Immigrati tunisini protestano contro i rimpatri. E le proteste degli isolani. Lampedusa in fiamme. Il Cie devastato dalla rivolta. In fuga 800 persone. 300 agenti in assetto antisommossa al campo di calcio
LAMPEDUSA– Mille tunisini in rivolta hanno incendiato i materassi delle camerate distruggendo il centro accoglienza da dove chiedevano di andare via. E la più rovente estate di Lampedusa finisce tra le fiamme, sotto una nube acida che si alza verso il cielo e ricade sul centro abitato, fra gli alberghi, per fortuna con meno di dieci feriti e intossicati. Un incendio per fuggire dall’isola, per dire no ai rimpatri diretti sull’asse Lampedusa-Tunisi. Una rivolta guidata dai più violenti dei 1.200 ospitati nel devastato Cie, mentre dieci minori arrivati venerdì con un barcone annaspano terrorizzati, centinaia di immigrati fuggono da contrada Imbriacola verso le stradine del paese e una teoria di disperati compare fra i pub del corso, invade il molo, il porto, la costa davanti ad alberghi, pensioni e case dei turisti, incrociando i pompieri, scappando alla vista dei cellulari della polizia, dileguandosi in parte fra I sentieri di campagna.
NOTTE AL GELO - Un inferno nell’isola senza pace dove il campo sportivo diventa ancora una volta rifugio notturno, simile ad una prigione, per fortuna sotto un cielo terso, ma spazzato da un vento gelido. Triste replay che porta indietro alle immagini sconvolgenti di febbraio o marzo, alla “collina del disonore”, annullando la mole di promesse frattanto rovesciate qui da tutti i potenti. A cominciare da Silvio Berlusconi, fino alle recentissime rassicuranti visite lampo del sottosegretario all’interno Sonia Viale e del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Tanto che il sindaco Dino De Rubeis aveva provato a rasserenare gli animi di commercianti e albergatori, a far calare la tensione dei suoi concittadini riferendo venerdì scorso una telefonata con il ministro Roberto Maroni: «Mi ha garantito che mille tunisini entro un paio di giorni saranno trasferiti tutti in altri centri sparsi sul territorio italiano. Mi ha anche spiegato le difficoltà che ci sono state per i rimpatri dei giorni scorsi. Maroni dovrà a breve tornare in Tunisia, per rimodulare gli accordi ma questa volta, lo farà insieme a Frattini ed interagiranno con i rispettivi ministri di quello Stato...».
«E’ UNA GUERRA» - Ma al quarto giorno da quelle parole, tossendo, coprendosi la bocca per cercare di non respirare fumo, esplode la rabbia di quest’omone che ha sempre teso la mano agli immigranti: “Questa è ormai una guerra e i cittadini di Lampedusa reagiranno. Anche perché non abbiamo di fronte la massa dei profughi sub sahariani, ma centinaia di giovani tunisini che vogliono tutto e subito con arroganza, proprio come delinquenti, pronti a mettere a repentaglio la nostra e la loro vita”.
“CI SCAPPA IL MORTO” – Che la situazione sia incandescente lo conferma il responsabile del poliambulatorio Pietro Bartolo, il medico arruolato da De Rubeis come assessore alla Sanità: “Ho soccorso gli intossicati, compreso un immigrato paraplegico al quale avevo fatto avere una sedia a rotelle sperando che lo portassero in un altro centro italiano. Invece li fanno restare qui anche due mesi e con tutta la buona volontà delle forze di polizia il Centro diventa una bomba ad orologeria, stanchi ed esauriti come sono questi disperati. Che cosa si aspetta? Qui prima o poi ci scappa il morto”.
TUTTO PREVEDIBILE – Che l’incendio del Centro fosse prevedibile lo avevano ribadito con ripetuti allarmi le organizzazioni umanitarie. È il caso di “Save the Children”, adesso preoccupata per le condizioni inaccettabili in cui sono ospitati tanti minori. Ovvero dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Italia, come spiega Flavio Di Giacomo, responsabile della comunicazione: «Da giorni all’interno della struttura di accoglienza si era creata un’atmosfera molto tesa a causa dell’alto numero di migranti tunisini, oltre 1.300, e per la seconda volta in due anni e mezzo ci troviamo di fronte a un incendio che mette a rischio l’incolumità di migranti e operatori».
CARCERE A CIELO APERTO – A scrivere «adesso basta» sono Lino Maraventano e Rosangela Mannino, presidente e vicepresidente dell’associazione che riunisce commercio, turismo e servizi: «Non possiamo più sopportare che Lampedusa e Linosa siano utilizzate come un carcere a cielo aperto e si possa consentire l’arrivo sull’isola di migliaia di immigrati al giorno... Lampedusa non é Alcatraz, non è uno specchietto per le allodole, vuole essere liberata da una morsa che la sta letteralmente soffocando». Al di là delle distanze politiche, l’appello al governo per non lasciare l’isola in balia di un’emergenza continua parte anche dal Pd e dalla leader di Legambiente Giusi Nicolini, responsabile della riserva protetta: «Non si può perdere altro tempo per trovare soluzioni concrete rendendo civile la vita di chi sta qui e di chi arriva in cerca di aiuto». Cresce comunque la rabbia mentre un volo speciale ne porta via cento in una notte che non finisce mai. Svegli i vigili del fuoco costretti a controllare i residui focolai di un padiglione ormai da abbattere e svegli i trecento agenti in assetto antisommossa raccolti attorno al campo di calcio, stipato da tunisini decisi a tutto pur di andare via da Lampedusa, ma senza essere rimpatriati.
2 commenti:
Io i danni li farei pagare a quelli che ancora mi vengono a dire che l'immigrazione è una risorsa, che ce li dobbiamo prendere tutti, che pure noi siamo stati emigranti e blablabla. Ma tanto non andrà così, perché pagheremo noi e pagheremo due volte: per i danni che hanno fatto e per il costo sociale che questa gente, una volta immessa sul territorio nazionale, richiederà.
maroni e frattini ancora in tunisia? E' come mandare Stanlio e Ollio a questo punto... che credibilità ha un paese che si fa mettere in scacco da 'sta orda barbarica? Dovrebbero dire al governo tunisino 'i danni li pagate voi e ve li riprendete senza tante storie e le prox carrette o ritornano indietro o spariamo loro addosso'. Questo dovrebbe dire e FARE un governo serio...
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