sabato 2 luglio 2011

Opinioni


Pagina nera per la giustizia america­na considerata da molti, anche in Italia, un modello da imitare. Imita­re un corno. Dopo averlo sbattuto in gale­ra come un criminale incallito, dopo aver­lo esposto al ludibrio mondiale, amma­­nettato, trascinato in tri­bunale, costretto a pagare una cauzione milionaria; insomma, dopo averlo trattato a pesci in faccia, adesso la pubblica accusa ha restituito la libertà (non completamente) a Dominique Strauss-Kahn, il cui nome è diven­tato noto al volgo non per i meriti profes­sionali, ma per una torbida vicenda di vio­lenza sessuale. Il direttore (anzi ex) del Fondo moneta­rio internazionale non è ancora del tutto fuori dalle grane: dovrà essere processato e dunque ci vorrà del tempo prima che gli venga restituita per intero l’onorabilità. Intanto però può tirare un sospiro di sollievo. La sua posizione si è di molto alleggerita rispetto ai giorni infernali in cui egli fu accusato di aver stuprato una cameriera di colore nella propria stanza all’hotel Sofitel di New York. Accusa che si basava esclusivamente sulla testimonianza della vittima, la quale senza mezzi termini dichiarò di essere stata aggredita dall’economista francese e costretta a subirne, in varie forme, le brame carnali.

«Non appena entrata nella suite», denunciò la donna, «Strauss-Kahn mi saltò letteralmente addosso e non ebbi modo di sottrarmi ai suoi porci comodi». Fu creduta sulla parola ancor prima di qualsia-si verifica, tant’è che il presunto satiro fu immediatamente catturato mentre non aveva ancora messo piede sull’aereo con cui sarebbe dovuto rientrare in patria. A nulla valsero le sue proteste indignate, le giustificazioni, i tentativi di discolparsi. Nessuno ebbe orecchi per lui che, alcune ore più tardi, era già in carcere come se il reato superficialmente attribuitogli fosse già stato accertato. Un tripudio di telecamere sorpresero il «violentatore» nel momento di maggiore umiliazione: quello in cui le manette si strinsero ai suoi polsi.

Le immagini del potente ridotto in cattività furono irradiate in ogni angolo della Terra con grande soddisfazione dei numerosi giustizialisti che la popolano. Soddisfazione accresciuta dall’alto rango del reo, addirittura un pretendente all’Eliseo, un uomo ricco, un’autorità.Un sottile piacere pervase l’animo vendicativo di chi, forse a causa di una perversione ideologica, pensa che una persona importante goda normalmente di immunità quand’anche commetta reati odiosi. Stavolta no, aveva prevalso la giustizia sui diritti non scritti, ma sempre rispettati, della Casta.

«Finalmente», scrissero i commentatori di pronto intervento della stampa internazionale, «paga per i propri vizi, sfogati su una povera nera, anche uno di quelli che non pagano mai». E giù dibattiti televisivi, corsivi, articolesse affidati alle penne più vanitose e avvezze a qualsiasi acrobazia polemica. Strauss-Kahn è stato prematuramente condannato anche dalla maggioranza degli editorialisti italiani, maschi e femmine, specialmente femmine. Un coro d’insolenze verso il porco che aveva osato profittare dell’esile corpo di una cameriera. Ogni parola contro di lui trasudava odio. Odio di classe, giacché quasi tutti i signorini e le signore abilitati a dispensare saggezza diluita nell’inchiostro sono di estrazione socialcomunista. Proprio così.

Domenica scorsa ho partecipato a In onda , programma condotto da Luisella Costamagna e Luca Telese su La7. Tema, manco a dirlo, Sesso e potere . Le ospiti, ovviamente donne, mi sono zompate addosso perché ho sollevato qualche dubbio sulle effettive responsabilità dell’ex direttore del Fmi. Il che non rientrava nella categoria del «politicamente corretto», nonostante i miei argomenti fossero ispirati al senso comune. Come si fa a sostenere che Strauss-Kahn ha stuprato la cameriera se questa, per sua ammissione, ha avuto con lui anche un rapporto orale che, come chiunque sa, richiede consenso attivo altrimenti il maschio rischia una terribile mutilazione?

Era del tutto evidente che l’addetta alla pulizia della stanza d’albergo non avesse detto la verità. Eppure la perfetta macchina giudiziaria statunitense non solo gli opinionisti professionali più gettonati - non ha badato alle sfumature ed è stata pesante: manette e galera, un anticipo di pena. A che titolo? Ma non si va ripetendo che un cittadino è innocente sino a prova contraria? Pure gli americani se ne fregano del garantismo. Il diritto è stato ribaltato: anzitutto ti sputtano, ti torturo, ti ingiungo di scontare un acconto sulla condanna che eventualmente ti infliggerò, e se, casomai, fossi poi assolto, pace amen. Che sarà mai un errore? In fondo un uomo o una donna se incappa nella giustizia è declassato a straccio a prescindere dalla sua condizione socio-economica. Ecco l’uguaglianza apprezzata di questi tempi. Chi viene privato della libertà ed è in attesa di giudizio subisce già un grave torto; se, oltre al bene più prezioso, gli porti via anche la dignità e la speranza, lo uccidi. E la morte interiore è l’anticamera di quella fisica, come insegna la storia di Enzo Tortora, per citarne una, non l’unica.

Adesso i torturatori della pubblica accusa degli States hanno scoperto che la cameriera nera il giorno del dramma telefonò a un amico detenuto, un collo di forca, decantandogli i benefici che avrebbe tratto dall’incidente con l’allora direttore del Fondo monetario. Non solo. Hanno altresì acclarato che la lavoratrice del Sofitel è una ballista di consumata esperienza. In sintesi, non è affatto credibile. E le probabilità che Strauss-Kahn, ottenuta la libertà e la restituzione della cauzione, abbia presto l’assoluzione piena sono parecchie. Ma chi lo risarcirà? Pensate che Christine Lagarde, nominata martedì scorso al vertice del Fmi, gli renda la carica dalla quale era stato subito costretto a dimettersi? Occorre aggiungere che se non altro i giudici americani, malgrado gli errori imperdonabili, meritano la concessione delle attenuanti generiche perché, appena si sono accorti d’aver sbagliato, lo hanno ammesso e hanno cercato, per quanto possibile, di riparare tempestivamente. Noi italiani, se abbiamo un minimo di pudore, è bene che stiamo zitti. Vietata ogni critica al sistema americano. È di giovedì la notizia che abbiamo tenuto in prigione quattro anni Amanda Knox e Raffaele Sollecito pur non avendo raccolto una prova a loro carico, tranne una: il Dna. Falsa anche questa. Che vergogna. Non ho nulla contro la scienza, anche se non va presa come un dio; ce l’ho con chi la usa per le indagini senza saperla usare.

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