mercoledì 5 agosto 2020
La democrazia sta per collassare
La democrazia si basa su equilibri molto delicati, pesi e contrappesi costruiti dopo secoli di errori, dibattiti, guerre e lotte sanguinose. Elemento imprescindibile della democrazia è la libertà dell’espressione del pensiero, senza la quale nessuna democrazia può dirsi compiuta. Ma non basta. Ulteriore elemento imprescindibile è l’equilibrio tra poteri dello Stato. Al Parlamento, sede della sovranità popolare, spetta il potere legislativo, al governo quello esecutivo e alla magistratura – che non è un potere ma un ordine dello Stato – la funzione giurisdizionale. Nel momento in cui si aprono delle crepe in questa delicata struttura, pur se l’impalcatura tardasse a collassare, ha comunque avvio una fase teoricamente irreversibile di Restaurazione. Un ritorno al passato ma senza neppure gli equilibri del passato, perché la casa – nella sua costruzione – si regge su materiali di storia giuridica differenti da quelli del passato. Mi spiego meglio. Se si costruisce una struttura statale su un sensibile e delicato equilibrio parlamentare, dove si mette il Parlamento al centro delle decisioni e si condiziona il governo al controllo delle Camere, qualora questo equilibrio subisse uno scompenso a tal punto da giungere ad una radicale inversione dell’asse (fa tutto il governo e le Camere a malapena ratificano), la conseguenza più probabile è la deriva autoritaria. E il motivo è semplice: nell’inversione dell’asse degli equilibri tipizzati non sono previsti nuovi equilibri, quindi la deriva autoritaria non trova ostacoli. Ma v’è di più. Se la magistratura, invece di esercitare con imparzialità e buon senso la funzione giurisdizionale, si mette a perseguitare – addirittura con metodo e continuità – i leader politici (spesso dell’opposizione) considerati nemici “ideologici” o di sistema, è evidente che le crepe nella struttura democratica si facciano irreversibili.
Se poi l’arbitro, per circa tre decenni, è scelto o indicato sempre dalla stessa parte politica, e capita talvolta che favorisca sempre la stessa squadra, non v’è dubbio che il regime democratico subisca un duro contraccolpo. Negli ultimi cinque mesi il colpo di grazia: la libertà personale limitata con semplici atti amministrativi del Presidente del Consiglio (Dpcm), senza alcun rispetto della riserva di legge assoluta e giurisdizionale prevista dall’art. 13 della Costituzione. E nell’ultima settimana una escalation del governo – e della maggioranza parlamentare – senza precedenti nella storia repubblicana: proroga dello stato di emergenza in assenza di una attuale e imminente emergenza; a processo il leader dell’opposizione per aver difeso i confini nazionali e intromissione senza precedenti nella potestà legislativa di una regione in materia elettorale. Un approfondimento. Si pensi ad esempio alla potestà legislativa dello Stato: prerogativa del Parlamento, essa può essere esercitata dal governo solo in due casi: su precisa delega parlamentare (decreto legislativo) o in “casi straordinari di necessità e d’urgenza” (decreto legge). In tale ipotesi l’Assemblea Costituente chiarì che per “casi straordinari di necessità e d’urgenza” dovevano intendersi quei soli casi eccezionali per cui i tempi di convocazione del Parlamento avrebbero reso vana la necessità di un intervento tempestivo da parte dello Stato. Il Parlamento sarebbe intervenuto ex-post nel procedimento di conversione in legge (anche con modificazioni) entro il termine perentorio di sessanta giorni. Negli ultimi mesi, da fine febbraio ad oggi, al Parlamento è stata sottratta del tutto la potestà legislativa, passata interamente nelle mani del governo. È pur vero che nei primi tempi dell’epidemia era l’unica via percorribile, ma dopo – quando l’emergenza era ormai sotto controllo – la funzione legislativa è saldamente rimasta al governo, con le Camere relegate a mero ruolo di ratifica ex-post.
In tutto questo, gli “strillatori di libertà” che fino all’anno scorso si strappavano i capelli se qualcuno parlava di “pieni poteri“, sono stati i primi ad avallare gli abusi costituzionali del Presidente del Consiglio, consegnando proprio a lui – e a lui solo – i pieni poteri de facto. Insomma, gli equilibri faticosamente costruiti nel 1946-47, sfociati nella Costituzione del 1948, sono ormai lettera morta. Eppure tutto è avvenuto nell’apparente rispetto delle forme. Del resto, come la storia ci insegna, ogni dittatura si è sempre instaurata nel rispetto della forma. Il punto nevralgico è che non è più la forma a farsi sostanza, ma la sostanza – quindi i comportamenti concludenti – a farsi forma e a sostituirsi agli equilibri faticosamente costruiti e prefissati. È venuta meno la forma-diga. Il prossimo passo, il cui percorso è già iniziato ed è a buon punto, sarà la censura del libero pensiero. La democrazia sta per collassare.
Giuseppe Palma
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