sabato 14 giugno 2025

La magistratura e le forze dell’ordine

Ancora annichiliti, con il cuore spezzato dal dolore e colmo di rabbia per l’omicidio dell’eroico Brigadiere Legrottaglie; mentre stiamo interrogandoci ossessivamente se nei suoi ultimi pensieri, durante l’audace inseguimento, fosse mai scattata una maledetta titubanza paralizzante, generata dal timore di non premere il grilletto per evitare di finire i suoi giorni di poliziotto per iniziare quelli di presunto criminale; quando ci chiediamo sdegnati dove siano finite tutte quelle frotte di giornalisti schiamazzanti che si accalcano se la vittima dell’inseguimento è il balordo che l’ha generato, mettendo a rischio la sua vita e quella altrui; ecco che quei giornalisti ricompaiono e fugano spietatamente ogni dubbio comunicandoci, con asettico distacco, la notizia del giorno:


«INDAGATI PER OMICIDIO COLPOSO I POLIZIOTTI CHE HANNO CATTURATO I BANDITI A GROTTAGLIE».


E così, per l’ennesima volta, come da consuetudine, la magistratura italiana emette il famigerato “atto dovuto”, che stavolta si abbatte sul capo di quei poliziotti che hanno catturato gli assassini del Brigadiere, dopo un conflitto a fuoco, al termine del quale uno dei due decedeva. E anche stavolta l’iscrizione nel registro degli indagati avviene senza che a loro carico paiono emergere concreti indizi di colpevolezza, così come espressamente previsto dall’art.335 del codice di procedura penale. Anche stavolta si procede per mera presunzione di colpevolezza. Né si può ipotizzare che il bandito superstite abbia rilasciato dichiarazioni indizianti contro di loro, poiché, come risulta dalle cronache, si è subito chiuso in un ferreo mutismo. Quali sono, allora, le “risultanze fino a questo momento acquisite che possano verosimilmente attribuirgli un vero e proprio reato”, come scritto, nero su bianco, nella legge? In quale anfratto del codice di procedura penale è mai previsto siffatto automatismo? Non esiste! Non è mai esistito!


E così, mentre i poliziotti assumono l’indegno ed umiliante status di indagati, nel contempo a moglie, fratelli e figli dell’assassino viene notificata l’assunzione della figura di… “parti lese”.  Probabilmente per non inimicarsi il Pubblico Ministero, l’avvocato dei poliziotti abbozza una giustificazione del suo operato: «Ritengo sia un atto doveroso finalizzato ad accertare le cause e le dinamiche dell’accaduto» No! Non c’è nulla di “doveroso”! E’ un atto non previsto, anzi è un atto contrario al dettato normativo! Certo, per dirla tutta, lo si fa anche per permettere ai poliziotti di partecipare agli accertamenti tecnici irripetibili (quali l’autopsia del bandito deceduto) con dei propri consulenti tecnici. Partecipazione che, senza la qualifica di “indagati”, gli sarebbe preclusa. Ma è paradossale che con l’intento (o la scusa) di favorire qualcuno lo si danneggi! Ecco cosa doveva fare il Decreto Sicurezza: creare una norma che desse la possibilità agli agenti che, nell’adempimento del loro dovere, avessero fatto uso delle armi, dei mezzi di coercizione o della forza fisica (art.53 codice penale), di poter partecipare agli atti irripetibili tramite propri consulenti tecnici pagati dallo Stato. Anticipargli le spese legali con quei 10.000 euro, se da un lato sopperisce alle prime difficoltà economiche, dall’altro è come lanciare un messaggio di tolleranza e giustificazione alla consuetudine dell’atto dovuto, anche quando dovuto non lo è affatto! anche quando è del tutto illecito!


Salvino Paternò 

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