mercoledì 21 agosto 2013

L'assoluta incapacità di voler capire

Caro ministro lei non poteva non sapere di Giuseppe Marino

Personalmente trovo sopravvalutata l'esasperata ricerca di competenza nei politici: tanti specialisti sono stati pessimi ministri nei settori di propria competenza. Eppure, quando Cecile Kyenge è stata nominata ministro, quanto meno, in quanto donna che ha alle spalle una storia di immigrazione di successo, ci si aspettava avesse una conoscenza particolareggiata della materia. Invece il ministro dell'Integrazione pare non avere idea di come gestire la marea umana che si sta riversando sulle coste dell'Italia meridionale con cadenza quotidiana. Peggio: la dottoressa Kyenge si dichiara impegnata a farsi un'idea del fenomeno e dei problemi dei Centri di identificazione: «Da tre mesi sto facendo un monitoraggio e cercherò di analizzare tutte le problematiche e le proposte che verranno dai territori per individuare una soluzione». Chi pensava che il ministro avesse già in mente che direzione prendere si metta dunque l'anima in pace. Siamo alla ricerca. Ancora una volta, l'impressione è che, di fronte alla reale difficoltà di gestire un esodo imponente dall'Africa e dal Medio Oriente, chi ieri tuonava contro i governi di centro destra e predicava l'accoglienza senza se e senza ma, si trovi oggi a fare i conti con la realtà. Che arriva sotto forma di mafie che gestiscono il traffico di uomini e donne, scafisti, navi madre, poveri cristi abbandonati in acqua ad annegare. Ora che è ministro, di fronte a questo disastro, Cecile Kyenge non può limitarsi a frasi a effetto, tipo «cambiamo la Bossi-Fini» e «la terra è di tutti». E soprattutto, perfavore, non ci venga a dire che non sapeva quant'è grave la situazione. Proprio lei, ministro, non poteva non sapere.

Sbarchi a migliaia, Cie pieni Ecco l'emergenza annunciata. Dopo la rivolta, in Calabria è arrivata il ministro Kyenge. E ripete i soliti slogan: ius soli e "cambiare la Bossi-Fini" di Gianpaolo Iacobini

Gli sbarchi non si fermano più e i Centri di identificazione ormai sono oltre il livello di emergenza. Tenere il conto è difficile. Col mare calmo, con le notti illuminate a giorno dalla luna, coi focolai di guerra che minacciano vita e pace dall'Oriente all'Africa, i mercanti di carne umana hanno ripreso a fare affari. Nella notte tra lunedì e martedì 336 persone, tra le quali 67 donne e un neonato, sono state tratte in salvo a sud di Porto Empedocle da due motovedette della Guardia costiera e da un mezzo navale della Guardia di finanza, che ha intercettato il barcone colmo di eritrei, alla deriva a 12 miglia dalla costa. Nelle stesse ore sul litorale di Ognina, nel siracusano, i militari della Capitaneria di Porto hanno rintracciato 67 tra siriani e pachistani, giunti in Italia dopo 10 giorni di viaggio. Ieri mattina, invece, il pattugliatore "Comandante Foscari" della Marina Militare, in navigazione nel canale di Sicilia, ha avvistato e soccorso - 50 miglia a sud di Lampedusa - un'imbarcazione con a bordo 233 persone, poi trasferite sulla terraferma dai guardiacoste. Seicento e più profughi in meno di 24 ore. E in 200 hanno fatto perdere le proprie tracce una volta approdati a Porto Empedocle.

Intanto è ancora chiuso - «temporaneamente ma a tempo indeterminato», recitano le comunicazioni ufficiali - il Cie di Crotone, devastato dagli immigrati in rivolta. E in quello di Gradisca, all'altro capo della penisola, sei immigrati sono scappati. Segno che quei centri, prima spia del livello di allarme dell'ondata migratoria, siamo all'emergenza. Emergenza annunciata, anzi annunciatissima. Ma la verità è che, cancellati i respingimenti di Maroni, bocciata la politica delle espulsioni, nessuno sa bene che fare. E fioccano le analisi. «Per l'immigrazione siamo la porta d'ingresso dell'Europa», ha cercato di mettere di una pezza il viceministro degli esteri, Lapo Pistelli: «C'è un mondo che cambia, decine di milioni di persone si muovono: noi siamo su una delle faglie delle migrazioni». A Crotone è arrivata anche il ministro dell'integrazione Cècile Kyenge. Ma anche qui solo promesse e vaghe ricette. Come l'auspicio di una non meglio precisata revisione della Bossi-Fini: «Serve il confronto, perché dobbiamo avere un approccio diverso, che metta al centro la persona» e la confermato che il percorso sullo ius soli va avanti: «Non è una mia esigenza personale, ma proviene dalla società civile e l'Italia deve prenderne atto». Parole su cui è scoppiata immediata la polemica ma, anche non fosse così, sarebbero ricette in grado di evitare drammi sulle spiagge e nei Cie? A Isola Capo Rizzuto, alla vigilia di Ferragosto, il centro di identificazione è stato assaltato dagli ospiti inferociti per la morte di un giovane marocchino. «Sono venuta anche per capire», aveva detto lunedì in conferenza stampa il ministro, giurando davanti ai giornalisti di non essere a conoscenza della vicenda. Ieri, mentre a decine presidiavano ancora la statale 106, ha provato ad aggiustare il tiro, passando ad altri la patata bollente: «È importante aprire con il Viminale, che si occupa di queste situazioni, un fronte di discussione». Eppure, che al Cie di Isola le cose non andassero per il verso giusto, viste le difficoltà poste dall'assalto alle coste, non era un mistero: il garante per l'infanzia della Calabria Marilina Intrieri, già il 3 agosto, segnalava nero su bianco che «70 minori non accompagnati sono stati collocati in un capannone». Tutti insieme, indistintamente: quasi diciottenni e bambini di 11 anni a spartirsi «due sanitari alla turca, due docce, un lavabo». Dispacci recapitati a tutte le autorità. Anche di questo la Kyenge non sapeva niente?

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