martedì 21 dicembre 2010

Gasparri e il 7 aprile


Il 7 aprile è un ricordo lontano. Maurizio Gasparri lo ha fatto cadere sul dibattito politico e sociale di questi giorni, con Roma ancora sfregiata dalla violenza di un manipolo di studenti ma­scherati, come una provocazione. Gli effetti non sono stati leggeri. Il processo 7 aprile ci riporta al clima degli anni di piombo. È il famoso teorema giudiziario del giudice Calogero con cui si cercava di fare i conti con le responsabilità storiche e penali degli anni di piombo. Sotto accusa finiscono i vertici di Potere operaio, la classe dirigente dei maestri della rivoluzione che aveva Toni Negri come capo carismatico. Non è mai stato facile distinguere le sue responsabilità morali da quelle penali. In quegli anni la lotta armata era vissuta come una necessità storica e nelle assemblee parolaie dei movimenti rivoluzionari non era un tabù. La storia ci dice che il terrorismo nasce da quelle parole, ma poi non tutti i destini personali seguono la stessa storia. Qualcuno ha preso le armi e ammazzato, altri si sono fermati alla predicazione violenta. Negri non era un giovane studente, ma un docente universitario. Ma nessuno oggi pensa, come teorizzava Calogero, che fosse lui il grande vecchio delle Br. Il sasso di Gasparri, forse eccessivo, si inserisce in questo gioco già parecchio ingarbugliato. Cosa dice il capogruppo dei senatori pidiellini? Dopo quello che è successo a Roma forse diventa necessario isolare e processare chi c’è dietro la guerriglia urbana, tutti nomi noti alle forze dell’ordine.Lo spirito delle parole di Gasparri è fermare la deriva di un potenziale ritorno alle P38 prima che sia troppo tardi. Gasparri ha esagerato? Forse. Quegli anni erano un’altra storia.

Non c’è un’ideologia rivoluzionaria forte. Nessuno è convinto che la rivoluzione sia dietro l’angolo.C’è rabbia,frustrazione, c’è la paura verso un futuro incerto, ma la benzina per ridare fuoco alla società è vecchia e annacquata. Le paure di Gasparri non si basano però sul nulla. Il 15 dicembre su giornali, blog e social network vari si sono rivisti i vecchi filosofi dell’anticapitalismo tornare sulla cattedra. Sofri ha espresso soddisfazione per quei volti semicoperti. «Bifo» Berardi non ha fatto mancare l’ennesima profezia, ci aspettano dieci anni di scontri frontali. La domanda è capire se siamo ancora immuni da certi virus. I ventenni del 2010 non hanno vissuto sulla pelle quegli anni. Ne hanno sentito parlare, ma non è la stessa cosa. Non sono protetti da vaccini. Gasparri ha esagerato, ma in qualche modo faceva notare tutto questo.

La risposta che è arrivata è ancora più pericolosa. La risposta non è il vaccino. È un frammento di quel vecchio virus. Dalla sinistra illuminata è rimbalzata di nuovo la parola fascista. Gasparri è un fascista, come prima di lui lo è stato il La Russa di Annozero. È una reazione da anni di piombo. È la logica da guerra civile degli anni ’70.È una non risposta. Gasparri mette le mani avanti. Ma chi lo critica sta camminando a marcia indietro. Gasparri fa capire che anche i giudici che lasciano andare senza pagar pegno i violenti innescano un meccanismo pericoloso. Fanno passare il concetto che la guerriglia è legittima. Bisogna fissare un limite. Mettere un paletto. E in questo gli italiani si stanno mostrando più saggi. L’ultima cosa che vogliono è rivivere le follie del passato. Non trovano morale e normale le auto bruciate ai bordi delle strade. Non chiamano tutto questo rivoluzione, ma vandalismo senza giustificazioni. È per questo che non serve portare i nuovi cattivi maestri in tribunale, sono stati già condannati dalla storia e dal buon senso.

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