martedì 2 ottobre 2012

Un paio di giorni fa...


Enrico Bondi tutte le mattine arriva nel suo ufficio al primo piano del ministero dell'Economia alle 8.30 e va via dopo circa 12 ore, ma pochissimi sanno quello che fa. Lo sa ovviamente il presidente del Consiglio, Mario Monti, che a questo anziano manager, che venerdì compirà 78 anni, ha affidato il compito di risanare l'azienda Italia, dopo aver rimesso a posto Montedison e Parmalat. Monti è stato così contento della prima operazionedi revisione della spesa pubblica, la cosiddetta spending review, varata su proposta dello stesso Bondi il 5 luglio, che ha chiesto al supercommissario di andare avanti. Dopo aver tagliato gli sprechi negli acquisti pubblici di beni e servizi, aver disposto la riduzione dei dipendenti pubblici, quella delle Province, il taglio delle auto blu, e quello dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, Bondi dovrebbe proseguire a caccia di altri risparmi, dopo i 26 miliardi di euro individuati per il triennio 2012-2014. I nuovi provvedimenti arriveranno, a metà ottobre, con la legge di Stabilità, quella che una volta si chiamava Finanziaria. Intanto però, Monti, Bondi e gli altri ministri interessati sono alle prese con le mille difficoltà che sta attraversando il processo di attuazione del provvedimento di luglio. Difficoltà inevitabili, se si pensa che il decreto legge 95 prevedeva circa cento provvedimenti applicativi fra regolamenti, circolari, direttive, decreti ministeriali e interministeriali. Ma il fatto è che stanno emergendo non solo ostacoli procedurali, ma resistenze di ogni genere.

Prendiamo il taglio dei dipendenti pubblici: del 20% per quanto riguarda i dirigenti, del 10% per il restante personale. La norma interessa i ministeri e tutte le altre amministrazioni centrali e gli enti pubblici non economici. La circolare del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, prevedeva che tutti questi soggetti dovessero inviare le loro proposte di taglio entro il 28 settembre se sono enti o agenzie - cioè avrebbero dovuto farlo al massimo l'altro ieri -, oppure entro giovedì prossimo negli altri casi. Al ministero sono ottimisti, dicono che «i moduli stanno arrivando» ma intanto hanno convocato per domani mattina a Palazzo Vidoni i capi del personale di tutte le amministrazioni interessate. Cercheranno di convincerli non solo a far presto, ma anche che devono proporre tagli superiori alle soglie indicate dalla legge, altrimenti non saranno possibili le «compensazioni» tra un ufficio e l'altro, cioè quegli aggiustamenti (spostamenti e mobilità) finalizzati a evitare tagli lineari e licenziamenti. Ma i desiderata del governo si scontrano già con i problemi sollevati formalmente da alcune amministrazioni di prima grandezza. Per esempio, l'Inps. Il presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua, ha scritto una lettera al ministro Patroni Griffi chiedendogli senza tanti giri di parole di «non ricomprendere l'Inps nell'ambito della riduzione delle dotazioni organiche». Altrimenti verrebbe messa a repentaglio la «tenuta dei servizi e, nel complesso, dell'efficienza del Welfare del Paese». Negli ultimi 15 anni, conclude Mastrapasqua, i dipendenti dell'Inps sono già diminuiti da 42 mila a meno di 27 mila. Ora è vero che con l'incorporazione di Inpdap ed Enpals il SuperInps avrà 34 mila dipendenti ma è pur sempre la metà, dice il presidente, rispetto ai 70 mila del superInps tedesco e un terzo nei confronti dei cugini francesi.

Dal centro alla periferia, le resistenze, se possibile, aumentano. Il caso eclatante è quello delle 107 Province. La legge ne prevede il dimezzamento, ma sono le Regioni, anche qui, a dover proporre l'accorpamento tra gli enti presenti nel loro territorio. E anche qui c'è un termine, che scadrà fra appena tre giorni, mercoledì 3 ottobre, assegnato ai Consigli delle autonomie locali, e uno appena più in là, il 23 ottobre, per le proposte finali delle Regioni. Bene, pure in questo caso, vista l'aria che tira, Patroni Griffi ha dovuto fare la voce grossa e in un doppio incontro che ha avuto con i governatori e con l'Upi, l'unione delle province, ha avvertito tutti che se le proposte non arriveranno, il governo procederà d'ufficio, se necessario anche con un decreto legge. Vedremo. Monti e Bondi comunque guardano avanti. Il governo ha individuato almeno altri tre campi sui quali intervenire per ridurre ancora la spesa pubblica improduttiva: gli incentivi alle imprese, dove ha chiesto una consulenza all'economista Francesco Giavazzi, i costi della politica, dove si è rivolto all'ex premier Giuliano Amato, la giungla delle agevolazioni fiscali, già censite a suo tempo in oltre 720 per un valore di 260 miliardi dal sottosegretario Vieri Ceriani. Il nuovo pacchetto di misure di riduzione della spesa pubblica ha un obiettivo minimo: trovare circa 6 miliardi e mezzo di euro per evitare che dal primo luglio 2013 le aliquote Iva del 10% e del 21% aumentino di due punti.

L'operazione è complicata su tutti e tre i fronti. Per quanto riguarda gli incentivi alle imprese, i tagli sui quali si lavora non ammontano ai 10 miliardi suggeriti da Giavazzi, ma a 2-2,5 miliardi, ai quali si potrebbero sommare altrettanti risparmi eliminando parte degli incentivi regionali, ma qui il governo non può intervenire direttamente a causa dell'autonomia concessa in materia dal titolo V della Costituzione. Quanto alle agevolazioni fiscali, buona parte sono intoccabili perché si tratta di detrazioni familiari e per spese mediche. Infine, i costi della politica. Qui ci sono ampi margini. Il governo comincerà a intervenire già giovedì con un decreto legge taglia costi e taglia poltrone. L'importante è che poi vada avanti.

Enrico Marro

2 commenti:

johnny doe ha detto...

E Amato,vi ricordate? chissà mai che avrà fatto questa sciagura italiana!
Il resto pare tutta una bufala...tagli dalle parte di lor signori,solo briciole...

Eleonora ha detto...

Tutti geni. Davvero. E pagati profumatamente da noi senza che nessuno li abbia richiesti a ricoprire quei ruoli.