domenica 18 dicembre 2011

Abbandonati dallo stato

Lo stato e i suoi politici mentecatti, invece che sfilare contro il "presunto" razzismo, o varare decreti a favore dei detenuti in carcere, dovrebbe prima preoccuparsi per i suoi imprenditori che finora ha abbandonato a se stessi facendoli suicidare.


Sono migliaia i casi simili a quello del titolare dell'azienda suicida nel padovano che non riusciva ad avere i 250mila euro dalla PA. Di debiti, purtroppo, si muore. Anche quando nei libri contabili risultano 250mila euro di crediti. Soldi che non esistono, finché non sono in tasca. E così saltano le tredicesime dei dipendenti, scatta la cassa integrazione, si valutano i primi licenziamenti. Finché, qualcosa si rompe. E le conseguenze possono essere inimmaginabili. Come è accaduto a Giovanni Schiavon, che qualche giorno fa, nella sua abitazione di Peraga di Vigonza, in provincia di Padova, ha impugnato una pistola e si è sparato un colpo alla testa. Oltre al dolore e a un drammatico biglietto, «perdonatemi, non ce la faccio più», Schiavon ha lasciato dietro di sé anche tanta rabbia. Già, perché se è vero che le piccole imprese sono tutte nella stessa barca, che i clienti hanno le stesse difficoltà dei fornitori, che la liquidità scarseggia per tutti, è anche vero che tra i committenti della ditta Eurostrade 90 snc, specializzata in asfaltatura e scavi fognari, c’erano anche gli enti locali. Gli stessi che con tempestività e precisione svizzera bussano alla tua porta per sommergerti di balzelli, per sequestrarti la macchina, per pignorarti la casa.

L'appello a Monti - Nasce da qui l’adesione della moglie, Daniela Franchin, e della figlia, Flavia, dell’imprenditore padovano all’appello rivolto a Mario Monti firmato, tra gli altri, dai presidenti regionali di Confindustria, Confprofessioni, Confcommercio, Coldiretti, federalberghi, Ance, Confartigianato e Cgia di Mestre. Al centro della missiva, l’annosa e, finora, irrisolvibile questione dei ritardi dei pagamenti. Certo, ci sono le «difficoltà di accesso al credito, il pagamento delle tasse, il costo dell’energia, i tempi della giustizia, le carenze, infrastrutturali». C’è, però, incalza il mondo produttivo del Veneto, «un problema urgente da affrontare subito: quello dei temi di pagamento tra imprese e soprattutto di quelli tra la Pubblica amministrazione e le aziende». Perché se essere pagati a sei, otto o magari dodici mesi è insopportabile, «ancora più insopportabile è quando i ritardi di pagamento sono riconducibili allo Stato».

Crediti insoluti - Tanto più che sul tavolo c’è una Direttiva europea che aspetta solo di essere recepita. Tempi certi: 30 giorni in via ordinaria e 60 giorni in casi eccezionali, perna il pagamento di salati interessi di mora (dall’8% a salire). Questo dice Bruxelles, mentre in Veneto si paga in media dopo 140 giorni che salgono a 400 per alcuni fornitori della sanità. Nel resto d’Italia le cose non vanno affatto meglio. La media nazionale è di 86 giorni per il settore pubblico e di 30 nel privato (rispetto ad una media europea di 27 giorni). Ma si tratta di numeri buoni per le poesie di Trilussa. La realtà, stando ad un’indagine effettuata lo scorso aprile dall’istituto I-Com per i Commercialisti, è che nel 72% dei casi la Pa non paga prima di sei mesi, mentre il 24% delle imprese subisce un ritardo compreso tra uno e sei mesi. L’impatto sull’economia reale di questo fenomeno «derivante dai soli costi diretti», ovvero «la necessità di finanziarsi a debito sul mercato creditizio» può essere valutato per il solo 2010 in quasi 2 miliardi di euro. Dall’altra parte, nel regno della civilità, dell’Europa e del rispetto delle regole, ci sono invece ad aspettarci benefici significativi stimati almeno nell’ordine di un miliardo e più l’anno. Basterebbe, si legge nello studio, «che la Pa italiana decidesse di tenere neanche le migliori prassi europee, ma quantomeno le normali prassi delle Pa europee e del settore privato italiano». Dov’è, allora, il problema? Il problema, non trascurabile, è che se lo Stato sbloccasse i pagamenti si vedrebbe arrivare una mazzata quantificabile tra i 60 e i 70 miliardi (ma c’è chi sostiene che tra amministrazioni centrali e locali il bottino arriverebbe quasi a 200 miliardi). È per questo che al di là della buona volontà dichiarata da tutti, la questione rimane lì, irrisolta. E la scadenza del marzo 2013, entro la quale la direttiva dovrà essere recepita dallo Stato italiano, viene vista, invece che come un’opportunità, come una bomba ad orologeria in procinto di esplodere.

L'idea di Passera - Qualche settimana fa, in un incontro con le imprese, il neo ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha buttato sul tavolo la proposta di pagare le imprese in Bot. L’idea è quella di limitare l’impatto sui conti pubblici e, contemporaneamente, sostenere il debito. Ma è chiaro che se i titoli di Stato non saranno resi liquidi (ovvero utilizzabili dalle aziende per pagare contributi all’Inps e tasse a Equitalia) l’unica soluzione resta quella di anticipare, come Passera ha promesso di voler fare, l’entrata in vigore della direttiva Ue. Nell’attesa, qualcosa si può fare subito e senza troppo oneri per lo Stato. «Per far uscire le Pmi sane dalla tenaglia della flessibilità del debitore e l’inflessibilità di fisco e banche», spiega Fabio Bolognini, ad di Linker, società specializzata nel supporto alle Pmi proprio sui problemi finanziari, «occorre intervenire su tutti i fronti, anche istituendo un organismo a tutela della continuità delle imprese per proteggere gli imprenditori vittime dei pagamenti ritardati e insolventi per colpe altrui».

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