giovedì 23 maggio 2013

Moralisti...


Se Zanda incontrasse uno Zanda sul suo cammino, oggi nessuno gli toglierebbe una richiesta di ineleggibilità, una mozione di dura reprimenda morale, o almeno un'interrogazione sull'etica. Di cui Zanda è impareggiabile custode. Le giornate storte capitano a tutti, ieri è toccata a Luigi Zanda. Non solo il neo capogruppo dei senatori Pd ha dovuto fare autocritica e avviare un rapido dietrofront (il secondo in una settimana, se continuano così gli verrà il mal di mare) sulla sua contestatissima proposta di regolamentazione dei partiti, letta subito dai maligni - ossia tutti gli altri - come un dispetto a Grillo, e di cui ieri Zanda (che l'aveva presentata il giorno prima) ha annunciato il ritiro: «Non volevo punire nessuno, ma se questa è l'interpretazione non ho alcun interesse a mantenere il provvedimento». Ma è pure spuntata, sulle colonne del Corriere della Sera, una sua letterina di raccomandazione a Giovanni Hermanin, allora presidente, nominato dal centrosinistra, dell'Ama (l'azienda municipalizzata che teoricamente smaltisce i rifiuti della Capitale, e i cui uffici si riempiono ad ogni sindacatura di nuovi raccomandati). Da Zanda non ce lo saremmo mai aspettato. Proprio lui che, nel 2010, tuonava: «Alemanno si deve dimettere: ha una responsabilità diretta per gli interventi con i quali ha fatto assumere i suoi protetti». Come la mettiamo col fatto che, tre anni prima, il medesimo si rivolgesse ad Hermanin per chiedere l'assunzione di un tal «dottor G.B., di cui ti allego il curriculum» e del quale «mi vengono garantite le capacità professionali e la correttezza istituzionale?». Chiedendo oltretutto di «farmi avere notizie sulle fasi istruttorie attraverso cui l'istanza verrà esaminata», tanto per chiarire che non avrebbe mollato l'osso. Di certo i fan zandiani, oggi duramente colpiti, verranno rassicurati: il senatore chiederà una perizia grafologica e dimostrerà che la sua firma era stata falsificata da qualche antipatizzante interno al Pd (la scelta è ampia). Nel frattempo, tocca pensare che anche il Guardiano della Virtù Zanda a volte si distragga.

Non quando si tratta di Berlusconi, però. Nell'intervista ad Avvenire di quattro giorni fa non solo assicurava che il Cavaliere «secondo la legge italiana non è eleggibile» («Ricordate a Zanda che Berlusconi è già stato eletto, e governa insieme a lui», notò Jena sulla Stampa), ma si sdegnava pure per l'ipotesi di una sua nomina a senatore a vita: «In 67 anni di Repubblica non è mai stato nominato nessuno che abbia condotto la propria vita come Silvio Berlusconi». Sorvolando su stimatissimi senatori a vita (Emilio Colombo, Gianni Agnelli) che pure non hanno condotto la propria vita esattamente come Maria Goretti. O come Zanda. Il quale poi ha dovuto specificare di aver parlato solo «a titolo personale». Dei costumi erotici di Berlusconi il senatore però si è sempre fatto un cruccio, tanto che nel 2009, quando si cominciava a parlare del caso D'Addario, mise nero su bianco, in un ordine del giorno, una sorta di codice etico che prevedeva per l'allora premier la «coerenza tra comportamenti privati e vita pubblica».

Toccò al segretario Bersani sconfessarlo, ricordandogli che «noi non siamo l'autorità morale di Berlusconi». E dire che di ragioni di gratitudine, verso il Cavaliere, Zanda ne avrebbe: fu grazie ad una gentilezza di Berlusconi, su richiesta pressante di Cossiga (di cui Zanda è stato per molti anni il segretario), che l'attuale capogruppo Pd entrò in Senato. Nel 2003 morì il senatore della Margherita Severino Lavagnini, e nel suo collegio di Frascati vennero convocate elezioni suppletive: Rutelli (allora riferimento di Zanda, poi passato nelle truppe di Franceschini) lo candidò, e Cossiga chiese a Berlusconi, come favore personale, di dare una mano all'esordiente. Benignamente, ma con scarsa lungimiranza, l'allora premier fece in modo che il candidato di centrodestra non raccogliesse le firme necessarie, e così Zanda rimase solo a contendere il seggio di Frascati. E vinse, naturalmente: praticamente col 100% dei voti. E con il 6,7% di votanti: la più bassa partecipazione nella storia repubblicana. E forse mondiale.

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