Il Grande bluff del Pd, ripiombato negli anni Settanta: agenti «infiltrati», sbirri pronti a sparare, professionisti d’incidenti istruiti in questura. Prove? Nessuna. Indizi? Nemmeno. Sospetti? Tanti, sbirciando foto o spezzoni di video su internet che si riveleranno un boomerang per chi li ha incautamente utilizzati. Dopo le pietre alle forze dell’ordine, a lanciare il sasso in politica ci ha pensato la senatrice Anna Finocchiaro: «C’erano evidentemente degli infiltrati che hanno messo a rischio i manifestanti e le forze dell’ordine. Chi li ha mandati? Chi li paga? Cosa devono causare?». Purtroppo per la Finocchiaro, e per chi l’ha pensa come lei, questa storia degli infiltrati è una bufala commovente.
1) Lo «sbirro» smascherato: Per ore sul web, in tv e persino in Parlamento, si è fantasticato sull’infiltrato della polizia col giaccone beige, sciarpa bianca, viso incappucciato, guanto rosso, che - giurano i fan della Finocchiaro - finge di accanirsi sul corpo di un finanziere. In altre immagini lo «sbirro smascherato» viene ridicolizzato dai commenti postati in serie mentre lancia un bidone o mulina una pala: «Un vero attore» ridacchia il web. Attore consumato, visto le urla lanciate ai poliziotti e riprese da un cameraman studentesco: «Sono minorenne». Tutta scena. L’asserito poliziotto travestito spunta sempre nei punti più infuocati della città. E questa cosa, ohibò, ai più è sembrata sospetta al pari delle manette e del manganello trovati in suo possesso: ecco, è uno sbirro infiltrato. E invece quel finto manifestante in realtà è un teppista vero, che le manette e il manganello aveva personalmente fregato al finanziere tramortito a terra. Un minorenne per giunta, S.M., studente del liceo romano Caetani, catalogato nel collettivo Senza Tregua, figlio di un esponente dell’estremismo rosso degli Anni ’70, con precedenti per rissa e resistenza a pubblico ufficiale. Altro che Actor Studios: verrà arrestato per rapina aggravata. Pure il mistero sul suo primo fermo, e successivo rilascio, è stato chiarito: il ragazzo era stato bloccato per un episodio diverso rispetto a quello dell’aggressione al finanziere, fotosegnalato e poi rilasciato, in attesa del riscontro della documentazione acquisita durante gli scontri.
2) Stesse scarpe per agenti e Black bloc: Altra foto, ennesimo bidone. La didascalia non inganna: finanzieri aggrediscono manifestanti, ma c’è un giallo. Quale? A ben guardare l’immagine, un manifestante sembra un infiltrato. Nel groviglio c’è un dettaglio che cattura l'attenzione dei reporter: gli stivali delle forze dell’ordine e quelli degli studenti sono identici. Tali e quali anche nel marchio ovale, colorato di giallo, sotto il carrarmato gommato della suola. È la prova delle prove. Così, almeno, viene spacciata online. Ma è una comica patacca: l’immagine si riferisce a scontri avvenuti a giugno dall’altra parte del mondo. Non si tratta di picchiatori finanzieri ma di agenti antisommossa canadesi...
3) La pistola impugnata dal finanziere...: A chi s’è scandalizzato per la foto del finanziere con la pistola in mano, sopraffatto da sprangate e bombe carta, bisognerebbe chiedere cosa sarebbe successo se quello stesso finanziere, per salvare la pelle, avesse sparato in aria oppure alla cieca come il carabiniere Placanica sotto attacco di Carlo Giuliani e di altri non global nel 2001 a Genova. Miracolosamente è rimasto calmo. Ha impugnato la rivoltella solo perché nel pestaggio era scivolata fuori dalla fondina e grazie alla cordicella attaccata al calcio l’ha sottratta ai teppisti che s’erano fregati manette e manganello. Nelle foto l’arma è sempre rivolta verso il basso, mai ad altezza d’uomo. L’altra mano, poi, è spesso sopra la pistola: se avesse fatto fuoco l’appuntato avrebbe perso tutte e cinque le dita.
4) La rivoltella in mano al carabiniere: Altro capolavoro lo fa il quotidiano il Manifesto. Fotografie ritraggono un maresciallo dei carabinieri del «Battaglione Campania» con una pistola nella mano destra, non impugnata. Nell’articolo, e nella didascalia, si evita di raccontare la storia per intero: e cioè che il sottufficiale ritratto aveva appena recuperato l’arma di un collega di nome Paolo portato via con l’ambulanza perché ferito a una gamba da un palo della segnaletica divelto dai Black bloc all’angolo tra via del Plebiscito e via Astalli, vicino la residenza del premier. Il maresciallo non faceva altro che mettere in sicurezza l’arma del collega finito all’ospedale. Al Manifesto, dove lavorano gli ex terroristi rossi Francesco Piccioni e Geraldina Colotti, se ne sono fregati pensando al doppio senso di un titolo a effetto: «Fiducia nell’Arma».
