mercoledì 22 agosto 2012

Punti di vista...


E' finito il mese del Ramadan e a Milano è polemica sulla mancata partecipazione del sindaco Pisapia alle celebrazioni all'Arena. Il magistrato Guido Salvini, il giudice che da Piazza Fontana al calcio scommesse si è occupato di gran parte dei casi che hanno scritto la storia contemporanea in Italia, manda a Panorama.it una riflessione aperta sulla questione e sul senso dell'assenza del primo cittadino milanese alla festa religiosa. Ecco le sue parole:

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, nel rispondere all’invito di alcune associazioni islamiche a partecipare all’Arena alla cerimonia di chiusura del Ramadan, è in corso in una duplice confusione. Prima non ha dato una risposta chiara, creando l’aspettativa di una sua presenza, poi si è giustificato dietro il diritto a godere le, pur meritate, ferie. È mancata, come altre volte, la volontà di riflettere sui principi che dovrebbero delimitare, una volta per tutte, i compiti delle cariche civili e delle cariche religiose. Il Ramadan è un evento esclusivamente religioso. Chi lo organizza avrebbe potuto invitare il Vescovo o un suo rappresentante, un prete ortodosso o un Rabbino, dando un profondo segnale apertura al dialogo, che a quanto sembra non vi è stato. Ma la presenza del Sindaco in eventi simili è del tutto fuori luogo dato che, come autorità civile, non dovrebbe propendere o mostrare più “interesse” per alcuna delle forze in campo sul mercato religioso. Un principio che dovrebbe valere per tutte le fedi. Uno dei capi della comunità islamica Abdel Shaari, insoddisfatto del dono dell’Arena Civica per i giorni del Ramadan e della presenza comunque di un assessore, ha accusato il Sindaco di “mancanza di rispetto” nei confronti dei suoi correligionari e, con espressione poco gradevole, ha ricordato che questo “sgarbo” sarà “segnato nella memoria dei musulmani”.

Il portavoce islamico ha un’idea singolare del “rispetto” in una società laica. Ognuno di noi, amministratore o cittadino che sia, ha il dovere di fare attenzione a che ciascuno possa partecipare alle manifestazioni del suo culto e, in questo senso il problema delle Moschee a Milano è ancora aperto, e possa farlo liberamente senza essere disturbato e senza disturbare gli altri. Ma qui finiscono gli obblighi e ciò non comporta l’omaggio forzoso che Shaari pretenderebbe, anticamera psicologica di ogni società teocratica. La libertà consiste anche nella giusta distanza. Certamente chi partecipa a Ramadan non è un estraneo alla città. Serve, da parte dell’Amministrazione, il dialogo e l’impegno sui problemi concreti che incontrano nella vita di tutti i giorni. Questo vuol dire rapportarsi con gli stranieri non in quanto “fedeli” ma in quanto “immigrati” e su temi quali la casa, la sanità, il lavoro, l’istruzione. Per tutto ciò non serve il Ramadan ma ci sono, dai tempi delle prime amministrazioni socialiste del dopoguerra a Milano, i partiti, sindacati, le associazioni di inquilini, quelle che si occupano dei minori e così via. Gli immigrati presenti a Milano dovrebbero abituarsi a misurarsi con l’Amministrazione in quanto cittadini o aspiranti tali e non come fedeli e non solo attraverso i loro capi religiosi, invadendo in ogni momento con la religione la sfera pubblica. Si continua a dimenticare che diritti passano attraverso la cittadinanza individuale e la rappresentanza politica. Non passano attraverso una pericolosa rappresentanza religiosa che trasforma i capi religiosi in “sindaci di fatto” degli stranieri con un pieno potere di controllo sulle comunità e con l’effetto di indurre anche i meno zelanti a credere che l’integrazione sia possibile solo tramite il canale confessionale.

Alla celebrazione dell’Arena poi non pregano tutti i musulmani ma solo quelli del Centro di viale Jenner e di altri gruppi almeno in un recente passato piuttosto radicali mentre altre associazioni, più “moderate” o comunque concorrenti, come la Casa della Cultura Islamica, si sono riunite al Palalido o in altre sedi. Che senso avrebbe avuto per un Sindaco scegliere? La presenza o meno al Ramadan ha poi altri aspetti più spinosi su cui si preferisce tacere. Uscendo dall’ipocrisia, presenziare al Ramadan non è propriamente partecipare ad una festività natalizia. Non è una questione di numero di fedeli o della tradizione italiana di una festa ormai molto laicizzata. Forse al Natale è più facile presenziare mantenendo il proprio “orgoglio laico” semplicemente perché secoli di impegno e di pensiero illuminista hanno quantomeno molto eroso la pretesa della Chiesa Cattolica di sovrapporre le leggi religiose a quelli civili. Al Ramadan dell’Arena invece uomini e donne continueranno a pregare ben separati e molte donne probabilmente con abiti vicini al burqa. Del resto sermone finale sarà tenuto da uno dei fondatori del partito tunisino di governo Ennahda. Il partito islamico che ha proposto nella nuova Costituzione un articolo che stabilisce che la donna “è complementare all’uomo” in seno alla famiglia e a lui “associata nello sviluppo della patria”, cancellando così l’uguaglianza almeno formale precedente. Siamo sicuri che le donne che partecipano al Ramadan milanese godano in famiglia e in tutta la loro vita delle libertà civili? Si può presenziare fingendo che questo dubbio non esista?

1 commenti:

Maria Luisa ha detto...

e questo soggetto è stato invitato in Italia:
http://www.corrispondenzaromana.it/lislam-cambia-marcia-e-punta-sulleuropa/

Maria Luisa