martedì 2 agosto 2011

Multikulti (punti di vista)


Beppe Severgnini è rimasto sorpreso dal massacro di Utoya perché crede di conoscere il mondo facendo conferenze agli Italians. Il giorno dopo Utoya racconta che tre anni, fa guardando la Norvegia dalla terrazza di un hotel, si era detto: “ecco l’Europa come dovrebbe essere”. La Norvegia non fa neppure parte dell’Unione Europea, ha rifiutato di entrarvi con due referendum e non ha aderito all’euro come la Danimarca, che ha appena chiuso le frontiere. Per questi paesi, l’Europa è spesso l’estero, abroad, come per la Thatcher. Chi conosce un po’ l’Europa del Nord, purtroppo, non si è stupito di Utoya, perché Norvegia, Danimarca, Olanda, come la Gran Bretagna, hanno aperto all’immigrazione extraeuropea dagli anni ’50 e ’60. Anche se la Scandinavia ha soltanto un milione di immigrati residenti, mentre l’Italia ne ha quattro e mezzo, il Nord Europa ha avvertito da vari anni problemi che il Regno Unito affronta soltanto adesso. Diversamente dalla Scandinavia, l’Olanda ha aderito all’Ue e all’euro, ma negli anni ’90, quando il 9/11 era inimmaginabile, era preoccupata per il trattato di Schengen, angosciata dalle nostre frontiere a due passi dall’Africa, convinta che sarebbe stata inondata da arabi e africani per colpa della nostra polizia, in combutta con la mafia come tutti gli italiani. Se nell’Europa del Nord, come in Europa, non ci fossero stati in questi anni partiti di destra, che hanno dato voce al disagio per la società multietnica, ci sarebbero state violenze peggiori di quella di Utoya. È quindi un bene che esistano partiti che portano nell’arena politica la critica al razionalismo astratto del multiculturalismo, con argomenti che sono quelli della destra conservatrice o della destra tout court, perché in Europa la destra non si definisce “liberal” da tempo.

In Occidente il termine “liberal” non è più collegato alla libertà, ma all’uguaglianza e definisce da tempo la sinistra, non la destra. La destra europea ed americana ha avuto liberisti come la Thachter e Reagan, ma non si definisce “liberal”, perché p.e. non ritiene che gli omosessuali uguali agli eterosessuali e non crede abbiano diritto al matrimonio. Cameron rifiuta il multiculturalismo e basta vedere le decisioni del suo governo per capire che è un liberista, ma è un conservatore, perché non crede che qualsiasi straniero abbia diritto alla cittadinanza britannica soltanto perché appartiene alla specie umana. L’Italia ha l’esclusiva di avere una “destra liberale”, perché solo da noi la destra teme di essere definita fascista. Berlusconi è considerato un pericoloso nazionalista sciovinista dal Times e dall’Economist, che non fanno una piega quando Cameron dice di rifiutare il multiculturalismo; anzi, durante l’ultima campagna elettorale, il Times di Murdoch e Harding ha addirittura denunciato un complotto laburista per favorire l’immigrazione e assicurarsi un nuovo vivaio elettorale. Inappuntabili liberal olandesi, preoccupati dello sciovinista Berlusconi o dalla xenofoba Lega, raccontano al ritorno di ogni viaggio dal Sud Africa come i pochi bianchi rimasti vivano in stato d’assedio, in pericolo di vita, e come un bianco non possa girare per strada da solo senza essere aggredito, picchiato e derubato da gruppi di ragazzini neri. Mentre imprecano contro lo sciovinista Berlusconi, parlano dei soliti boeri che avevano portato la vite in Sud Africa, rimpiangono l’apartheid perduta e quando pensano ai boeri ricordano anche la secessione delle Fiandre del 1830 appoggiate dagli inglesi, che li avevano invece aiutati insieme ai francesi nella Guerra degli Ottant’anni per sottrarle agli Asburgo d’Austria e di Spagna.

