Un pezzo davvero pieno di inutile retorica e stronzate degne di un giornale in edicola su Marte. Quindi per questa privilegiata che non ha mai sudato un giorno per conquistarsi il posto di lavoro, il mondo vero sono i Maneskin che giocano a fare i rocker fluidi degli anni 2000, delineando un modello commercialmente poco credibile ma molto vendibile, e non i ragazzi del nostro paese, da Nord a Sud, che ogni mattina si mettono le scarpe da lavoro, una felpa, un cappotto e i guanti oppure la camicia e la giacca e la cravatta con il nodo non ben stretto perché non c’è tempo, e le ragazze che si preparano in fretta per entrare in ufficio, per aprire un negozio, per correre all’università. No, quello non è il mondo vero. Quello in cui ci si sveglia all’alba con la macchina gelata parcheggiata sotto casa, quello delle code infinite in tangenziale, del panino mangiato in 15 minuti durante la pausa pranzo, del mese in cui non puoi nemmeno mangiare una pizza con gli amici perché, oltre alle bollette che sono raddoppiate, hai dovuto pagare anche l’assicurazione auto. Eh, ma il mondo reale sono i Maneskin che non raccontano la storia di loro stessi, ma la storia di un immaginario di loro stessi. Un falso contemporaneo, degno dei telembonitori degli anni ‘80 tipo la televendita del Miracle Blade, il coltello magico che nessuno ha mai confermato avere quelle straordinarie caratteristiche, ma che noi - oggi 40enni - ricordiamo come qualcosa eccezionale. E guai a chi prova a sostenere il contrario. No, cara Maria Corbi, il mondo vero non sono i ragazzi sotto il palcoscenico dei Maneskin (peraltro americani e non italiani e la differenza c’è, anche se voi progressisti pensate all’essere umano come un individuo nudo utile solo ad acquistare prodotti dalle multinazionali, senza identità) che applaudono a un perizoma con la lingua dei Rolling Stones. E poi che c’è di così innovativo? Noi impazzivamo sotto il palcoscenico di Marylin Manson che bruciava le bibbie, si feriva con le bottiglie rotte, picchiava i componenti della sua band e forse anche peggio. Però quella non era la realtà, non era il “vero”, era uno spettacolo, era immaginario collettivo. Smettetela - per favore - di raccontare balle a questi ragazzi ventenni di oggi, confusi, un po’ rincretiniti, arrabbiati, annoiati, senza deambulatore per imparare a camminare sulla strada giusta. Smettetela una volta per tutte di raccontare che la realtà è quella senza genere, senza radici, senza confini comportamentali, quella di quattro loro coetanei che hanno avuto successo. Smettetela di confondere i diritti dei più deboli (ecco, quelle sono cose vere) con i capricci delle élite. Smettetela di dire la totale bugia che senza il ddl Zan certi diritti non sono tutelati. È falso! Dalla violenza la legge ci protegge e se vogliamo che la legge identifichi l’omofobia tra le violenze, corriamo a scriverlo subito. Parlandone tutti insieme, mediando, trovando una sintesi tra le varie posizioni. Così si fanno le leggi. Il DDL ZAN, cara Maria, non lo voleva nessuno, nemmeno chi l’ha proposto (forse l’unico che ci credeva era il povero Zan), serviva cinicamente solo per dare benzina al consenso. E così è stato. Per il resto, che dire? Si faccia un giro - domattina alle 8 - in qualche stabilimento dove a quell’ora si entra a lavorare non con il perizoma dei Rolling Stones, ma con il sacrificio che - forse - lei non conosce.
Commento di Andrea Spadoni a questo penoso articolo de La Stampa.
Questo, è parte dell’articolo di Maria Corbi
«Siamo fuori di testa ma diversi da loro», cantano i Maneskin a New York davanti a un pubblico in delirio, una folla che nemmeno immagina quanto quelle parole assumano un significato preciso in Italia adesso che il ddl Zan è stato affossato da una politica che forse dovrebbe farsi un giro sotto a quel palco, tra quei ragazzi, nel mondo quello «vero» dove il riconoscimento dei diritti, della libertà di essere come si è, e non come si dovrebbe essere, non è nemmeno un tema. È la vita. Invece le sterili e antiche questioni sulle differenze di genere, ma non solo, si aggirano come fantasmi per le stanze della politica. Quando dovrebbero trovare posto in un capitolo di un libro di storia, come memoria. Che allegria vedere Damiano che canta con un collare con la scritta "Sex" e un perizoma con su la lingua dei Rolling Stones indossato sopra i pantaloni. Che tristezza vedere Simone Pillon che al Senato incontra Gaetano Quagliarello e si congratula: «Ci hai regalato un sogno». Quel che è certo è che il sogno lui, come gli altri impallinatori, lo hanno tolto alle persone invisibili, discriminate, bersaglio dei comportamenti d'odio che speravano in una protezione della legge, della politica.
[...] Se solo i signori deputati e senatori uscissero qualche ora dalle stanze del potere, sempre più simili a una playstation dove si gioca con la vita degli altri, in una continua e sterile contrapposizione, capirebbero qualcosa.
Il commento completo di Maria Corbi è su La Stampa
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