martedì 28 dicembre 2010
Il fallimento (anche senza i sondaggi)
Fini è fallito di Fausto Carioti
Più sono grandi, più fanno rumore quando cadono. Gianfranco Fini non è mai stato un titano della politica e questo spiega perché il suo crollo, invece di «boom», stia facendo «plof». La caduta del presidente della Camera però colpisce lo stesso, se non altro per la rapidità con cui è avvenuta. Nel giro di pochi mesi il leader di Fli è stato adottato da Repubblica e almeno metà della sinistra; promosso ad avanguardia della gloriosa revolución antiberlusconiana; scaricato un istante dopo la bocciatura della mozione di sfiducia, appena cioè il delfino di Giorgio Almirante si è rivelato incapace di svolgere l’omicidio per il quale era stato assoldato. Come riconosciuto dalla politologa farefuturista Sofia Ventura, «se la galassia finiana esiste è perché i giornali di sinistra l’hanno legittimata». Verissimo, ma da adesso in poi Fini dovrà reggersi sulle proprie gambette. A sinistra hanno preso atto che la sua “spinta propulsiva” si è esaurita. Futuro e libertà e il suo capo potranno ancora tornare utili di quando in quando, ma per entrare a palazzo Chigi con la borsa in pelle di Caimano quelli del Pd dovranno rivolgersi a qualcun altro. Intanto tocca celebrare le esequie dello sventurato. Le parole giuste per il più sbrigativo dei requiem le trova su Repubblica il politologo Ilvo Diamanti. Il quale riassume così gli ultimi risultati dell’Atlante politico, il sondaggio periodico realizzato dalla sua Demos: «La valutazione su Fini crolla. I giudizi positivi nei suoi confronti (29%) si dimezzano rispetto alla primavera scorsa. E calano di circa nove punti nell’ultimo mese. (…) Fini ha perso e ne paga le conseguenze. Insieme al suo partito. Fli, infatti, perde quasi tre punti, nelle stime di voto, attestandosi poco sopra il 5%. A vantaggio del PdL, che ritorna sopra il 28%». Sic transit gloria mundi.
Uno sguardo all’indietro aiuta a capire meglio quanto sia precaria l’esistenza umana, e quella di Fini in particolare. Nell’aprile del 2009, quando egli era ancora il secondo leader del PdL, nell’Atlante politico di Diamanti si leggeva che «Fini, con il 59% dei consensi, si conferma nel ruolo di personaggio politico più amato dagli italiani». Lo scorso giugno, con lo strappo ormai imminente, Demos lo metteva sempre in cima alla classifica: «Nel gradimento dei leader, Berlusconi (43%) è superato da Fini (54%) e Tremonti( 52%)». A settembre, dopo la nascita di Fli, Diamanti scriveva che «Fini ha perduto molta della fiducia di cui disponeva in passato. Ma è, comunque, ancora molto popolare (41,7% di giudizi positivi). E la sua formazione politica, Fli, nelle stime elettorali ha superato il 6%». Erano i giorni della speranza, in cui a sinistra si pensava davvero di poter mandare Silvio Berlusconi a casa – fuori dai confini italiani, se possibile – grazie ai volenterosi compagni camerati. Tanto che a novembre, sempre nelle rilevazioni di Demos, il partito di Fini superò addirittura la soglia dell’8%, quella che garantisce l’entrata in Senato anche in orgogliosa solitudine, senza alleati. Poi è venuto il momento della delusione, che ha fatto presto a trasformarsi in freddezza. Così oggi, per usare le parole della Ventura, i giornali di sinistra non «legittimano» più la «galassia finiana». Anzi, l’hanno scaricata senza complimenti, scoprendo con ritardo che un leader di partito non può fare il presidente della Camera e accodandosi a chi (come Libero) chiede da mesi le dimissioni di Fini dalla guida di Montecitorio. A questo abbandono si sommano gli effetti della delusione della base di Fli, che proviene in buona parte dall’antiberlusconismo di destra e che in certi casi sembrava disposta persino a digerire l’accordo con i post-comunisti per raggiungere l’obiettivo. Mancato il bersaglio e retrocessi dalle prime pagine ai trafiletti della politica, i resti delle truppe finiane discendono in disordine e senza speranza quei sondaggi che avevano risalito con orgogliosa sicurezza: un crollo come quello di Fli –che secondo Demos in un mese ha perso un voto su tre – e il dimezzamento del gradimento del suo leader in meno di un anno non trovano precedenti nella seconda Repubblica. La laude a Pier Ferdinando Casini apparsa ieri sul quotidiano online della fondazione finiana FareFuturo, dove si elogia il leader dell’Udc per i suoi attacchi al bipolarismo, conferma che un’alleanza elettorale con il sempre più dubbioso Casini è essenziale per la sopravvivenza di Fli, e lo sarà ancora di più se i sondaggi continueranno a precipitare. Conferma pure che il partitino si regge sulla gratitudine dei suoi esponenti verso il capo. Perché delle stesse vecchie idee finiane non è rimasto più nulla: nato bipolarista e presidenzialista, il leader Fini sta chiudendo la sua parabola da centrista e proporzionalista. Morirà democristiano senza mai averne avuto il potere. Chi lo ama lo segua.
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5 commenti:
E ben gli sta a quella brutta faccia di m., o di cane ringhioso (vedere foto sull'articolo originario di Legno Storto).
E gli sta bene si, Marsh. Dove credeva di arrivare? Non è nemmeno mai partito.
E' un vero peccato: Fini rappresentava la destra in Italia, adesso non si sa più bene cosa sia.
Contando che Berlusconi non è mai stato classificabile di destra, questa adesso sembra non avere figure di riferimento.
Per sapere la risposta, ed anche conoscere il destino politico di Fini si dovrà aspettare la competizione per le prossime elezioni.
Adesso piagnucolano in televisione. Ieri ho visto la Perina che diceva "vogliono annientarci" ... SI' ! E sarebbe cosa buona e giusta.
Marmando, vero che Berlusconi non è mai stato di destra. Ma Fini ha rinnegato persino se stesso. Ero una sua elettrice almeno fino a Fiuggi. E non credo di essere l'unica delusa. Il destino politico di Fini, mi auguro sia a Montecarlo.
Massimo, e non dicono niente sul tentato (più e più volte) annientamento di Berlusconi ad oggi?
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