Dopo il 9/11, nei paesi europei che hanno avuto imperi nell’800, affini al Regno Unito, con governi laburisti, come quello di Blair, che bombardavano afghani e iracheni e difendevano il multiculturalismo, mentre a Londra gli inglesi nativi dopo l’attacco del 7 luglio non osavano prendere la metropolitana per la paura di un attentato, si è persa la sicurezza. Per questo, gli inglesi a cui non dispiacevano le guerre di Blair e un nuovo impero – si pensi a Niall Ferguson – hanno votato Cameron, un conservatore coerente e realista. Un conservatore inglese non avrebbe certo problemi a fare una guerra per rifare l’impero, ma in tempo di guerra avrebbe almeno la prudenza di non fare entrare nel Regno Unito qualsiasi straniero e certamente non dai paesi o dall’area geopolitica con cui è guerra, come si è fatto in Gran Bretagna fino al 1945. Anche da questa schizofrenia è nato il massacro dei giovani laburisti a Utoya.

Marcello Veneziani si è arrabbiato con Michele Serra, perché ha definito Breivik di destra, accostandolo a Oriana Fallaci e alla Lega, però nel manifesto del terrorista sono affastellate idee che potrebbero trovarsi anche nei testi della Fallaci, donna con guizzi intelligenti, la cui islamofobia non condivido, pur ritenendo dannoso il multiculturalismo, come Giovanni Sartori, che ha dedicato al tema un libro che molti dovrebbero rileggere attentamente. Nel manifesto di Breivik vi sono anche idee di Roger Scruton, che ha più volte messo in rilievo come il terrorismo islamico sia una risposta ai tentativi di secolarizzare e americanizzare i musulmani. Per Scruton, quando l’architetto Mohamed Atta lanciò l’aereo dell’American Airlines contro il World Trade Center, non stava esprimendo solo il risentimento per l’alta finanza americana, ma anche il rancore contro l’architettura razionalista sulla quale aveva fatto la tesi, dove ricorda Aleppo, devastata dai grattacieli che ne hanno distrutto l’identità musulmana.

Per Scruton, Atta intendeva protestare contro una civiltà, quella occidentale, che distruggeva la sua. Purtroppo, la propaganda della guerra in Afghanistan e in Iraq, due guerre il cui obiettivo principale era americanizzare i paesi arabi per fare business più che trovare Bin Laden, ha messo in secondo piano la ragione principale per la quale Bin Laden aveva attaccato le Twin Towers: Bin Laden non voleva basi americane in terra araba. Il rifiuto di basi americane e dell’americanizzazione non comportava però per Bin Laden, prima della Guerra del Golfo del 1991, la rinuncia ad avere rapporti e fare affari con l’Europa e gli Stati Uniti; la famiglia Bin Laden era in ottimi rapporti con i Bush, gli americani e gli europei. Arabi ed europei hanno fatto affari per secoli, rispettando differenze religiose, culturali, giuridiche, di costume, così come si sono combattuti, hanno cercato gli uni e gli altri di sopraffarsi, si sono occupati, sono stati respinti. Non è però mai accaduto che i turchi assediassero Oslo, né invadessero la Gran Bretagna come i sassoni, i celti, i romani.

I conflitti tra arabi e cristiani sono rimasti per secoli circoscritti all’area del Mediterraneo. I cristiani si sono anche combattuti e ammazzati tra di loro in Europa, come gli arabi se le sono date tra di loro. È la banalità della storia, dove paci e guerre si alternano continuamente. La situazione cambiò radicalmente per gli arabi, quando a difendere l’Egitto dall’invasione di Napoleone non si presentò un generale egiziano, ma l’ammiraglio Nelson. La frustrazione e la rabbia nasce negli arabi quando diventano terra di conquista e di scambio per chiunque. I popoli di un impero secolare che era arrivato ad assediare Vienna e a fare paura a tutti si trovano a essere occupati, colonizzati, scambiati; a vedere i loro tesori e simboli trafugati. Al British Museum si prova disagio di fronte alle mummie e alla Stele di Rosetta, arraffata da Napoleone, passata poi in mano a Nelson e portata in Inghilterra come trofeo. Se dà fastidio a un’italiana che conosce la storia romana, gli archi di trionfo romani, cosa può provocare in un arabo?

