Oggi, in teoria, dovrei andare a votare in un referendum che dimezza il tempo per richiedere la cittadinanza italiana, che passerebbe da 10 a 5 anni. Per i promotori, quindi i sinistri, 2,5 milioni di stranieri potrebbero diventare italiani a tutti gli effetti. Ora io ho fatto i 10 anni tutti interi, e so cosa significa aspettare un decennio prima di avere una qualche certezza di stabilità o addirittura libertà di movimento (ai miei tempi per il rinnovo del permesso di un anno ci voleva un anno, e nel frattempo con la ricevuta non si poteva manco tornare in vacanza nel paese di origine). Però io non sono cieco: vedo anche che l’immigrazione che arriva in Italia non è fatta di ingegneri e astronauti che parlano fluente italiano scelta in base ad una graduatoria di punteggi, ma di povera gente semianalfabeta che viene dalle campagne e periferie del terzo mondo (e parlo dei regolari). 5 anni non bastano affinché capiscano dove sono capitati, figuriamoci integrarsi. E poi ritrovarsi di colpo con 2,5 milioni di cittadini in più è una sfida che farebbe crollare l’intero apparato burocratico italiano: non riescono a fornire ai cittadini i passaporti e le carte di identità in tempo già ora, figuriamoci con milioni di richieste in più. E poi, francamente, permettere ai sinistri di rivendicare questo colpo di stato demografico, facendo incetta di voti facili che neanche i fratelli musulmani in Egitto quando promettevano il paradiso e una bottiglia d’olio in cambio del voto, anche no. Quindi non solo non andrò a votare, ma vi esorto a godervi la bella giornata di sole al mare e mandarli tutti a stendere. E ve lo dico da cittadino naturalizzato che ha penato per averla, la cittadinanza.
Sherif El Sebaie
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