martedì 7 dicembre 2010

Ucoii


A chi spetta scrivere le regole per la formazione degli imam? Secondo il presidente dell’associazione musulmani moderati Gamal Buchaib toccherebbe al Comitato per l’Islam italiano, l’organismo istituito a febbraio dal ministero dell’Interno per integrare la galassia che ruota intorno alle moschee di cui finora è stato orgogliosamente uno dei 19 membri. Ma quando ieri mattina ha letto sul Corriere della Sera che a Gazzada, provincia di Varese, s’erano «diplomati» i primi 28 musulmani «accreditati presso le prefetture quali interlocutori privilegiati sull’islam» ha preparato una letteraccia per chiedere a Maroni a cosa serva il Comitato. In poche ore Buchaib ha raccolto il malumore di diversi colleghi, alcuni dei quali decisi ad andarsene se il Viminale non farà chiarezza. Sarebbe la seconda falla dopo la rinuncia dell’ex ambasciatore Scialoja, dimissionario ad aprile perché solo 2 degli 8 relatori dei primi gruppi di lavoro erano musulmani. Stavolta a mettere in allarme Buchaib e gli altri è che tra i professori del corso ci siano Alessandro Ferrari, docente di diritto ecclesiastico all’Università dell’Insubria, e l’islamista della Cattolica Paolo Branca, entrambi membri del Comitato. E che tra gli allievi figurino nomi legati Ucoii, l’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia che il Viminale aveva volutamente escluso dalla rosa dei consulenti perché sospettata di flirtare con ambienti radicali.

«Ci avevano detto che era un seminario d’educazione civica e noi avevamo sorvolato sul fatto che partecipassero degli imam fai-da-te, ma così si sanano predicatori d’odio dando loro legittimità» insiste Buchaib, che coordina 140 associazioni e 20 mila iscritti. Perché l’annunciato imprimatur delle prefetture suona tanto come un bypassaggio. «Come mai non siamo stati interpellati tutti? Sembra che qualcuno voglia cacciare gli integralisti dalla porta per farli rientrare dalla finestra» aggiunge da Torino Abdellah Mechnoune, giornalista e imam con tanto di diploma rilasciato in Marocco. Un altro membro è pronto a mettere in discussione dieci mesi di lavori: «A che serve il Comitato? Ci sono finanziamenti pubblici dietro l’iniziativa di Gazzada? Dobbiamo rimpiangere Amato che aveva allontanato con gentilezza i radicali per rivolgersi chiaramente ai moderati, ora avviene il contrario». Il professor Ferrari, appena tornato dall’Iran, getta acqua sul fuoco. «Si tratta di un semplice corso di educazione civica che non diplomerà alcun imam, come i miei colleghi già sapevano» assicura. Sulla sua linea è il vicepresidente della Comunità Religiosa islamica Yahia Pallavicini, un altro dei 19 di Maroni: «Dividerci è sbagliato. Il corso è una bella iniziativa didattica utile per l’addestramento alla cittadinanza ma è una cosa diversa dal Comitato, non può in alcun modo formare gli imam». La miccia però, è accesa. «Non possiamo legittimare chi predica come se fosse in Afghanistan» chiosa Buchaib. E l’imam Mechnoune si rivolge a Maroni: «Lavoriamo insieme per isolare i fanatici». Nel caso non avesse capito, arriveranno una lettera e un’interrogazione parlamentare.

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