Difficile gli arabi possano avere fiducia negli inglesi che li convinsero a lottare contro i turchi alleati dei tedeschi nella prima guerra mondiale con la promessa dell’indipendenza e poi li truffarono. Nella seconda guerra mondiale combatterono con i tedeschi per liberarsi dagli inglesi e non andò bene neppure allora. Avevano il petrolio e Ford aveva scoperto il capitalismo di massa, un’auto per tutti, da pagare a rate, assicurare, che cambiava non solo le strade, ma abitudini, comportamenti, mentalità. Nascevano i Mad Men. Il grande business del moto, principio fondamentale da Aristotele a Hobbes, al centro del quale c’era il petrolio. Il Medio Oriente non è diventato un’area di conflitti perché agli ebrei è stato concesso di avere uno Stato in Palestina, ma perché il controllo del petrolio da parte delle grandi compagnie americane ha reso di fatto impossibile la sovranità degli Stati arabi e africani, invitati da americani e sovietici e ribellarsi agli imperi europei.

Il risentimento degli arabi nei confronti degli ebrei, non nasce tanto da odio religioso, nasce dalla percezione di Israele come uno Stato creato dagli occidentali per danneggiarli. E’quindi follia razionalista, prova di irrazionalistico senso di onnipotenza, pensare di trasformare in inglesi o europei, capaci di combattere perfino con noi i propri paesi d’origine, uomini e donne che per sopravvivere lasciano la propria terra di cui non sono di fatto più padroni da secoli, pronti anche a fare i lavori più umili, per mandare i soldi alle famiglie o per fare figli, sperando di tornare a casa. L’Europa non è un continente da popolare come gli Stati Uniti, né ha mai rapito uomini e donne dall’Africa per farli lavorare nei campi. Gli afro-americani, discendenti degli schiavi, sono in genere cristiani, non musulmani, hanno perso l’identità religiosa e culturale, ma non quella etnica e preferiscono eleggere come rappresentanti neri non bianchi. Cosi i latinos preferiscono eleggere latinos, quando possono, e difendono la propria lingua e cultura. Nel caso dei latinos, la resistenza nel conservare identità linguistica e culturale è sostenuta dalla vicinanza col Sud America, che parla spagnolo.

Lo stesso accade in Europa con africani e arabi per i quali l’Africa e il penisola araba sono vicini. In Europa arabi e africani non perdono identità, come i latinos in America del Nord. La guerra in Afghanistan e in Iraq con l’idea dell’effetto domino per secolarizzare e americanizzare i musulmani, ha provocato una reazione di solidarietà degli immigrati musulmani in Europa con i paesi arabi attaccati: la reazione più leggera è stata quella delle donne che hanno cominciato a indossare lo chador, la più forte quella dei giovani anglo-arabi che sono andati a combattere in Afghanistan o in Iraq. Sono reazioni naturali e solo un razionalismo astratto può immaginare di eliminarle, quando si combatte una guerra a poche ore di volo da Londra. E’ poco realistico sperare nell’effetto domino di paesi, che parlano le nostre lingue, studiano nelle nostre università, possono comprare le migliori armi o produrle, mentre noi non conosciamo neppure le loro lingue e dialetti. Così tentare di cavalcare le rivolte arabe ha fatto perdere a Obama la simpatia iniziale.

La politica di Obama nei paesi arabi e in Africa è la continuazione di quella di Bill Clinton, che portò alla guerra di Serbia e alla creazione del Kosovo. Il fatto che Breivik protesti nel suo manifesto contro la guerra alla Serbia non significa che questa guerra fosse nell’interesse dell’Europa, né che Breivik difenda la Serbia nell’interesse dell’Europa. Il Kosovo è la regione dove i serbi avevano costruito monasteri e chiese cristiane e il fatto che sia stato occupato dai turchi dal 1400 al 1912 e la maggioranza musulmana degli abitanti ne abbia reclamato la sovranità alla morte di Tito, non significa affatto come afferma Noel Malcolm, corrispondente del Guardian, studioso di Hobbes e di Marcantonio De Dominis, che i serbi non avessero diritti su questo territorio. La tesi di Malcolm, che ha dedicato un libro alla storia della Serbia, non sta in piedi, perché, in base ai suoi principi, non si capisce perché l’Onu non sia intervenuta nel 1982 contro il Regno Unito, quando Margaret Thatcher attaccò l’Argentina per le Falkland o Malvinas. Le isole fanno parte integrale del territorio dell’Argentina, erano deserte, abitate da pastori argentini nel 1825, nel 1833 sbarcarono gli inglesi, vi fecero una base: da allora gli inglesi le considerano proprie e non si capisce quali diritti avessero di reclamare la sovranità su delle isole dell’America del Sud, dove hanno piantato la bandiera soltanto 150 anni fa.

