lunedì 15 agosto 2011

Punti di vista


Venerdì il governo ha preso decisioni che avranno notevole impatto sull'economia e la società italiana e questa volta, come era atteso da tempo, anche sul settore pubblico. Le singole misure sono analizzate e commentate in altre parti del giornale. Qui vorrei mettere in luce una scelta di fondo di cui non si è parlato, ma che non deve essere stata facile per il Presidente del Consiglio. Una scelta che, per le sue implicazioni, potrebbe cambiare l'impostazione di politica economica del governo Berlusconi nella parte restante di questa legislatura.

Di fronte alle perentorie richieste dell'Europa e dei mercati, il governo ha dovuto scegliere tra la via dell'irredentismo e la via della redenzione. Avrebbe potuto cercare di sottrarsi alle indicazioni del «podestà forestiero» (l'articolo di domenica scorsa, 7 agosto, ha dato luogo a un dibattito sul quale tornerò prossimamente) e rivendicare con spirito irredentista un maggiore spazio, quello che l'Unione Europea normalmente riconosce, per le scelte politiche nazionali. Invece ha deciso, con lucidità e rapidità, di imboccare una strada di redenzione o, in termini più asettici, di modifica di alcuni connotati di fondo che avevano caratterizzato, fin dall'inizio, l'impostazione di politica economica del governo.

E' comprensibile che l'inversione di rotta venga ora attribuita per intero all'aggravamento, innegabile, della crisi internazionale. Ma quei limiti - di natura politica, non tecnica - erano evidenti da molto tempo ed erano stati segnalati da più commentatori. Il ministro dell'Economia, di cui molti tendono oggi a dimenticare il merito di aver saputo mantenere un certo rigore di bilancio con un governo e una maggioranza poco inclini a tale virtù, non ha affrontato, né forse valutato, adeguatamente i problemi della competitività, della crescita, delle riforme strutturali indispensabili per rimuovere i vincoli alla crescita (il federalismo fiscale, oggi oggetto di dibattiti accesi, è stato spesso presentato come la riforma strutturale introdotta da questo governo).

Il Presidente del Consiglio, da parte sua, non ha mai mostrato di considerare l'economia - tranne l'agognata riduzione delle tasse - come una vera priorità del suo governo, né ha mai assunto un visibile ruolo di coordinamento attivo e di impulso della politica economica, come fanno da tempo gli altri capi di governo. Essi lo esercitano soprattutto nel promuovere la crescita, assistiti da un ministro dell'economia reale o dello sviluppo di alto profilo, oltre che nel garantire copertura politica al ministro finanziario, nella sua azione rivolta prioritariamente alla disciplina di bilancio. Negli ultimi tempi, invece, Berlusconi pareva spesso infastidito dall'arcigno Tremonti e dai suoi «no» agli altri ministri, più che dedicarsi alla guida strategica dello sviluppo, in raccordo con l'Europa (due responsabilità a lungo lasciate scoperte di titolari). Negli ultimi giorni, tutto pare cambiato. Il Presidente del Consiglio ha preso visibilmente la guida. Si è schierato, per amore o per forza, dalla parte del rigore. Almeno su questo, non dovrebbero più esserci contrapposizioni con il ministro dell'Economia.

Entrambi, dopo avere prestato scarsa attenzione alle raccomandazioni rivolte loro per anni dalla Banca d'Italia, si premurano di seguire ora le indicazioni - molto simili! - della Banca Centrale Europea. È una svolta positiva e importante, pur se avvenuta nella precipitazione e perciò con due conseguenze negative. Le misure adottate, che potrebbero ben chiamarsi «tassa per i ritardi italiani malgrado l'Europa» e non certo «tassa dell'Europa», non hanno potuto essere studiate con il dovuto riguardo all'equità e gravano particolarmente sui ceti medi. Inoltre, la priorità crescita, pur sottolineata dalla Commissione europea e dalla Bce, rischia di essere vissuta come «meno prioritaria», nella situazione di emergenza in cui l'Italia, soprattutto per sua responsabilità, è venuta a trovarsi. Crescita ed equità. Come molti osservatori hanno notato, è ora su questi due grandi problemi, trascurati nei primi tre anni della legislatura, che l'azione del governo, delle opposizioni e delle parti sociali dovrà concentrarsi, con un comune impegno come auspica il Presidente Napolitano. E ciò, ben inteso, non a scapito della finanza pubblica, ma anzi per rendere duraturi i progressi realizzati in quel campo.

