sabato 14 maggio 2011
Milano, Pisapia e Moratti
Dunque i figli e le figlie di vittime del terrorismo si scagliano con veemenza contro Letizia Moratti per l’«attacco indegno» a Giuliano Pisapia. Sapete tutti di cosa si tratta. La signora sindaco di Milano ha ricordato, durante un faccia a faccia televisivo, che il suo avversario era stato coinvolto oltre trent’anni or sono in un’inchiesta su ambienti contigui al terrorismo, condannato per furto, amnistiato. In realtà Pisapia aveva rifiutato l’amnistia e preteso un processo d’appello, che lo assolse con formula piena.
Letizia Moratti è incorsa, questo mi pare evidente, in una deplorevole omissione la cui responsabilità suppongo debba essere attribuita ai suoi collaboratori. È spiacevole che l’errore sia avvenuto mentre è in corso una accesa campagna elettorale. Preferirei, personalmente, altri toni e altri argomenti. Ma tutto questo non autorizza nessuno a capovolgere il racconto della storia e a opporre l’avvocato Pisapia - come esempio di democratica fede e saggezza - alla figlia d’un deportato a Dachau. Con una singolare inversione dei ruoli, coloro che dal terrorismo brigatista furono atrocemente colpiti ne ravvisano le tracce nell’estremismo morattiano: del tutto scagionando da ogni vicinanza al mondo della violenza politica chi un tempo ne predicava l’utilità, anzi l’indispensabilità. Non sono un tifoso dell’archeologia giudiziaria. Il frugare tra vecchie carte per rinfacciarne i contenuti ai politici d’oggi non mi piace, come metodo polemico e propagandistico. La gente cambia, in decine d’anni, e si può sperare che anche Giuliano Pisapia sia cambiato. Ma qui stiamo parlando di qualcosa di diverso. Stiamo parlando di chi, colpito dalla ferocia del terrorismo, ostenta solidarietà e simpatia non per il Pisapia d’oggi, ma per il Pisapia degli anni di piombo. Cerchiamo di non raccontarci frottole edificanti. Intervistato da Elisabetta Soglio del Corriere Pisapia ha esaltato non il suo presente - gli riconosciamo il diritto di farlo - ma il suo passato. «La parte di sinistra di cui ho fatto parte - ha detto - ha fatto da argine per tanti giovani che altrimenti avrebbero scelto la strada del terrorismo. Abbiamo dato un’alternativa con una buona politica, fatta in mezzo alla gente e per la gente».
Questa versione edulcorata degli eccessi che caratterizzarono e insanguinarono una triste stagione italiana non può convincere chi, come me, quella stagione l’ha vissuta in una trincea giornalistica. Il raccontino dei «rivoluzionari» che in realtà svolgevano una missione di fratellanza, da francescani laici, e aiutavano i giovani ad astenersi da atti inconsulti, poteva andare bene per le Frattocchie: tra gli adulti e vaccinati d’oggi ha poco corso. Io li ricordo quei proclami e quegli incitamenti forsennati. Ne vedo la ripetizione in certe scalmane dei centri sociali e d’altre frange eversive. Non insinuo, sia chiaro, che il Pisapia aspirante alla poltrona di sindaco di Milano abbia molto a che fare con il Pisapia barricadiero d’antan . Lui si vanta di conoscere la borghesia illuminata milanese perché è da lì che viene. E rammenta che il padre era repubblicano e la madre cattolico-liberale. Non ne dubito. Marco Donat Cattin, lui sicuramente terrorista, era figlio di un notabile della Dc. Tra coloro che sottoscrissero il manifesto in cui il commissario Calabresi era bollato come assassino figuravano molti esponenti della buona società e della presunta buona cultura. Se mi si obietta che il passato è passato, sono d’accordo. Ma con juicio , senza stravolgere le circostanze e le responsabilità. Mi pare che nello schierarsi di figli e figlie d’ammazzati in favore di Giuliano Pisapia - il riferimento è a Marco Alessandrini, Benedetta Tobagi e Sabina Rossa - si intreccino un antiberlusconismo a prescindere e una grande indulgenza se non verso chi usò le armi, almeno verso chi usò parole che alle armi assomigliavano molto. Le assoluzioni cancellano i reati, bisogna tenerne scrupolosamente conto. Ma non cancellano i comportamenti seppure molto datati, non trasformano i dervisci impazziti d’allora in apostoli di tolleranza oggi.
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3 commenti:
D'altronde cosa volete aspettarvi da due simpatizzandi del PD, e che una è addirittura una loro deputata, anzi, se non erro, eurodeputata! (che tra l'altro si arrotonderebbero il già lauto emolumento facendo la cresta sul rimborso spese viaggi - vedere cassetta su Napolitano quand'era europarlamentare).
Sono perfettamente d'accordo con Martino Cervo già fin nel titolo. Ma se i figli delle vittime del terrorismo sono finiti nelle grinfie dei loro carnefici culturali nonché mandanti linguistici del terrorismo, la colpa è anche di un centrodestra inetto e incapace di fare una corretta politica di cooptazione al riguardo. Le buone relazioni si costruiscono facendo una'adeguata campagna di informazione e di cultura su che cosa siano stati realmente i famigerati "anni di piombo". Spiacente, ma il PdL non investe in cultura ma solo in ciance. Curioso per un Premier che è anche proprietario della Mondadori.
Per investire in cultura il PDL dovrebbe averne una. A Milano la cultura PDL di base non è neppure quella da capitalista sotto il livello di guardia -e sotto altri livelli di Berlusconi, quella è una conseguenza. La vera malattia è la Formigonite in tutte le sue monsignoresche consorterie. La chiamano cultura cattolica. Aiuto.
Dall'altra parte abbiamo un piccolo meridionale razzista che ha dichiarato il suo odio per tutto ciò che qui ancora è autoctono e quindi non è come lui, che rischia di mettere le sue piccole viscide mani su una città che disprezza ma da cui ancora resta qualcosa da succhiare. Fino alla fine. Grazie al suo uomo in loco finirà il lavoro di trasformare la mia città nel non-luogo perfetto.
Qui finisce "la città più bella del mondo". Se solo Stendhal avesse potuto immaginare....
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