Brievik ritiene il Kosovo un precedente pericoloso, perché qualsiasi insediamento musulmano in Norvegia o in Inghilterra potrebbe diventare un nuovo stato musulmano, ma è difficile immaginare gli Stati Uniti e la Nato a bombardare la Gran Bretagna o uno dei suoi alleati storici come la Norvegia, la Danimarca e l’Olanda. Nell’interesse di Breivik per la Serbia c’è del torbido, come nella guerra contro la Serbia e negli interessi, le passioni, i fantasmi del passato che hanno contribuito a smembrare l’ex Jugoslavia alla morte di Tito. I Balcani sono una zona nevralgica dell’Europa: dai Balcani non è solo partito il colpo di pistola che provocò la prima guerra mondiale, la distruzione degli imperi centrali e la destabilizzazione dell’Europa, ma anche la Guerra dei Trent’anni che devastò l’Europa più della seconda guerra mondiale e ne spezzò l’unità politica e religiosa. La Guerra dei Trent’anni scoppiò nel 1619 in Boemia, attuale repubblica ceca, e fu attivata dalla fondamentalista protestante Elizabeth Stuart, nata nel castello di Falkland in Scozia, e dal marito, Federico V, elettore del Palatinato, leader dei principi protestanti tedeschi.

Frances Yates ha descritto il delirio suscitato tra i fondamentalisti protestanti inglesi e scozzesi dalle nozze di Elizabeth col principe tedesco e le fantasie di abbattere gli Asburgo e “riformare” Roma, traboccante di corruzione cattolica. La Yates descrive il mondo rosacrociano di Heidelberg di Federico V, protestanti ostili agli Asburgo, che si richiamavano ai Templari e alimentarono poi le logge massoniche. Su Brievik, cristiano, massone e templare, aleggia il fantasma della fondamentalista Elizabeth, esiliata dal padre Giacomo I all’Aia, sconfitta nella battaglia della Montagna Bianca, vicino a Praga, e sbeffeggiata dai papisti col titolo di regina d’inverno. Il fantasma di Elizabeth svolazzò anche su Hitler, perché Elizabeth, idolo di tutti i protestanti nemici degli Asburgo, si prese la rivincita con la figlia Sofia che sposò Ernst August di Hannover e suo nipote, Georg Ludwig di Hannover, che non parlava una parola d’inglese, diventò re d’Inghilterra col nome di Giorgio I e fu il primo principe brit elettore del Sacro Romano Impero, mentre sua figlia Sofia Dorotea diventò regina di Prussia. Il sogno di Elizabeth fu rotto da Napoleone che terremotò l’Europa ed eliminò il Sacro Romano Impero, ma attraverso Elizabeth iniziò la tradizione britannica di avere una casa reale tedesca, fino ai Sassonia-Coburgo-Gotha che nel 1917 dovettero cambiare il nome in Windsor. Fu questa tradizione di sovrani con “sangue” tedesco a trarre in inganno Hitler, che credeva nel “sangue”, e a pensare che l’Inghilterra si sarebbe alleata con la Germania se avesse sconfitto la Russia. Il legame di Breivik con Hitler è tutto in questo impasto di miti protestanti, rosacrociani e volontà di potenza che hanno già prodotto in Europa troppe guerre di religione e nel Mediterraneo non si sente certo il bisogno di nuovi Templari, né di guerre di civiltà.

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