Quando le turbe mentali del politically correct entrano nelle istituzioni e nella cultura di una nazione, iniziano a corroderla da dentro. È una sorta di malattia autoimmune che induce l'organismo a rivoltarsi contro se stesso. A farsi del male. Il risultato finale di questo processo non è il progresso, bensì l'autodistruzione. Tutte le colonne portanti di un Paese vengono minate, giorno dopo giorno. Si parte dal senso di appartenenza ad un'unica comunità legata da lingua, costumi, Storia, letteratura, arte, modi di vivere. Non si tratta di semplici critiche o inviti all'innovazione, bensì bordate violente e demonizzazioni isteriche. Il passato smette di essere maestro e guida, viene trascinato nel fango, distorto e trasformato in un macigno di cui liberarsi. Vengono riscritte pagine di Storia, abbattute statue, censurati libri ed opere, rinominate vie, vietate parole. Il tutto per espiare una fasulla colpa autoindotta e perseguire una sfrenata volontà di dissolversi.
Una volta devastato il passato, si passa all'individuo. Ogni appiglio ad una qualsiasi identità viene smantellato: il colore della propria pelle, il proprio sesso, la propria famiglia. Tutto diventa liquido, vuoto e senza senso. Si può essere qualsiasi cosa, dunque non si è nulla. Infine, si colpisce il lato spirituale dell'essere umano. E non si tratta solo della dissacrazione del credo religioso (purché sia quello della cultura intaccata da questa malattia, sia ben chiaro), ma dell'odio verso tutto ciò che può innalzare l'uomo, come la bellezza, l'armonia o il semplice rifiuto del materialismo. L'arte diventa spazzatura autoreferenziale, l'architettura abbbraccia lo squallore alienante. Tutto è livellato verso il basso, standardizzato, uniformato. L'effetto di questa follia su nazioni ricche di Storia, cultura ed identità come quelle europee equivale ad una secchiata di vernice addosso ad un quadro rinascimentale: uno sfregio inaudito. Un danno che molto difficilmente potrà essere riparato. Quando tale abominio incontra l'interesse politico ed economico nel creare una massa di consumatori apolidi, il gioco è fatto. Ma è un gioco a cui tutti noi dovremmo smettere di partecipare.
Matteo Brandi
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