venerdì 17 dicembre 2010

Ancora sulle merde di piazza


Il Grande bluff del Pd, ripiombato negli anni Settanta: agenti «infiltrati», sbirri pronti a sparare, professionisti d’incidenti istruiti in questura. Prove? Nessuna. Indizi? Nemmeno. Sospetti? Tanti, sbirciando foto o spezzoni di video su internet che si riveleranno un boomerang per chi li ha incautamente utilizzati. Dopo le pietre alle forze dell’ordine, a lanciare il sasso in politica ci ha pensato la senatrice Anna Finocchiaro: «C’erano evidentemente degli infiltrati che hanno messo a rischio i manifestanti e le forze dell’ordine. Chi li ha mandati? Chi li paga? Cosa devono causare?». Purtroppo per la Finocchiaro, e per chi l’ha pensa come lei, questa storia degli infiltrati è una bufala commovente.

1) Lo «sbirro» smascherato: Per ore sul web, in tv e persino in Parlamento, si è fantasticato sull’infiltrato della polizia col giaccone beige, sciarpa bianca, viso incappucciato, guanto rosso, che - giurano i fan della Finocchiaro - finge di accanirsi sul corpo di un finanziere. In altre immagini lo «sbirro smascherato» viene ridicolizzato dai commenti postati in serie mentre lancia un bidone o mulina una pala: «Un vero attore» ridacchia il web. Attore consumato, visto le urla lanciate ai poliziotti e riprese da un cameraman studentesco: «Sono minorenne». Tutta scena. L’asserito poliziotto travestito spunta sempre nei punti più infuocati della città. E questa cosa, ohibò, ai più è sembrata sospetta al pari delle manette e del manganello trovati in suo possesso: ecco, è uno sbirro infiltrato. E invece quel finto manifestante in realtà è un teppista vero, che le manette e il manganello aveva personalmente fregato al finanziere tramortito a terra. Un minorenne per giunta, S.M., studente del liceo romano Caetani, catalogato nel collettivo Senza Tregua, figlio di un esponente dell’estremismo rosso degli Anni ’70, con precedenti per rissa e resistenza a pubblico ufficiale. Altro che Actor Studios: verrà arrestato per rapina aggravata. Pure il mistero sul suo primo fermo, e successivo rilascio, è stato chiarito: il ragazzo era stato bloccato per un episodio diverso rispetto a quello dell’aggressione al finanziere, fotosegnalato e poi rilasciato, in attesa del riscontro della documentazione acquisita durante gli scontri.

2) Stesse scarpe per agenti e Black bloc: Altra foto, ennesimo bidone. La didascalia non inganna: finanzieri aggrediscono manifestanti, ma c’è un giallo. Quale? A ben guardare l’immagine, un manifestante sembra un infiltrato. Nel groviglio c’è un dettaglio che cattura l'attenzione dei reporter: gli stivali delle forze dell’ordine e quelli degli studenti sono identici. Tali e quali anche nel marchio ovale, colorato di giallo, sotto il carrarmato gommato della suola. È la prova delle prove. Così, almeno, viene spacciata online. Ma è una comica patacca: l’immagine si riferisce a scontri avvenuti a giugno dall’altra parte del mondo. Non si tratta di picchiatori finanzieri ma di agenti antisommossa canadesi...

3) La pistola impugnata dal finanziere...: A chi s’è scandalizzato per la foto del finanziere con la pistola in mano, sopraffatto da sprangate e bombe carta, bisognerebbe chiedere cosa sarebbe successo se quello stesso finanziere, per salvare la pelle, avesse sparato in aria oppure alla cieca come il carabiniere Placanica sotto attacco di Carlo Giuliani e di altri non global nel 2001 a Genova. Miracolosamente è rimasto calmo. Ha impugnato la rivoltella solo perché nel pestaggio era scivolata fuori dalla fondina e grazie alla cordicella attaccata al calcio l’ha sottratta ai teppisti che s’erano fregati manette e manganello. Nelle foto l’arma è sempre rivolta verso il basso, mai ad altezza d’uomo. L’altra mano, poi, è spesso sopra la pistola: se avesse fatto fuoco l’appuntato avrebbe perso tutte e cinque le dita.

4) La rivoltella in mano al carabiniere: Altro capolavoro lo fa il quotidiano il Manifesto. Fotografie ritraggono un maresciallo dei carabinieri del «Battaglione Campania» con una pistola nella mano destra, non impugnata. Nell’articolo, e nella didascalia, si evita di raccontare la storia per intero: e cioè che il sottufficiale ritratto aveva appena recuperato l’arma di un collega di nome Paolo portato via con l’ambulanza perché ferito a una gamba da un palo della segnaletica divelto dai Black bloc all’angolo tra via del Plebiscito e via Astalli, vicino la residenza del premier. Il maresciallo non faceva altro che mettere in sicurezza l’arma del collega finito all’ospedale. Al Manifesto, dove lavorano gli ex terroristi rossi Francesco Piccioni e Geraldina Colotti, se ne sono fregati pensando al doppio senso di un titolo a effetto: «Fiducia nell’Arma».

