mercoledì 19 settembre 2012

Assassini fortunati


Qualche giorno fa, quando gli investigatori del com­missariato di Legnano si so­no recati al carcere milanese di San Vittore per notificargli un provvedimento, hanno scoperto che non c’era più. «A noi Roberto Colombo risulta agli arresti domi­ciliari dal 1˚ agosto, di più non siamo tenuti a sa­pere» hanno spiega­to gli impi­egati del­l’amministrazio­ne penitenzia­ria. «Ma com’è possibile? - han­no ribattuto i poli­ziotti sbigottiti - . Siamo stati noi stes­si ad arrestarlo lo scor­so 25 giugno con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà! Quest’uomo ha ammazzato la ex moglie, una 38enne madre di tre bambini, con 80 colpi di mattarello! Non è che l’avete portato in una delle vostre strutture mediche?». No. Roberto Colombo, nato a Bergamo 58 anni fa, primario di oculistica all’ospe­dale Moriggia Pelascini di Grave­dona (Como) e residente a Legna­no ­comune nel quale è stato can­didato dell’Italia dei Valori alle ul­time elezioni amministrative ­è at­tualmente ricoverato in una clini­ca privata lombarda. Quasi tre me­si fa ha ammazzato la sua ex nel­l’androne di casa, a Legnano. Ora, formalmente, per l’amministra­zione penitenziaria, è «ai domici­liari ». «Altrimenti, se fosse ancora in carico al carcere, sarebbe rico­verato in quello che noi chiamia­mo comunemente Opg, cioè un ospedale psichiatrico giudiziario. Regolarmente piantonato dalle forze dell’ordine visto il gravissi­mo reato che ha commesso. Ma trattandosi di “domiciliari” signifi­ca che nella clinica dove si è fatto ricoverare, nei limiti, può fare quel che vuole: non ci sono poli­ziotti o carabinieri a controllarlo a vista» ci spiegano a San Vittore. Uno dei due legali milanesi del­l’ormai ex primario, l’avvocato Ro­berto Bazzoni, non spiega e non commenta l’attuale posizione del suo assistito. Si limita a riferire che Colombo - il cui attuale stato di salute sarebbe «migliorato in questi mesi» perché l’uomo è sta­to seguito «da personale medico» dopo un periodo di «profonda af­flizione e prostrazione in cella» ­gli ha dato mandato per risarcire «ampiamente» i famigliari.

Decisamente più complicato è comprendere come un uomo che il pomeriggio del 25 giugno scorso ha colpito al capo la moglie 80 vol­te con un mattarello uccidendola, dopo averla attesa, nell’androne di casa - e che, davanti ai magistra­ti, si è finora sempre avvalso della facoltà di non rispondere - possa essere uscito dalla cella dove era detenuto appena 40 giorni dopo l’omicidio che ha commesso. «Il gip? Se anche avesse dato parere negativo alla sua scarcerazione, può essere stato il tribunale del rie­same a decidere altrimenti. In ogni caso è un vero e proprio scan­dalo», commenta la polizia. Impossibile, poi, quantificare un qualsiasi risarcimento per tre bambini di 7, 5 e 2 anni (il primo era nato da un precedente matri­monio della donna, ndr) che ora sono rimasti orfani. Soprattutto per il figlio maggiore di Stefania Cancelliere, involontario testimo­ne oculare dell’omicidio della ma­dre. Una donna che, in passato, aveva già denunciato l’ex marito per stalking, al punto che la poli­zia aveva tolto al primario le armi che lui deteneva regolarmente in casa nel timore che le usasse pro­prio contro la poveretta.

Proprio in questi giorni l’Asso­ciazione di volontariato onlus «Vittime del Dovere» - composta principalmente da parenti di ap­partenenti alle forze dell’ordine e armate caduti o feriti nell’adempi­mento del loro dovere - si è costitu­ita parte civile al tribunale di Gros­seto nel procedimento che vede imputato Matteo Gorelli. Il 20en­ne è accusato di omicidio per aver ucciso, il 25 aprile 2011, il 44enne appuntato dell’Arma Antonio Santarelli (morto in realtà 4 mesi fa, dopo 13 mesi di coma, ndr) e di lesioni gravissime per il ferimento di un altro carabiniere di 34 anni, Domenico Marino, che in quella stessa occasione perse un occhio. Tuttavia il gup di Grosseto Marco Bilisari ha recentemente sostitui­to la misura cautelare della custo­dia cautelare in carcere decisa per Gorelli con gli arresti domiciliari in una comunità milanese. «La certezza della pena è il ne­cessario collegamento tra i cittadi­ni e il sistema giustizia e primaria fonte di deterrenza del crimine» spiegano i membri dell’associa­zione.

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