giovedì 16 dicembre 2010

Quando i comunisti cedettero lo stato alla mafia

Trattative tra lo Stato e Cosa nostra Scalfaro e Ciampi dai pm quattro ore di Anna Maria Greco

Roma - Due ex capi di Stato ascoltati a Roma dai magistrati di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra, tra il ’92 e il ’93. Per quasi quattro ore, prima Oscar Luigi Scalfaro e poi Carlo Azeglio Ciampi hanno risposto come testimoni alle domande del pm della Dda Antonio Di Matteo, del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e del suo capo Francesco Messineo. Il primo era presidente della Repubblica, quando il patto tra i boss e parte delle istituzioni sarebbe stato stretto. Il secondo era presidente del Consiglio. Le loro dichiarazioni, ora secretate, riguardano pagine cruciali della nostra storia. C’è stata davvero una resa dello Stato alla mafia, che ha presentato le sue richieste nel famoso «papello» passato da Totò Riina a Vito Ciancimino? E fu tolto il carcere duro, il 41 bis, ad oltre 140 mafiosi proprio per venire incontro a quelle richieste? Cosa nostra, insomma, ricattò lo Stato piazzando le autobomba anche al Nord e ottenne così un allentamento della tensione «militare» nell’ordine pubblico e benefici per i mafiosi detenuti? Che cosa c’è dietro agli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e alle bombe a Milano, Firenze e Roma? Perché fu sostituito Nicolò Amato ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria?

Le risposte dei due senatori a vita ai pm sono top secret, ma completano un quadro arricchito dagli interrogatori sulla questione del 41 bis, fatti ieri e martedì a Roma a funzionari che nel’92 e nel ’93 erano al Dap e al Viminale. Colloqui con «spunti investigativi importanti». A novembre i magistrati palermitani hanno ascoltato Amato e l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, che aveva già dichiarato alla commissione parlamentare Antimafia di non aver rinnovato nel ’93 il 41 bis a 140 detenuti, per evitare altre stragi mafiose. Si temeva che ci potesse essere un colpo di Stato, ha detto Ciampi in un’intervista, ricordando che i telefoni di Palazzo Chigi rimasero del tutto isolati per alcune ore, nella notte del 28 luglio 1993, quella degli attentati contemporanei a Milano e a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Anche su questo Ciampi ha risposto alle domande dei pm siciliani. E il Pdl ha chiesto la sua audizione e quella di Scalfaro in commissione Antimafia.

L’organismo parlamentare presieduto da Giuseppe Pisanu sta svolgendo la sua inchiesta parallela. Ieri avrebbe dovuto sentire Amato, ma l’audizione è stata rinviata. «Se il 41 bis non ci fosse stato - ha dichiarato l’allora capo del Dap, ai margini della riunione - non ci sarebbe stata trattativa tra Stato e mafia. Il che non vuol dire che andava tolto, ma sostituito». La Commissione acquisirà agli atti l’originale della circolare del Dap (ne ha una copia) che il 6 marzo 1993 riferiva di riserve del capo della polizia, Vincenzo Parisi e del ministero dell’Interno, sull’«eccessiva durezza» del 41 bis, «strumento eccezionale e temporaneo». Chiedeva la revoca in blocco dei decreti per sostituirli con una legge che consentisse la registrazione dei colloqui in carcere tra mafiosi e parenti. Era indirizzata a Giuseppe La Greca, ex capo di gabinetto di Conso, che ieri ha risposto alla commissione con tanti «non so». I pm di Palermo devono ancora ascoltare un altro protagonista: l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Anche per chiedergli se incontrò Borsellino, come risulta dall’agenda del giudice. Parlò con lui della trattativa? Lui ha sempre negato il colloquio. «Troppi segreti - commenta Maurizio Gasparri del Pdl - in attesa di sapere la verità, per ora ancora oscura, restiamo convinti che ci fu una vera e propria resa dello Stato alla mafia nel ’93, quando fu revocato per centinaia di boss il regime del carcere duro. Perché? Chi lo decise? Possibile che Ciampi e Scalfaro non sapessero nulla? Abbiamo il diritto di sapere chi fece questo “regalo” alla mafia».

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