alle prime scaramucce, ha capito che doveva convergere verso gli altri incappucciati. E così è stato»

Non c’è più molto mistero, ormai, su quali siano stati gli alfieri dell’attacco frontale a vetrine, agenti e carabinieri. Dal centro sociale “Acrobax” di Roma all’“Askatasuna” di Torino (in prima linea pure nei cortei no Tav, che hanno a loro volta incendiato la tensione a ridosso dei cantieri piemontesi nei mesi scorsi); senza dimenticare il “Gramigna” di Padova e l’ormai conclamata saldatura con gruppuscoli ultrà perlopiù meridionali e frange dell’ultradestra. E la presenza degli stranieri, su cui si è favoleggiato a lungo? Una qualificata fonte investigativa, ancora ieri sera, la metteva giù semplice: «Ridottissima, in quanto il clou è stato in mano agli italiani. Ripercorrendo tuttavia le strade teatro dei blitz più duri, abbiamo trovato e fotografato scritte in greco, spagnolo e francese. Il che non vuol dire ci fossero greci a guidare la protesta estrema, ma un richiamo ai fatti di Atene evidentemente sì».

La gestione dell’ordine pubblico è stata impallinata da più parti, nelle ultime ore. Ma davvero il questore Francesco Tagliente e il prefetto Giuseppe Pecoraro si limitavano a generici «timori» che potesse accadere il peggio? «In realtà - ripete oggi uno dei poliziotti rimasto per ore in trincea - le avvisaglie andavano tutte in una direzione; riferivano cioè d’una pianificazione dettagliatissima del disastro (gli antagonisti in arrivo dal nord Italia avrebbero trovato ospitalità dai compagni romani, e da questi sono stati forniti pure di mappe). Si è semplicemente scelto di privilegiare a qualunque costo cinque obiettivi: palazzo Grazioli (dimora del premier), palazzo Chigi (sede del governo), Montecitorio (Camera), palazzo Madama (Senato) e palazzo Koch (Banca d’Italia). Partendo dal presupposto che un po’ di danni sarebbero stati inevitabili, che poteva andare persino peggio e che con il black bloc nel cuore del serpentone pacifico, non sarebbe stato possibile fare altro».

5 commenti:

Nico ha detto...

Questo è un infiltrato di Casa Pound! E' tutto organizzato!

A parte gli scherzi (per modo di dire): quell'altra bella storiella dell'infiltrato repubblichino che, in realtà, era un giornalista de Il Tempo?

http://www.iltempo.it/politica/2011/10/17/1293742-uomo_nero.shtml

Nessie ha detto...

Sentito l'intervista stamattina alla Radio. Fossi nella Magistratura aprirei subito un fascicolo su Repubblica che ha dato una vetrina e una ribalta a uno di questi casseur.

Mi hanno inviato questo link, prendilo con beneficio di inventario, ma pare che tutto questo movimento degli Indignados e affini sia l'ennesima "rivoluzione colorata" infiltrata dalla Finanza. E del resto non sarebbe una novità:

http://scienzamarcia.blogspot.com/2011/10/le-prove-che-il-movimento-del-15.html

marshall ha detto...

Se non è fantasia giornalistica, o di quell'esaltato intervistato, penso che lo Stato si dovrà difendere da questa banda di facinorosi criminali delinquenti. E, a quanto pare, lo dovrà fare con maniere "forti", e senza guardare in faccia ai soliti politicanti prezzolati, o certi personaggi pubblici che danno loro manforte.

Mi sembra una banda di matti. Ma i genitori non li hanno? Non pensano alle loro famiglie, che una volta scoperte verranno additate come la feccia dell'umanità?

Si dichiarano in guerra, contro chi?
Forti di questa loro decisione si sono arrogati il diritto di mettere a ferro e fuoco Roma, come fecero i barbari di storica memoria, senza che le nostre forze dell'ordine abbiano potuto fare nulla, perchè hanno le mani legate!!!

Eleonora ha detto...

Io non so se questi due di repubblica se lo sono inventato 'sto tizio (appunto, essendo giornalisti di repubblica, c'è da prendere ogni articolo con le pinze) ma molto di vero c'è. Perlomeno nel modo di muoversi, di distruggere e di aggredire, voglio dire, è roba paramilitare. Che andassero ad addestrarsi ad atene, era una cosa che si sapeva già.

Nico ha detto...

I soliti figli di papà, sai che strano!
E' inquietante il paragrafo finale del post: la Città lasciata scoperta per proteggere i cinque obiettivi sensibili. La prossima volta noi romani e, soprattutto, noi residenti dell'area in cui passano i cortei che dobbiamo fare? Scendere da soli a difenderci? Basta saperlo per tempo, che ci si organizza!