sabato 22 gennaio 2011
Punti di vista
La fortuna del Cavaliere di Arturo Diaconale
La grande fortuna di Silvio Berlusconi ha di avere dei nemici ottusi ed inconcludenti. E’ ottusa quella parte della magistratura che da quindici anni a questa parte cerca di ripetere lo schema del “quello lo sfascio” inventato da Antonio Di Pietro al tempo in cui interpretava il ruolo di alfiere del Pool di Milano durante la rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite.
L’esperienza insegna che cercare di “sfasciare” il Cavaliere per via giudiziaria non paga. Perché l’insistenza e la foga dei moralisti in toga convinti che il peccato costituisca reato assume l’aspetto inquietante di una persecuzione ingiusta e dagli effetti politici ed istituzionali devastanti. Non a caso, a di dispetto di accuse a cui manca solo quella della pedofilia per completare il novero delle fattispecie di reato previste dai Codici, Berlusconi continua a restare al centro della scena politica nazionale non sulla base di atti autoritari da dittatore sudamericano ma sulla base di un ampio consenso popolare puntualmente rinnovato in occasione di regolari elezioni democratiche. All’ottusità dei Pm fermi allo “sfascio” corrisponde l’assoluta inconcludenza dei nemici politici del Cavaliere. Che insistono pervicacemente nel rifiutare di capire che l’unica strada per ridurre il grande consenso popolare di Berlusconi non è quella delle congiure di Palazzo ma quella della creazione di una seria e concreta alternativa politica.
Il caso Ruby è l’ennesima conferma di questa grande fortuna del Presidente del Consiglio. I magistrati hanno fatto di tutto per far bollare l’ennesima inchiesta contro Berlusconi con il marchio della persecuzione illiberale ed antidemocratica. Al punto dal costringere ogni singolo cittadino, anche il più feroce antiberlusconiano, ad augurarsi in cuor suo di non finire mai nelle mani di certi Pm abituati ad usare i Codici come corpi contundenti per colpire i malcapitati di turno. I dirigenti dei partiti d’opposizione, poi, hanno fatto anche di peggio. Nell’avallare acriticamente e strumentalmente il comportamento dei magistrati persecutori. E, soprattutto, nel non sapere proporre al paese una alternativa diversa da quelle antiche delle congiurette di Palazzo a cui i vecchi notabili Dc ricorrevano quando volevano operare un qualche cambio di governo. Indicativo in questo senso è stata la linea tenuta dai dirigenti del Pd e da quelli del Terzo Polo. Pierluigi Bersani si è schiacciato ancora una volta sulle posizioni “sfasciste” dei Pm milanesi nel timore di subire la concorrenza estremista di Vendola e Di Pietro e non ha saputo far altro che proporre come alternativa la contrarietà alle elezioni anticipate.
E addirittura peggio di Bersani si sono comportanti Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini. Il primo rilanciando l’idea, già bocciata dal voto del Parlamento del 14 dicembre, che a provocare il dopo-Berlusconi sia Berlusconi stesso con le dimissioni ed il conseguente ritiro a vita privata. Ed evitando accuratamente di indicare agli italiani come potrebbe governare una maggioranza formata da un Pdl senza più il proprio leader votato dagli italiani ed un Terzo Polo che non ha ancora avuto una qualsiasi legittimazione elettorale. Il secondo facendo spudoratamente il moralista alla Alberto Sordi, proponendo che Berlusconi si comporti come Bettino Craxi dopo le monetine del Raphael e riproponendosi di fatto come l’usurpatore autodesignato. E’ facile pronosticare, allora, che con oppositori di tale fatta Silvio Berlusconi abbia facile gioco nel continuare a resistere ad ogni genere d’offensiva. La sua forza è data dalla desolante pochezza e dalla preoccupante pericolosità antidemocratica di chi vorrebbe farlo fuori. Il ché è sicuramente un segnale di stabilità. Ma anche la conferma che presto o tardi bisognerà uscire dal pantano con il ricorso alle elezioni del chiarimento definitivo.
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