5) Il carretto delle munizioni di Stato: Altro argomento surreale quello del camioncino pieno di pietre lasciato di proposito a disposizione dei manifestanti vicino Palazzo Madama. Lo scrive il Fatto, riprendendo il tam tam del pomeriggio che imputava al governo la sciagurata decisione di non togliere dal centro storico il furgone con gli attrezzi dei lavori in corso Rinascimento. Testuale: «Resta però da capire, per esempio, cosa ci facesse un camion pieno di mattonelle “a disposizione” dei manifestanti sotto il Senato. Lo stesso tipo di camion che due anni fa riuscì ad entrare in piazza Navona, durante altri scontri, pieno di mazze e bastoni». Stesso tipo di camion, stessa zona, stessa situazione. La solita idiozia.
E dopo essere stati liberati da certa magistratura criminale, dopo che la sinistra li difende, ieri sera è sceso in campo anche
Sant'Oro che in diretta decide di fare "
apologia di reato". (E noi coglioni, tramite il canone rai lo paghiamo lautamente)
Premiati i devastatori di Roma di Massimo De Manzoni
Tutti liberi. E senza alcuna restrizione: da ieri i 23 manifestanti fermati nel corso dei violentissimi scontri che martedì hanno devastato il centro di Roma possono tornare a girare per le strade della Capitale. E, all’occorrenza, metterle di nuovo a ferro e fuoco. I giudici si dicono certi che non lo faranno: scrivono che nei confronti dei giovanotti ci sono
«gravi indizi di colpevolezza», ma ritengono che il paio di notti trascorse in carcere siano sufficienti a
«dissuaderli dalla reiterazione di analoghe condotte delittuose». Ci sarebbe quasi da congratularsi per lo straordinario sussulto garantista di magistrati che, nel recente passato, questo Giornale aveva aspramente criticato per ragioni opposte. Il tribunale di Piazzale Clodio, infatti, è lo stesso che ha lasciato per tre mesi in cella il fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia, malgrado non sussistesse alcuna delle tre condizioni (pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato) previste dalla legge per la carcerazione preventiva. E quando poi l’ha tirato fuori di galera, l’ha spedito agli arresti domiciliari, dove tuttora si trova da ormai sette mesi. Ed è sempre quel tribunale che nel maggio scorso aveva tenuto in guardina per otto giorni un ragazzo accusato di violenza nei confronti di alcuni poliziotti malgrado un video dimostrasse al di là di ogni ragionevole dubbio che le violenze era stato lui a subirle. In questo caso, invece, mano di velluto in guanto di velluto. Troppo. E le congratulazioni rimangono nella penna. Perché questo, più che garantismo, sembra eccesso di garantismo: le ferite inferte alla città di Roma sanguinano ancora ed è intollerabile pensare che chi le ha provocate ci possa riprovare subito. Stavolta, infatti, il rischio di reiterazione del reato è concreto, concretissimo. Già mercoledì prossimo i guerriglieri tornano all’assalto del Parlamento: al Senato si approva la riforma Gelmini e i collettivi universitari, ispiratori dell’ultima manifestazione, della quale rivendicano con un comunicato ogni singolo atto di violenza (altro che la favola dei black bloc venuti dall’estero), informano che porteranno ancora in piazza la loro
«rabbia diffusa». Ora, per molti dei teppisti messi in libertà ieri il processo è fissato per il 23 dicembre, vale a dire il giorno dopo l’annunciata nuova ondata di tumulti. Era proprio scandaloso trattenere i fermati in custodia cautelare fino a quel momento? Chi si è dimenticato in cella Scaglia e tanti altri come lui avrebbe davvero perso il sonno a causa dei rimorsi di coscienza? E i signori magistrati non sono stati neppure sfiorati dal sospetto che tanto buonismo sarà interpretato dagli hooligan degli atenei come un sostanziale via libera per le loro prossime prodezze? Nessuno, sia chiaro, vuole giustizia sommaria. Ma tanta disparità nei trattamenti (persecutori per qualcuno, arrendevoli per altri) lascia sbalorditi. Tanto da indurre il sospetto che la matrice ideologica della protesta, quelle bandiere rosse che garrivano nel corteo, il patrocinio del Pd
(«infiltrati, infiltrati») e il fatto che il bersaglio alla fine sia il governo Berlusconi, abbia avuto il suo peso. Ma non fateci caso: siamo noi cattivoni del Giornale che pensiamo sempre male.
2 commenti:
I magistrati ci hanno detto che sfasciare una città, picchiare gli agenti, distruggere beni pubblici e privati, bloccare la libertà di circolazione non sono reati da galera ma, al massimo, da 24 ore in guardina.
Ce ne ricorderemo quando ci arriverà la prossima multa per aver passato un varco "Sirio" ...
P.S.: lo sfondo nero ... nooooo ! Poveri occhi ! :-)
//OT
Guarda che cosa sta succedendo in Emilia:
http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/2010/12/17/430444-ginocchio.shtml
Maria Luisa
Posta un commento