giovedì 10 maggio 2012

Oh, che dispiacere...


FIRENZE - Una certa solitudine l'ha evocata lui stesso, richiamando «le notti» passate a immaginare una via di uscita sui debiti commerciali della pubblica amministrazione. Le imprese chiudono, i ritardi dello Stato le strangolano, ma la soluzione comunitaria di Monti passa da Berlino, e la Merkel non ha ancora detto di sì. Ancorché passeggera, la sensazione di sentirsi impotente è affiorata, sul filo dell'ironia, con altri concetti: «Come sarei felice di saldarli subito, domani mattina, quei debiti»; «peccato che non posso farlo», ha proseguito dopo, evocando spread , giovani, futuro, responsabilità.

La fatica del sacrificio in cui si è imbarcato comincia a farsi sentire. Ieri mattina, nel salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio, i «sei mesi di governo» sono diventati di colpo molto più pesanti («longer, much longer», il premier parlava in inglese) degli anni passati alla Commissione europea. Il giorno prima, a chi chiedeva se avesse letto le mail dei cittadini sulla revisione della spesa pubblica, aveva risposto, più o meno, così: «Avrei dovuto, visto che non ho nulla da fare...». Chiamatela se volete amarezza, forse sono i primi segnali di una stanchezza, di certo nelle ultime ore la comunicazione del premier è cambiata. Risponde alle critiche; dice e poi rettifica; provoca lui stesso reazioni, in primo luogo nel Pdl, che rischiano di complicare la navigazione dell'esecutivo. Persino nello staff qualcuno avrebbe ravvisato la necessità di una maggiore moderazione. Ma anche Monti ha il suo carattere, che non ha solo i tratti della sobrietà, per scomodare un luogo comune. Negli ultimi giorni, provocando un filo di allarme nei colleghi di governo, si è anche spinto più in là: i ragionamenti sull'appoggio esterno del Pdl (che poi, in realtà, è già tale) lo hanno lasciato stupefatto; quelli di una potenziale, costante, revisione parlamentare sui provvedimenti più importanti del governo, così come le polemiche sull'Imu, lo hanno invece innervosito al punto da arrivare a pronunciare davanti ad altre persone, per la prima volta, l'ipotesi di togliere il disturbo.

Chi lo conosce, nel governo, interpreta in questo modo: «È stato abituato a incassare elogi, interni e internazionali, incassa meno bene i riti, le critiche e il linguaggio della politica italiana». Persino i titoli di prima pagina dei quotidiani vicini al centrodestra provocano reazioni, per lo staff invece si potrebbe sorvolare. «Si è tecnici sino a quando non si mette piede nel Palazzo», gli è stato suggerito dai collaboratori. Come dire: non ti curar di loro. Evidentemente non è così semplice. Monti tecnico lo è stato per tanti anni: in fondo anche alla Commissione europea, dove un certo tipo di politica, aggressiva, personale, entrava di rado. C'erano sì le lobbies e interessi delicati e mille lotte di potere, ad esempio con giganti come Microsoft; mancava l'attacco alla persona, che oggi stenta a digerire. Su tutto ovviamente ha un peso ulteriore, e primario, l'enorme preoccupazione per la situazione, che continua a definire «drammatica», del Paese: con le banche il governo aveva ipotizzato, per luglio, l'obiettivo di uno spread a 250; se restasse intorno a 400, come in questi giorni, la differenza in termini di interessi, per le casse dello Stato, sarebbe di circa 15 miliardi di euro. Per non parlare del rischio, dopo il voto di Atene, ma non solo, che la situazione dei mercati «sfugga di nuovo di mano».  Cifre e timori che provocano frustrazione, mentre si fronteggiano critiche che si ritengono ingiuste. O mentre si chiedono ai partiti suggerimenti, collaborazione concreta, ricevendo in cambio riserve, distinguo, e persino l'accusa di aver ridotto il Paese in questo stato. Sua madre gli diceva, tanti anni fa: fai tutto quello che puoi e che vuoi, ma «non andare a Roma, non ti mischiare con la politica». I problemi, e l'amarezza di oggi, sembrano avverare, in parte, quell'avvertimento.

Marco Galluzzo


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