mercoledì 26 gennaio 2011
Pronto un ddl per sanzionare i pm
Dal Rubygate alla Santanchè: quando le intercettazioni diventano gogna mediatica di Filippo Benedetti Valentini
Le conversazioni private di Daniela Santanchè sono state intercettate dai Ros nell'ambito dell'inchiesta sul G8 alla Maddalena nella quale, a vario titolo, sono coinvolti il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e l'imprenditore Riccardo Fusi. Vuol dire che il sottosegretario all'Attuazione del programma è indagato? Nient’affatto. Ma sono state diffuse informazioni private di una persona non coinvolta nell'indagine e che quindi sarebbero dovute rimanere segrete. Dunque, la gogna mediatica continua. Così, anche sull’onda del maremoto scatenato dal "Ruby gate” (altro caso incentrato molto sulle intercettazioni telefoniche finite puntualmente sui media) si riapre un dibattito che nei mesi scorsi ha agitato la scena politica e mediatica: quello sulle libertà fondamentali dei cittadini.
A focalizzare l'attenzione sull'uso delle intercettazioni è il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, secondo il quale il trattamento riservato alla Santanchè supera ogni limite: “Abbiamo sempre condannato le gogne mediatico-giudiziarie perché accreditano ricostruzioni parziali e troppo spesso anticipano in sede impropria i giudizi”. Per il senatore pidiellino oggi è ancora più evidente la necessità di una disciplina rigorosa sull'utilizzo dello strumento investigativo. Una posizione che colpisce dritto nel segno, subito dopo la notizia della proposta di legge per “responsabilizzare i pm e i giudici che autorizzano gli ascolti” a firma del deputato Pdl Luigi Vitali. Un ddl depositato nel novembre scorso che prevede risarcimenti fino a 100mila euro per i cittadini che vengono sottoposti ad intercettazioni e poi prosciolti dall'inchiesta. Una norma della quale, secondo lo stesso deputato di maggioranza, “si sente il bisogno” dopo gli “abusi” sulle intercettazioni con i quali ci si “trova a fare i conti”.
La proposta firmata da Vitali e da altri 29 colleghi di maggioranza prevede l'introduzione dell'articolo 315-bis del codice di procedura penale, “concernente la riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni”. Nello specifico, verrebbe profilata l’ipotesi di illecito disciplinare secondo la quale pm e giudici non competenti non possono autorizzare intercettazioni. Nel testo c’è anche una norma che renderebbe le nuove disposizioni retroattive: il risarcimento è previsto, infatti, anche per chi è stato coinvolto in indagini fino a 5 anni prima della sua entrata in vigore. L'obiettivo del provvedimento è duplice: da una parte si vogliono responsabilizzare i pm e i giudici che autorizzano gli ascolti, dall’altra risarcire i cittadini che sono oggetto di intercettazioni che poi non danno alcun esito di carattere giudiziario. Già, perché nella maggioranza non si è convinti soltanto che l’uso sregolato di questo strumento investigativo sia una limitazione della privacy del cittadino, bensì anche un grave danno economico per il Paese. Per comprenderlo basta dare uno sguardo ai numeri. Tenete bene a mente una cifra: 272 milioni. E’ quanto hanno speso gli italiani nel 2010 per le intercettazioni telefoniche e ambientali necessarie alle indagini promosse dalle Procure nel nostro Paese. Un incremento del 17,6% rispetto al 2008. Soldi spesi bene? Difficile dare una risposta univoca a questa domanda, considerando che ogni anno in Italia vengono captate decine di migliaia di conversazioni private. Una questione, però, è chiarissima: i pm richiedono le intercettazioni, gli italiani le pagano (272 milioni, dicevamo) e se non sono servite alle indagini, pazienza: caso archiviato.
“Mi sembra un principio di civiltà giuridica – dichiara Vitali in un’intervista al Giornale – le intercettazioni sono uno strumento indispensabile ma servono a confermare l'ipotesi di reato, non a trovare la notizia di reato. Non possono essere la regola ma l'eccezione”. E se ci sono abusi, sostiene il deputato, devono essere individuati i responsabili e risarciti gli imputati prosciolti così come quelli le cui conversazioni sono finite sui giornali pur essendo estranei alle indagini svolte. Ora che il ddl Alfano sulle intercettazioni è finito su un binario morto a causa dello strappo dei futuristi di Fini e le indagini (così come la tutela dei cittadini) corrono il rischio di essere delegittimate proprio dall'uso improprio di strumenti a supporto dell'attività investigativa, c'è da chiedersi se anche il ddl Vitali finirà in un pantano oppure se questa volta si avvierà per davvero una riforma complessiva in grado di rimettere nel giusto binario il rapporto tra giustizia e politica.
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