Mario Monti

La lettera. «Non sparate nel mucchio degli statali». «Provo un senso di frustrazione e una rabbia enorme per i provvedimenti del governo»

Caro Direttore, non sono mai stato un «fannullone». Sono uno dei tanti dipendenti ministeriali di fascia media (guadagno 1.500 euro al mese) che da più di venti anni fa ogni giorno il suo dovere, conciliando il lavoro in ufficio e la famiglia, in una città caotica e difficile come Roma.

LA FRUSTRAZIONE - Ecco perché provo un senso di frustrazione e una rabbia enorme per i provvedimenti del governo che, ancora una volta, colpiscono tanti lavoratori pubblici bravi, onesti, professionalmente preparati (sono la stragrande maggioranza, le assicuro). Non bastava già il blocco dei contratti dal 2009 fino al 2014, la visita fiscale anche per un giorno di malattia, il taglio degli straordinari, delle missioni e di tutte competenze accessorie. Adesso dovremo persino aspettare più di due anni per prendere la liquidazione, cioè soldi nostri, messi da parte nell'arco di una vita, con tanti sacrifici e rinunce. Conosco tanti colleghi al mio ministero che dopo quarant'anni di lavoro pensavano di impiegare la liquidazione per rinnovare i mobili o per estinguere il mutuo di casa. È una mazzata per loro. Sappiamo che c'è da tirare tutti la cinghia in questo momento difficile per il nostro Paese. Avere il posto fisso di questi tempi è già una gran fortuna, rispetto a tanti lavoratori del settore privato disoccupati o in cassa integrazione. Ma questa fortuna non può trasformarsi sempre in un accanimento nei nostri confronti.

LE DIFFICOLTA' - Dove vogliamo arrivare? Facciamo già tanta fatica ad arrivare alla fine del mese, con il mutuo da pagare, le bollette, l'assicurazione, la benzina che aumenta ogni giorno di più. E sa quanto ci danno ogni giorno come buono pasto? Sette euro netti, che alla fine dell'anno vengono pure tassati. Io che lavoro al centro di Roma, posso assicurarle che con quella somma non ci prendi nemmeno un tramezzino. Eppure ogni volta che c'è da tagliare si pensa solo a noi: agli statali. Per questo mi domando e le chiedo, Direttore: da quali menti così fantasiose sia potuto uscire ora un provvedimento che affida ai dirigenti più solerti e «risparmiatori» la responsabilità di elargire la tredicesima mensilità ai dipendenti pubblici? Ma perché debbo pagare io se magari il mio capufficio non è all'altezza del suo compito? O per la negligenza di qualche collega lavativo? Non le pare assurdo sparare così nel mucchio? Spero che tutti i sindacati reagiscano a questa palese ingiustizia nei nostri confronti.

LA RAGIONE - Qual è la ratio di questo provvedimento se non quello di una vendetta trasversale, di una specie di ricatto nei confronti dei dirigenti o degli amministratori locali che potranno scaricare su di noi l'incapacità a far quadrare i conti dello Stato? Riducessero ai politici, ai manager ed ai dirigenti la tredicesima e le ricche competenze accessorie! Siamo stanchi di pagare per responsabilità o colpe che non sono le nostre. Facessero davvero, non a parole, una seria lotta all'evasione fiscale, agli sprechi e alle ruberie, colpendo tutti quelli che anche quest'anno le ferie le stanno facendo in barche di lusso intestate a società fasulle o di comodo. Noi poveri ministeriali, che paghiamo le tasse con la ritenuta alla fonte fino all'ultima lira, ci accontentiamo come Fantozzi delle ferie in una spiaggia affollata. Ora mi hanno detto che con questa manovra, il dirigente potrà trasferire da una città all'altra gli statali senza colpo ferire. Un'altra punizione francamente insopportabile. In certi momenti mi sembra che parlino di bestie e non di persone in carne ed ossa che hanno una famiglia ed il desiderio di condurre una vita normale, in tempi già di per sé difficili.

Dipendente del ministero degli Interni Michele Ciervo

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