sabato 8 ottobre 2011

Via da confindustria


Quando aderivano entrambi al movimento dei Giovani imprenditori di Confindustria, lui era il presidente nazionale e lei la vicepresidente. Se a distanza di tre lustri il sodalizio s’è rotto, al punto tale che il primo non vuol più stare con la seconda, un motivo dovrà pur esserci. Di sicuro, testimoniano coloro che li conoscono bene, non è stato Alessandro Riello, presidente dal 1994 al 1996, a deviare dalla tradizione, bensì Emma Marcegaglia, che gli succedette nella carica dal 1996 al 2000, per poi insediarsi, otto anni dopo, ai vertici della Confindustria. Quella stessa Confindustria che Riello è arrivato a definire «una dea Kali» dalle mille braccia ormai insensibile alle necessità dei suoi stessi associati.

Ecco spiegati i motivi del clamoroso divorzio della società Giordano Riello international group dal «partito dei padroni», per usare il titolo di un libro scritto da Filippo Astone. Già da due anni, dunque ben prima della Fiat di Sergio Marchionne e delle Cartiere Paolo Pigna, il gruppo fondato nel 1961 dal padre di Alessandro Riello non fa più parte dalla Confindustria. Ne è uscito. Una botta pesante anche per i bilanci dell’associazione, considerato che la quota annuale («poco o tanto che fosse, non mi faccia dire qual era l’esborso, la prego») è rapportata alle dimensioni aziendali. E la holding veronese, specializzata nella produzione di impianti per il condizionamento e la climatizzazione, conta 1.500 dipendenti e fattura 270 milioni di euro con le aziende Aermec, Sierra, Fast, Elettrotest, Rpm, Aiax, Airlan operanti fra Italia, Ungheria, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.

«L’amministratore delegato della Fiat è un tipo senza peli sulla lingua. Speriamo che la sua rottura possa indurre finalmente al cambiamento. Confindustria finora ha fatto troppa politica e poca politica economica. Noi non siamo politici, il nostro mestiere è lavorare nelle nostre imprese», è la sentenza amara e senza appello di Alessandro Riello, che pure ha dedicato alla Confindustria molti anni della sua vita e molte energie: membro del comitato direttivo nazionale dal 1991 al 1998, presidente del premio Campiello patrocinato dalla Confindustria veneta, vicepresidente nazionale, presidente dell’Associazione degli industriali di Verona, vicepresidente della Federazione industriali del Veneto. Nel 2004 aveva declinato il pressante invito del presidente Luca Cordero di Montezemolo, che lo voleva a tutti i costi alla guida della Confindustria veneta.

«Mi aspettavo che Emma correggesse una deriva cominciata già da qualche anno: quella della politicizzazione di Confindustria», spiega Riello. «Invece non l’ha fatto. Da lei non è venuta alcuna spinta al cambiamento. Ho avuto la fortuna di frequentare i grandi vecchi, da Gianni Agnelli a Leopoldo Pirelli, fino a Cesare Romiti, e devo dire che, pur essendo portatori anche di interessi personali, mai e poi mai hanno smarrito il senso profondo della rappresentanza che un’organizzazione come questa deve avere».

Le difficoltà dialettiche all’interno di Confindustria sono evidenti da tempo, secondo Alessandro Riello, e gravate da tre nodi. «Primo: l’associazione è troppo condizionata dalla presenza di imprese private manifatturiere e grandi compagnie dell’ex parastato, che perseguono i loro interessi oligopolisti inconciliabili con i nostri. Secondo: Confindustria accoglie sempre più numerose le imprese del terziario e perciò da conf-industria è diventata conf-imprese. Terzo: è rimasta un’organizzazione molto centralizzata, che fatica a cogliere le differenze sul territorio e la domanda di cambiamento. A Roma non capiscono che ormai i rapporti sindacali e le trattative sulle retribuzioni devono avvenire nelle singole aziende o, al massimo, a livello territoriale. Invece Confindustria insiste sulla centralità nazionale. Assurdo. Viale dell’Astronomia dovrebbe occuparsi di regole generali, dei rapporti col governo, di crescita. E lasciar perdere invece le questioni che si risolvono più agevolmente all’interno delle singole imprese o in ambito provinciale».

Alessandro Riello non sa quantificare quante potrebbero essere le aziende venete pronte a divorziare dall’organizzazione guidata da Emma Marcegaglia: «Sono in grado soltanto di testimoniare che dentro la Confindustria non sono pochi a respirare un clima di disagio». Del resto anche suo cugino Ettore Riello, leader mondiale dei bruciatori e delle caldaie a muro, a capo di un gruppo che fattura 521 milioni di euro e ha 2.000 dipendenti, tempo fa in un’intervista al Giornale s’era detto pronto ad andarsene: «La Confindustria mi siringa 150mila euro l’anno e non ho ancora capito che cosa mi dà in cambio. Basta, esco». Ettore l’ha annunciato e non l’ha fatto. Alessandro non l’ha annunciato e l’ha fatto.

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