sabato 14 maggio 2011

Trieste e le due sorelle

Questa piattaforma, ha qualche problema. Su segnalazione di Nessie, mi sono accorta che mancano posts e commenti. Non so quale sia il motivo di tante disfunzionalità... e certo non posso nemmeno intervenire perchè chissà in quale luogo occulto sta l'amministrazione, sempre che questa esista davvero. Quello che dispiace di più è che uno raccoglie notizie e riceve commenti e poi, puff, spariscono in un secondo ed è come perdere un pezzo di diario che ti accompagna da una vita. Il fatto è che non riesco nemmeno a ricordare quali siano i posts spariti e non riesco nemmeno a recuperare i commenti, comunque, la notizia delle due sorelle di Trieste la riposto ancora perchè mi pare molto molto importante. L'italia che abbraccia e coccola clandestini e lascia a se stessi gli italiani in condizione di fame e assoluto disagio.


TRIESTE — Non hanno pianto quel giorno di ottobre, quando con un martello hanno fatto a pezzi il loro passato. Otto mesi fa. Prima la camera da letto del papà, la spalliera, i materassi; poi i divani della sala; dopo le ante della cucina; infine il mobile del bagno. «Non volevamo lasciargli dentro niente, magari per farne godere una famiglia di rom, come è successo alla signora del piano di sotto». Avevano già pianto, e tanto, il 29 luglio, quando l’ufficiale giudiziario aveva notificato lo sfratto, non più prorogabile. «Abbiamo raccolto la nostra vita in pochi pacchi e l’abbiamo ammassata nella stanza di un amico d’infanzia. I mobili li abbiamo distrutti. Avremmo potuto portarli via il 1 ° ottobre, quando siamo ritornate per l’ultima volta nella casa dove siamo cresciute. Ma non avevamo un box dove conservarli. È stato un gesto di rabbia, di frustrazione. Almeno quello, lo abbiamo deciso noi». Cristina e Laura Di Sessa, 41 e 45 anni, ripetono ora con tono asciutto, sedute su una panchina di piazza Unità d’Italia a Trieste, quello che hanno raccontato in una lettera scritta a mano, come non usa quasi più, arrivata al Corriere della Sera pochi giorni fa.

Il loro padre, ex carabiniere, è scomparso nel 2008 per un tumore al retto. Loro hanno avuto novanta giorni per accudirlo e infine lasciarlo andare. Una prova già vissuta da adolescenti, quando è morta la madre, stessa malattia, al polmone, tre mesi anche lei. Al lutto paterno sono seguite le difficoltà finanziarie. Entrambe fino a quel momento avevano fatto lavori saltuari. Con i risparmi sono riuscite a pagare l’affitto fino a giugno 2009, 430 euro al Lloyd Adriatico (oggi Gruppo Allianz), proprietario dell’immobile. Tre mesi dopo la compagnia assicurativa ha fatto mandare una lettera dall’avvocato. Si va in Tribunale. Nel luglio del 2010 viene definita la data dello sfratto esecutivo: l’ 8 settembre. Ricorda Cristina: «Era mezzogiorno, sono arrivati in sei: gli avvocati, il medico legale, l’assistente sociale, i fabbri. Adesso ci ospita una vicina, ma ce ne dobbiamo andare. Dormiamo in cucina per terra, spostiamo il tavolo, stendiamo una trapunta. La mattina ci svegliamo presto, mettiamo in ordine e usciamo. Non possiamo restare lì di giorno». Continua Laura: «Ci laviamo a pezzi, non abbiamo le chiavi, non siamo libere. Torniamo la sera, quando hanno già finito di mangiare. Nel frattempo andiamo in giro, bussiamo a tante porte, cerchiamo lavoretti, qualunque cosa».

D’inverno, quando soffiava la bora, andavano alle Torri, il centro commerciale davanti al porto nuovo. Adesso Cristina e Laura vanno ogni giorno nel parcheggio dove è sistemata la loro vecchia macchina, un’Alfa 33 fuori uso. Sotto le tovaglie che la coprono si intravedono scatoloni colmi di romanzi e manuali universitari, qualche smalto nel cruscotto, tre boccette di acetone, un succo di albicocca e una confezione di croissant. «Leggevo sei libri al mese, prima. Ho lasciato l’università con la tesi già cominciata in Biologia della pesca: "Crescita e sviluppo delle vongole nel golfo di Trieste"» , spiega Cristina. Dopo, ha lavorato come commessa, ha fatto le pulizie in una farmacia, ha dato ripetizioni di matematica. Laura, invece, ha esperienze più strutturate, grazie al suo diploma tecnico-commerciale: «Sostituzioni di maternità in Regione, all’Asl, da architetti e avvocati». In questi mesi hanno chiesto aiuto ai parenti e ai servizi sociali. Inutilmente. Hanno scritto più volte al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha sempre risposto, facendo anche recapitare un assegno in Prefettura a gennaio. Si sono rivolte all’associazione nazionale dei carabinieri, e il comando generale ha fatto una donazione. «Noi però vorremmo un lavoro. E siamo disposte a lasciare Trieste, purché restiamo insieme. Chiediamo di poter ridare un senso alle nostre giornate, ritrovare una casa dove tornare la sera e accendere la tivù, aprire il frigo per vedere cosa manca, lavare e stirare i nostri vestiti» . Chiedono di ricominciare a vivere con dignità.


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