domenica 19 giugno 2011
Rivoluzioni islamiche fiorate
... e quelli più intelligenti ci hanno creduto... dando spazio all'islam fondamentalista. Così in tunisia e così in tutti gli altri paesi del maghreb dove ha soffiato un (finto) vento di libertà e rivoluzione.
DAL NOSTRO INVIATO TUNISI— Nei rapporti dei diplomatici occidentali sulla Tunisia sono definiti una «criticità». Sulla rete virtuale del Paese (Facebook) e su quella materiale (bar e mercati), corrono giudizi molto più pesanti: «maschilisti», «talebani», «ex terroristi». In mezzo la «katiba karsa», (la maggioranza silenziosa) appare un po’ spiazzata e un po’ incuriosita dal fenomeno politico del momento. Il partito di ispirazione islamica, Ennahda (la Rinascita), è in testa nei sondaggi a quattro mesi dalle elezioni per l’assemblea costituente (ufficiosamente fissate per il 23 ottobre) e proprio mentre si apre (domani la prima udienza) il processo al presidente-dittatore Ben Ali, rifugiatosi in Arabia Saudita e inseguito da una richiesta di estradizione che sta per essere formalizzata. Agli inizi di giugno alla formazione guidata da Rachid Ghannouchi veniva attribuito il 16,9% delle preferenze di voto, ben al di là del 9,5% accreditato allo storico partito socialdemocratico Pdp di Nejb Chebbi. Islamisti e socialdemocratici sono gli unici giganti in una folla di 93 partiti nani o mezze promesse (come i liberali, i nazionalisti e i comunisti). Le associazioni delle donne sono in allarme. Dal 1956 in poi la Tunisia ha costruito un sistema di pari opportunità tranquillamente paragonabile agli standard occidentali. I laici del Paese sono diffidenti, come spiega Raouf Kalsi, editorialista del quotidiano Le Temps: «Ennahda è una nebulosa con posizioni ambigue sullo Stato di diritto. E poi non si capisce chi li finanzia. Temo ci siano dietro l’Arabia Saudita e il suo modello di integralismo wahhabita. Con il placet degli americani». A questo punto urge verifica. La sede di Ennahda è un bel palazzotto di cinque piani nel quartiere amministrativo della capitale. Tutto nuovo. Ha aperto da due mesi, ma negli uffici non ci sono cassette di frutta al posto dei tavoli, bensì poltrone in pelle nera, computer, uscieri in completo blu fresco lana. E dopo pochi minuti di attesa arriva Nabil Labassi, un avvocato di 46 anni, membro del «gabinetto politico». Labassi spiega subito che lì sono tutti «volontari e porge una lunga lista di ingegneri, legali, professori, ricercatori, contabili, medici e persino animatori. E'il gruppo dirigente del partito. Molti di loro hanno scontato 12-15 anni di carcere duro, altri sono rientrati dall’esilio. Labassi si aspetta la sequenza delle domande e risponde senza esitazione, come fosse un test per la «patente di democratico». Dunque: la parità uomo donna? «Non si tocca. Anzi noi siamo l’unico partito che ha proposto di inserire l’obbligo di riservare alle donne metà dei posti nelle liste per le elezioni». Il velo? «Permesso, ma non obbligatorio». Il divorzio? «Nessun problema, resta». La poligamia? «Che cosa? Non scherziamo, non se ne parla neanche». L’aborto? «Forse si può inserire qualche limite a tutela della salute della partoriente, ma ne vogliamo discutere con tutti gli altri partiti». Il divieto di bere alcolici? «Il massimo che possiamo è vietarne la vendita ai minori». E’ vero che volete cacciare gli investitori stranieri? «Al contrario, sono i benvenuti e vogliamo collaborare con loro». E così via. Sarebbero questi i talebani? I cripto-sauditi? A proposito chi finanzia Ennahda? «Da sempre girano voci su presunti finanziatori occulti, l'Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l'Iran. Ma il nostro modello, se mai, è la Turchia di Erdogan. Le nostre risorse vengono dai militanti, ci sono almeno 50 mila tunisini che versano ogni mese il 3-5%del proprio salario, in più riceviamo donazioni dai nostri connazionali all’estero». Se davvero è così sarebbero, calcolando a spanne, almeno 6-7 milioni di euro all’anno: in Tunisia sono soldi. Eppure c’è qualcosa che non torna. C’è troppo scarto tra la versione del dirigente islamista e le opinioni correnti. Ma andando avanti si entra in una zona d’ombra. Ennahda è forse l’unica formazione che ha aperto una sede nei 24 governatorati e un ufficio in ogni distretto del Paese. Nel palazzotto di Tunisi ammettono di non sapere neanche chi siano tutti questi militanti. E si vede, si sente. Su Facebook sono attivi almeno 600-700 profili di persone che parlano a nome di Ennahda. Ma sono proprio i raduni improvvisati nelle città tunisine, i proclami lanciati sul web e alla tv dai «buoni musulmani» ad alimentare la diffidenza verso il partito islamico. C’è chi invoca l’applicazione stretta della «sharia» (frustate comprese), chi suggerisce di risolvere il problema della disoccupazione, dando agli uomini i posti occupati dalle donne, che vanno invece segregate in casa. Per ora confusione e ambiguità stanno portando quei consensi necessari per negoziare con gli altri partiti da una posizione di forza. Perché Ennahda vuole comandare.
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2 commenti:
Beh, era ovvio. Gli islamisti, pure nella "laica" Tunisia, sono l'unica forza politica con l'organizzazione ed il radicamento territoriale necessario per prendere il potere dopo la caduta delle dittature militari. Non ci voleva un genio per capirlo.
Giovanni ma evidentemente certi geni ancora non lo vogliono capire.
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