martedì 6 agosto 2013

I soldi (buttati) del canone rai (Orwell era un dilettante)

Ringraziamo Madonna Boldrini per l'inutile e inopportuno spreco di soldi nostri per il nostro lavaggio del cervello sull'immigrazione. Ma si sa, la sofferenza dell'immigrazione porta tanti, tanti miliardi, l' unhcr e le altre associazioni (a delinquere) umanitarie ne sanno molto più che qualcosa.
 

Oltre 8mila firme in pochi giorni contro la messa in onda di “The Mission”, il reality show umanitario in programmazione sulla Rai a fine novembre per raccontare la sofferenza dei rifugiati attraverso gli occhi di vip come Emanuele Filiberto o Al Bano. A tentare l’impresa di cambiare il palinsesto ci ha pensato Andrea Casale, studente 25enne della facoltà di Farmacia di Parma, che a inizio agosto ha lanciato la petizione online sul sito Change.org, raccogliendo migliaia di adesioni in poche ore. “Ho scoperto per caso su Facebook dell’esistenza di questo programma e sono rimasto sorpreso e poi indignato nel sapere che la Rai aveva deciso di produrre insieme ad alcune importanti organizzazioni che si occupano di diritti umani un format del genere, che fa di tragedie umane come quelle dei rifugiati una spettacolarizzazione” ha raccontato lo studente originario di Taranto a ilfattoquotidiano.it. Andrea da alcuni anni si occupa di immigrazione e diritti civili con l’Italia dei valori, ma la decisione è stata quella di fare qualcosa da singolo cittadino per evitare strumentalizzazioni. Di qui l’idea di lanciare in Rete la campagna #NoMission. “Fermiamo questo scempio – ha scritto Andrea – chiediamo alla Rai, all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e a Intersos di annullare questa operazione lesiva della dignità umana e di non mandare in onda “The Mission”. Il reality umanitario è prodotto dalla Rai in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) e l’organizzazione non governativa italiana Intersos, vi prenderanno parte personaggi del mondo dello spettacolo tra cui Emanuele Filiberto, Paola Barale, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Al Bano, che dovranno raccontare le esperienze dei rifugiati in Sud Sud Sudan, in Repubblica Democratica del Congo e in Mali. La messa in onda dei primi due episodi è prevista il 27 novembre e 4 dicembre, ma la petizione online chiede di bloccare la programmazione e di annullare il programma.

Alcuni dei protagonisti del reality hanno già risposto alle critiche, ma il 25enne ci tiene a precisare che non ha nulla contro di loro: “Non voglio ledere la dignità di nessuno, quello che metto in discussione sono la modalità di realizzare il reality e le persone scelte, che da quanto mi risulta non si sono mai occupate di queste tematiche, a differenza di altri loro colleghi come Claudio Baglioni o Fiorella Mannoia – spiega – La Rai è in grado di fare prodotti di qualità, ma in questo caso penso non abbia scelto le modalità giuste”. Nella petizione il dito è puntato proprio sulle responsabilità della Rai e delle organizzazioni che hanno collaborato al progetto: “Mai mi sarei aspettato che la Rai – si legge nel testo – con tutto il patrimonio di giornalisti ed esperienza sul campo, e alcune tra le più importanti organizzazioni umanitarie avessero il coraggio di proporre un reality show, con personaggi di dubbio gusto, come unico modo per  raccontare la tragedia dei rifugiati in prima serata. Ripensateci, annullate questa operazione oscena!” Lo studente ha criticato non solo il format, ma anche il periodo scelto per la messa in onda, che andrebbe a cadere in concomitanza con le festività natalizie: “Credo sia vergognoso ideare un’operazione che proprio sotto Natale, il periodo in cui vengono lanciate le grandi campagne di raccolta fondi delle organizzazioni non governative, venga messo in scena uno spettacolo grottesco e umiliante come quello di vedere raccontata la sofferenza umana dei rifugiati da personaggi estremamente discutibili e che probabilmente mai l’avrebbero fatto se non avessero visto un’immediata convenienza in termini di immagine e commerciale”.

In pochi giorni la raccolta firme è lievitata e si è tradotta in un’ondata di sdegno da tutta Italia e non solo, come testimoniano le centinaia di messaggi lasciati sotto la petizione: “I diritti umani non sono un business da prima serata! Questi temi meritano di più di un approccio da fiction televisiva” ha scritto Ketty Campi da Roma. “I rifugiati hanno bisogno di protezione e assistenza – fa eco Tarak Bach dall’Olanda – non di essere usati in uno show televisivo come se gli spettatori televisivi si trovassero al circo”. L’appello termina poi con alcune domande alla Rai sui costi del programma e sui compensi dei personaggi che vi prenderanno parte. “I vari vip parteciperanno senza prendere un gettone di partecipazione da parte della Rai? – chiede Andrea – Quanto spenderà la Rai per questo reality, sul campo e in studio, e quanto prevede di incassare con la vendita degli spazi pubblicitari durante le due puntate? A chi andranno quei soldi?”. E ancora: “I vip partecipanti hanno chiuso accordi o prevedono di farlo per ‘vendere’ servizi sulla loro esperienza ‘umanitaria’ a qualche settimanale o altra trasmissione televisiva? Se sì quanto incasseranno?” Tutti quesiti rimasti fino ad ora senza risposta.

Non è tardata anche la risposta dell’Unhcr: “Il nostro ruolo nell’ambito del programma Rai Mission – si legge sul sito dell’organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati – alla luce del suo mandato di protezione e assistenza ai rifugiati e in quanto responsabile della gestione dei campi dove verrà girato il programma, è quello di fornire assistenza e consulenza sui temi in questione”. E difende la scelta: “L’Unhcr ritiene che Mission rappresenti un’importante opportunità per far conoscere al grande pubblico il dramma di 45 milioni di persone nel mondo costrette ad abbandonare le proprie case, un’opportunità per dare visibilità a crisi umanitarie troppo spesso dimenticate” si legge ancora sul sito dell’Unhcr, che si dice infine “fiducioso che la Rai tratterà l’argomento con la massima sensibilità e delicatezza evitando ogni spettacolarizzazione”.

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