5) Il carretto delle munizioni di Stato: Altro argomento surreale quello del camioncino pieno di pietre lasciato di proposito a disposizione dei manifestanti vicino Palazzo Madama. Lo scrive il Fatto, riprendendo il tam tam del pomeriggio che imputava al governo la sciagurata decisione di non togliere dal centro storico il furgone con gli attrezzi dei lavori in corso Rinascimento. Testuale: «Resta però da capire, per esempio, cosa ci facesse un camion pieno di mattonelle “a disposizione” dei manifestanti sotto il Senato. Lo stesso tipo di camion che due anni fa riuscì ad entrare in piazza Navona, durante altri scontri, pieno di mazze e bastoni». Stesso tipo di camion, stessa zona, stessa situazione. La solita idiozia.
 
E dopo essere stati liberati da certa magistratura criminale, dopo che la sinistra li difende, ieri sera è sceso in campo anche Sant'Oro che in diretta decide di fare "apologia di reato". (E noi coglioni, tramite il canone rai lo paghiamo lautamente)

Premiati i devastatori di Roma di Massimo De Manzoni

Tutti liberi. E senza alcuna restrizione: da ieri i 23 manife­stanti fermati nel corso dei violentissimi scontri che martedì han­no devastato il centro di Roma possono tornare a girare per le strade della Capitale. E, all’occorren­za, metterle di nuovo a fer­ro e fuoco. I giudici si dico­no certi che non lo faran­no: scrivono che nei con­fronti dei giovanotti ci so­no «gravi indizi di colpe­volezza», ma ritengono che il paio di notti trascor­se in carcere siano suffi­cienti a «dissuaderli dalla reiterazione di analoghe condotte delittuose». Ci sarebbe quasi da con­gratularsi per lo straordi­nario sussulto garantista di magistrati che, nel re­cente passato, questo Giornale aveva aspra­mente criticato per ragio­ni opposte. Il tribunale di Piazzale Clodio, infatti, è lo stesso che ha lasciato per tre mesi in cella il fon­datore di Fastweb, Silvio Scaglia, malgrado non sussistesse alcuna delle tre condizioni (pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazio­ne del reato) previste dal­la legge per la carcerazio­ne preventiva. E quando poi l’ha tirato fuori di gale­ra, l’ha spedito agli arre­sti domiciliari, dove tutto­ra si trova da ormai sette mesi. Ed è sempre quel tri­bunale che nel maggio scorso aveva tenuto in guardina per otto giorni un ragazzo accusato di violenza nei confronti di alcuni poliziotti malgra­do un video dimostrasse al di là di ogni ragionevo­le dubbio che le violenze era stato lui a subirle. In questo caso, invece, mano di velluto in guan­to di velluto. Troppo. E le congratulazioni rimango­no nella penna. Perché questo, più che garanti­smo, sembra eccesso di garantismo: le ferite infer­te alla città di Roma san­guinano ancora ed è intol­lerabile pensare che chi le ha provocate ci possa ri­provare subito. Stavolta, infatti, il rischio di reitera­zione del reato è concre­to, concretissimo. Già mercoledì prossimo i guerriglieri tornano al­l’assalto del Parlamento: al Senato si approva la ri­forma Gelmini e i colletti­vi universitari, ispiratori dell’ultima manifestazio­ne, della quale rivendica­no con un comunicato ogni singolo atto di vio­lenza (altro che la favola dei black bloc venuti dal­­l’estero), informano che porteranno ancora in piazza la loro «rabbia dif­fusa». Ora, per molti dei teppi­sti messi in libertà ieri il processo è fissato per il 23 dicembre, vale a dire il giorno dopo l’annuncia­ta nuova ondata di tumul­ti. Era proprio scandalo­so trattenere i fermati in custodia cautelare fino a quel momento? Chi si è dimenticato in cella Sca­glia e tanti altri come lui avrebbe davvero perso il sonno a causa dei rimorsi di coscienza? E i signori magistrati non sono stati neppure sfiorati dal so­spetto che tanto buoni­smo sarà interpretato da­gli hooligan degli atenei come un sostanziale via li­bera per le loro prossime prodezze? Nessuno, sia chiaro, vuole giustizia somma­ria. Ma tanta disparità nei trattamenti (persecutori per qualcuno, arrendevo­li per altri) lascia sbalordi­ti. Tanto da indurre il so­spetto che la matrice ideo­logica della protesta, quelle bandiere rosse che garrivano nel corteo, il patrocinio del Pd («infil­trati, infiltrati») e il fatto che il bersaglio alla fine sia il governo Berlusconi, abbia avuto il suo peso. Ma non fateci caso: sia­mo noi cattivoni del Gior­nale che pensiamo sem­pre male.

2 commenti:

Massimo ha detto...

I magistrati ci hanno detto che sfasciare una città, picchiare gli agenti, distruggere beni pubblici e privati, bloccare la libertà di circolazione non sono reati da galera ma, al massimo, da 24 ore in guardina.
Ce ne ricorderemo quando ci arriverà la prossima multa per aver passato un varco "Sirio" ...

P.S.: lo sfondo nero ... nooooo ! Poveri occhi ! :-)

Maria Luisa ha detto...

//OT

Guarda che cosa sta succedendo in Emilia:
http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/2010/12/17/430444-ginocchio.shtml

Maria Luisa