martedì 11 gennaio 2011

Immigrazione


Milano - Centomila nuovi stranieri nel Veneto - quelli che potrebbero arrivare col nuovo decreto flussi - sono una bomba a orologeria. C'è il rischio di alimentare la piaga del lavoro nero scatenando una pericolosa guerra tra poveri. A lanciare l'allarme, creando non pochi imbarazzi a sinistra - ma non solo - è la Caritas di Venezia, come riportato oggi da un quotidiano. Don Dino Pistolato, direttore della Caritas del capoluogo veneto, fa sapere che in una situazione economica difficile come quella attuale sarebbe meglio dire "no al nuovo decreto flussi". La forte - e per certi versi sorprendente - presa di posizione parte da una constatazione numerica: con centomila stranieri in più rischieremmo di appesantire una situazione tutt'altro che rosea. E il rischio sarebbe quello di "aprire un conflitto etnico e umano". Una guerra tra poveri pericolosissima. Da Roma il direttore della Fondazione Migrantes (promossa dalla Cei), monsignor Giancarlo Perego, smorza un po' i toni. Anche se non fa mancare la sua critica al governo. Abbiamo cercato di approfondire l'argomento contattando alcuni autorevoli esponenti che gravitano nell'area cattolica, insieme ad altri impegnati nel sociale. Ma ovunque ci è parso di cogliere un forte imbarazzo. Da Venezia a Roma le uniche risposte che ci sono state date sono queste: "Richiami domani", "mi scusi devo approfondire la notizia" o addirittura "non ho ancora letto i dati, non so risponderle".

Poi la Caritas precisa. Resosi conto della clamorosa portata della notizia don Pistolato "a scanso di interpretazioni malsane" precisa "il governo provveda a sanare la posizione degli immigrati presenti sul territorio, che vivono in condizioni di estrema precarietà a causa della crisi. Non sostengo, come qualcuno mi vorrebbe far dire, che sono per il rimpatrio degli immigrati, a seguito della crisi occupazionale, ma proprio il contrario: bisogna accogliere gli extracomunitari in condizioni di dignità e questo non si può fare con l’arrivo di 100 mila stranieri anche perché abbiamo tanti immigrati che hanno perso il lavoro le cui famiglie si disgregano per colpa dei rimpatri".

Zaia: no ai nuovi flussi. Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, risponde così alla Caritas di Venezia: "No ai flussi, ma no anche alla sanatoria, a meno che non sia esclusivamente per le badanti". Il Veneto condivide le strategie della solidarietà e del volontariato a favore degli immigrati, "anche quelle della Caritas", ma è una regione in cui "i cittadini sanno che ormai sempre più spesso i numeri non tornano più". Zaia ricorda anche che "in ogni società c’è un punto di equilibrio che non dev’essere oltrepassato. Oltre un certo limite - dice - la pressione degli immigrati favorisce problemi non più affrontabili dalla sola società, come quello del lavoro, della scolarità e dell’ospitalità".

Sanatoria per le badanti. "E' un argomento delicato e complicato - aggiunge Zaia -; sì al necessario, penso alle badanti, dico no all’improvvisato. Magari a un lavoratore arrivato ieri che voglia sanare la propria posizione creando concorrenza a un veneto in attesa da tempo. Camminiamo dunque con i piedi di piombo non con volontà di chiusura ma con quella di volerci guardare dentro fino in fondo".

Il vicesindaco di Venezia: ha ragione la Caritas. "Don Dino Pistolato - commenta il vicesindaco ed assessore ai servizi sociali del comune di Venezia, Sandro Simionato - purtroppo fotografa una realtà: la sempre maggiore difficoltà che abbiamo a gestire una situazione difficile sul fronte dell’immigrazione. E' una presa di posizione che ha un peso importante perché la Caritas non è certo l’ultima organizzazione che si occupa dei temi dell’immigrazione. La sua è una voce autorevole: le difficoltà ci sono tutte a causa della crisi economica e dell’occupazione che colpisce i lavoratori e le famiglie sia italiani che immigrati. E questi ultimi sono l’anello debole".

Migrantes: manca incontro domanda-offerta. "Il nuovo decreto flussi - rivela monsignor Perego - pur nelle novità positive di quest’anno, come l’attenzione ai migranti di origine italiana e la distribuzione delle quote alla luce delle domande, fatica ancora a rispondere alla necessità di un incontro tra domanda e offerta di lavoro, risultando alla fine di fatto una regolarizzazione soprattutto delle persone straniere presenti nel nostro territorio". Secondo Perego occorre una particolare "attenzione sociale al mondo degli immigrati precari che hanno perso il lavoro, attraverso una sorta di ripensamento della cassa integrazione connessa anche a un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, per evitare un passaggio al lavoro nero e alla irregolarità di persone e famiglie".

