mercoledì 5 ottobre 2016

L' odio del governo verso gli italiani

“Investi in Italia, gli stipendi sono bassi”, l’autogol della brochure del Governo. Una brochure ministeriale rivolta alle imprese straniere sottolinea che insediarsi in Italia è vantaggioso perché i laureati costano meno che in altri Paesi europei. Ma come? Vogliamo metterci a competere sul costo del lavoro? di Eleonora Voltolina

Il mercato del lavoro italiano ha bisogno di imprese straniere che aprano in Italia, creando posti di lavoro? Certamente sì.Per attirare queste imprese in Italia dobbiamo giocarci tutte le carte, evidenziando il più possibile i vantaggi che il nostro sistema Paese può offrire e sperando che riescano a controbilanciare tutti gli aspetti negativi che solitamente vengono associati all'Italia – dal costo dell'energia all'inefficienza della pubblica amministrazione (con annessa impenetrabilità della burocrazia), dalla lentezza della giustizia all'incertezza del diritto? Giusto, dobbiamo giocarci tutte le carte. O forse no. Non proprio tutte.

Magari, ecco, cercare di convincere le aziende straniere a venire ad insediarsi da noi magnificando il basso costo dei nostri cervelli, anche no. Citare tra i vantaggi competitivi il fatto che un laureato costi un quarto in meno rispetto ad altri Paesi europei, anche no. Sottolineare che i nostri salari sono bassissimi, anche per le persone con alto grado di scolarizzazione… Ehi, davvero vogliamo puntare su questo? Davvero vogliamo proporre il nostro come un Paese da terzo mondo, rincorrendo un modello di competitività indiano invece che puntare a modelli europei?
Perché é quello che appare in una brochure distribuita pochi giorni fa, all'evento di presentazione del piano nazionale Industria 4.0. Il presidente del consiglio Matteo Renzi sul palco a snocciolare i progetti per rilanciare l'economia, e in cartella stampa questa brochure dal titoloInvest in Italy”, sottotitolo “The right place, the right time for an extraordinary opportunity”. Si elencano le riforme “pro business” del mercato del lavoro, gli incentivi agli investimenti, i distretti industriali, il capitale umano e il talento…

Ecco, appunto: il capitale umano e il talento. «L'Italia offre un livello di retribuzione competitivo, che cresce meno che nel resto d'Europa, e una forza lavoro altamente qualificata». stage lavoroInsomma la brochure – peraltro, fatta bene nel complesso: chiara, esaustiva e ben impaginata, si vede che non ci ha messo le mani il ministero della Salute... – presenta come un dato positivo il fatto che in Italia abbiamo stipendi bassi. «Un ingegnere in Italia guadagna in media un salario di 38.500 euro, quando in altri paesi europei lo stesso profilo ne guadagna mediamente 48.800». Con tanto di grafici.

Anche perché c'è un vero e proprio paradosso: un governo che presenta all'estero come “vantaggio” un dato che all'interno, per i cittadini, é un dramma – e tra le prime cause della nuova emigrazione. Che i lavoratori italiani siano pagati troppo poco è un dato politicamente negativo, che chi governa deve impegnarsi a mutare attuando politiche che abbiano come obiettivo quello di dare a tutti, specialmente a chi ha un'alta formazione, opportunità di impiego più eque e dignitose dal punto di vista della retribuzione. Dato questo presupposto, “vendere” i bassi salari come fattore competitivo dell'Italia è ben poco sensato, se contemporaneamente si dovrebbe lavorare per farli salire! Qualcuno dirà: per portare a casa il risultato non si deve andare troppo per il sottile. Se qualche azienda, allettata anche dalla possibilità di poter pagare poco i dipendenti, sceglierà di stabilirsi in Italia, noi ci avremo guadagnato posti di lavoro – tanti disoccupati, pure gli ingegneri, avranno contratti e stipendi, e pazienza se sono più bassi che nel resto d'Europa e crescono pure di meno. Dunque tutti contenti.

Io capisco questa visione “utilitaristica”. Giuro, comprendo il ragionamento. Ma il costo del lavoro non è un fattore di competitività! Se così fosse, la Svizzera sarebbe ultima nel panorama mondiale – invece è ai primi posti. La battaglia sul costo del lavoro non è solo una battaglia ingiusta, è sopratutto una battaglia persa: un ingegnere indiano costa e continuerà a lungo a costare un decimo di uno italiano. Non è quello il punto. La riforma del lavoro che sosteniamo serve a permettere alle aziende di fronteggiare con maggiori strumenti le variazioni ormai vertiginose del mercato, per permettere loro di fare investimenti che un domani non le affondino, per aiutarle a rischiare di più in innovazione. Il costo del lavoro non è e non potrà mai essere un nostro asset, perché attrae aziende che non investono in innovazione.

Lavoriamo invece tutti insieme per valorizzare l'università e la ricerca, riformare la fiscalità in modo che sia chiara e semplice, lavoriamo sui costi dell'energia e sulle infrastrutture, prevediamo incentivi intelligenti rivolti alle aziende straniere che scelgano di stabilirsi da noi. Questa è la chiave per convincerle a venire in Italia. Che il fine giustifichi i mezzi non mi è, francamente, mai andato giù. Ora arriviamo al punto di fare brochure dicendo “Venite in Italia, i nostri ingegneri sono bravissimi e costano poco”: perdonatemi, ma siamo proprio fuori strada.

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