domenica 25 agosto 2013

La colpa di tutti... tranne che dei genitori

Cercasi colpevoli per la morte di Tito. Il 12enne scalatore è caduto nel vuoto. Nel mirino chi ha prodotto l'attrezzatura, ma anche chi l'ha assemblata di Simona Lorenzetti

Torino
- Una «grave carenza tecnica» e tanta «superficialità» avrebbero provocato la morte di Tito Traversa, il dodicenne campione di free-clymbing, precipitato il 2 luglio scorso da una parete di roccia alta 20 metri ad Orpierre, in Alta Provenza. Ne è convinto il procuratore Raffaele Guariniello che ha indagato cinque persone per omicidio colposo. L'avviso di garanzia presto verrà notificato al titolare della ditta che produce i gommini di plastica che si sono spezzati durante la scalata, al titolare del negozio che ha venduto i gommini, al titolare della palestra B-Side che avrebbe organizzato la scalata e ai due istruttori che accompagnavano i ragazzi.

Ma la lista degli indagati è destinata ad allungarsi nei prossimi giorni, non appena verrà fatta luce su chi materialmente quel giorno assembló l'attrezzatura usata dal giovane talento: chi lo ha fatto avrebbe eseguito il montaggio senza le necessarie istruzioni e competenze. Si tratterebbe di un parente della bambina a cui apparteneva l'attrezzatura, che nell'occasione l'avrebbe prestata a Tito chiedendogli di prepararle la strada lungo la parete. L'iscrizione nel registro degli indagati è maturata dopo che in procura è giunta la prima relazione della gendarmeria francese sull'incidente. Secondo il magistrato, infatti, il ragazzino sarebbe morto perché i ganci e i moschettoni usati per ancorarsi alla parete non erano assemblati in modo corretto. Nel gergo tecnico vengono chiamati «rinvii» e sono l'unione di due moschettoni e una fettuccia fermata da un gommino in plastica. I rinvii di Tito però erano stati montati in modo errato: in particolare sembra che la fettuccia, invece di passare nei moschettoni e di essere fissata con i gommini, fosse stata inserita solo nei gommini, a loro volta poi agganciati ai moschettoni. Non appena il giovane ha iniziato la discesa i gommini non hanno retto al peso e si sono spezzati uno dopo l'altro. Su dieci rinvii otto sono risultati difettosi, gli unici che non si sono spezzati erano quelli montati in modo corretto e ancorati nel punto più basso della discesa.

Da qui i cinque indagati: la ditta milanese che ha prodotto i gommini e li ha messi in commercio senza istruzioni sul loro utilizzo e il proprietario del negozio che li ha messi in vendita. Con loro sotto accusa il titolare della scuola e i due istruttori che hanno accompagnato i ragazzi a scalare, per non aver preso tutte le misure necessarie per garantirne la sicurezza. Istruttori che, secondo la procura, non erano preparati per scalate in parate in esterna, ma solo per le cosiddette scalate indoor, ossia in palestra. L'indagine è ancora in corso e rimangono alcuni punti da chiarire. Resta il fatto, secondo il magistrato, che l'intera giornata ad Orpierre, per la scalata, era stata organizzata in maniera superficiale. Il padre di Tito, Giuseppe Traversa, per voce del suo legale Michele Chicco fa sapere che il suo interesse è che si restituisca verità al dramma che li ha travolti. «Da troppe parti - spiega il legale - sono stati espressi giudizi improvvisati e disinformati. Abbiamo assoluta fiducia nel lavoro della magistratura. Siamo certi che il procuratore Guariniello e i suoi collaboratori riusciranno a fare luce su quanto è successo e sulle rispettive responsabilità».

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