Scuola e dialogo. E nella prospettiva di una reale integrazione è necessaria - secondo Migrantes - anche "una riforma della scuola con al centro l’interculturalità, che chiede di investire in percorsi di accompagnamento all’ingresso alla scuola ma anche in percorsi di insegnamento interculturale". Ma cosìè che può davvero aiutare l’integrazione? Perego ha citato l’attenzione a un dialogo religioso, che sappia valorizzare l’unità su alcuni temi (pace, giustizia, salvaguardia del creato), il diritto ai luoghi di culto, il dovere di un rispetto delle differenze".

De Corato: smontati i buonismi. "La parole della Caritas di Venezia - dichiara il vice sindaco e assessore alla sicurezza di Milano, Riccardo de Corato - smontano tanti buonismi. Perché sono l’esatto opposto della politica delle porte spalancate che da tante parti, a sinistra come in parte dello stesso mondo cattolico, viene irresponsabilmente sbandierata. E confermano come, di fronte a un fenomeno epocale capace di mutare il volto identitario delle città, si debba procedere con razionalità. E se la voce di allarme arriva dal Veneto dove, dice la Caritas, gli stranieri sono il 10% della popolazione tanto più è lecito suonare il campanello di allarme per Milano dove 1 su 6 non è italiano e, secondo i dati dell’ufficio Statistica del Comune, in trent’anni, gli immigrati sono passati dall’1.3% al 16.1%, una crescita dell’854%. E quando i numeri diventano ingovernabili la deriva si chiama xenofobia e razzismo".

La situazione di Milano. "Oggi la nostra città - spiega De Corato - ha una prevalente componente afroasiatica, 122.685 presenze su circa 212 mila residenti (75 mila asiatici e 47 mila africani). Solo trent’anni fa, secondo l’ufficio Statistica del Comune, erano 5442 (2983 asiatici, 2459 africani). Una crescita impressionante, +2154%. Che comporta per gli enti locali enormi spese per il welfare, assistenza sanitaria, case popolari, servizi per la scuola e la famiglia, attività di sostegno alle fragilità. Uno sistema che rischia di andare in tilt. I conflitti e le tensioni che si stanno maturando nel Nordafrica e in Medio Oriente - sottolinea infine De Corato - rischiano di produrre nuove ondate di clandestini. Che sono ben 50 mila a Milano secondo una stima della Cgil. E grazie a una sentenza della Consulta, che con quella decisione vorrebbe tutelare gli indigenti, sono ormai di fatto inespellibili".

Ancora sull'immigrazione: un disoccupato su quattro è straniero; domanda, allora che ci fa ancora in italia? Ciò che chiede la cei per gli immigrati: cittadinanza, flussi regolari e legge sull'asilo politico.

4 commenti:

Nessie ha detto...

Si è svegliata tardi la Caritas. Se ne accorge solo ora di che disastro è in atto?

samuela ha detto...

Niente di nuovo in realtà dalla solita Caritas: non bisogna trovare immigrati per il lavoro ma lavoro per gli immigrati. Mi vengono alla mente le ucraine di Schevhenko. Duecento ucraine di mezza età parcheggiate per settimane alla Stazione Centrale di Milano, sedicenti badanti e colf alle quali nessun milanese offriva un lavoto perchè evidentemente del loro lavoro, semplicemente, non c'era alcun bisogno. Intervenì niente meno che la star del Milan in soccorso delle connazionali che DOVEVANO PER FORZA avere un lavoro. Duecento case -magari ancora da costruire per la gioia dei palazzinari che la sinistra millanta tanto di detestare, Verdi in primis- duecento pesi in più sulla sanità lombarda, duecento centri aggregatori di decine, centinaia di altri ucraini, perchè a differenza di quando "noi siamo stati emigranti" e una lettera ci metteva anni a giungere a casa -sempre che non venisse bloccata dal paese ospite- oggi basta una telefonata per far partire un tam tam infinito e un infinito fiume umano. Duecento bisogni neanche indotti -come alcune badanti sono- ma forzati, che raccontano a casa che basta sedersi su una panchina e qualche idiota del posto -per l'occasione un conterraneo che per primo e meglio ha mangiato nel piatto- farà il resto. E la chiamano libera circolazione...
E intanto il punto di non ritorno anche per l'equilibrio mentale degli autoctoni mi sembra sempre più vicino -che il sovraffollamento per di più caotico e degradante porti alla violenza è fisiologico- e allora non ci saranno prediche che terranno, purtroppo.

marmando ha detto...

Toh ci sono arrivati anche loro a temere un "conflitto etnico e umano. Una guerra tra poveri pericolosissima": ma se sono anni che lo si va dicendo, subendo trattamenti da appestati.
C'è voluta la crisi per smuovere qualcosa.
Quello che serve è che i politici capiscano e sappiano smantellare questi famigerati "buonismi".

Eleonora ha detto...

Marmando, per forza di cose ci arrivano alla fine, anche se lo dicono sottovoce vergognandosi pure, magari; bastava solo fare 1+1. E non era razzismo, non lo è stato mai.

Samuela, come sempre, grazie del tuo prezioso contributo. Che dire, hai ragione al 100%?

Nessie, stessa risposta di Marmando.