martedì 30 marzo 2021

No alla nuova normalità

Il fatto più mostruoso ed inaccettabile da un anno a questa parte è che molti  Italiani non trovino disumano che ci siano persone condannate senza colpa a non dover lavorare, ergo, a non poter avere il necessario, se non per carità: ed ho pure letto alcuni commenti di questo tenore: “Io gente che muore di fame non ne vedo, mentre vedo persone morire nelle terapie intensive”. 


Un classico, frutto delle informazioni a senso unico che ci vengono costantemente propinate. Il fatto che qualcosa non si sappia, non vuol dire che non succeda. Cari signori, nessuno (o quasi) ne parla, ma i suicidi, anche fra i più giovani, sono aumentati ed anche i tentativi di autolesionismo. Proprio l’altro giorno un cuoco in Italia si è buttato sotto un treno per disperazione (e non devo spiegarvi il motivo) ma la notizia è passata in sordina. Si deve rispettare la paura e, giustamente, non si deve sottovalutare la malattia, che pare essere l’unica importare ai più. Ma si deve anche rispettare chi è vivo e si deve smettere di spacciare per “nuova normalità” quello che è una deriva dell’ipocondria ed un’aberrazione della “nuova” società. Ieri, su La Nazione, uno storico (Giovanni De Luna) ed un sociologo (Vanni Codeluppi) a confronto: il primo definiva questa pandemia come un nuovo 11 settembre, con il mantra (che io aborro) che nulla sarà come prima, il secondo andava oltre, perché oltre a predire che “la vita non sarà più la stessa”, all’osservazione della giornalista, che faceva notare che, dopo un anno di emergenza, la gente comincia a ritenere strano (?) che nei film ci si abbracci, ha dichiarato: “E’ così, ed è un bene. L’essere umano si adatta velocemente”.


Capito? Dopo l’11 settembre, abbiamo accettato di essere trattati tutti come potenziali terroristi, all’aeroporto, mentre dopo la pandemia, a detta di certi soloni, dovremmo accettare di essere trattati come potenziali malati, sine die. Del resto, i fanatici delle chiusure ed i resta-a-casisti, hanno deciso per noi che dobbiamo essere tutti agli arresti domiciliari, come presunti colpevoli. Tanto irrazionale è questo atteggiamento, ad ogni livello, che nessuno si pone davvero il problema che qualcuno non possa più lavorare, per legge, e, si badi bene, in una Repubblica fondata sul LAVORO. Se però, per provocazione, si proponesse di sospendere a tutti, fino al termine dell’emergenza, lo stipendio che pure in quest’ultimo anno  è stato regolarmente erogato, i diretti interessati, quelli che latrano “restate a casa” (tanto a loro, che cosa cambia, con lo stipendio assicurato?) insorgerebbero e probabilmente farebbero capire che gli egoisti non sono quelli che loro bollano come tali, perché chiedono solo di lavorare e di vivere, ma proprio coloro che non hanno alcuna empatia verso chi è caduto in disgrazia senza colpa, perché per la pancia piena la fame non esiste. Tranquilli, non cadiamo nella trappola del divide et impera, non si deve scatenare una guerra fra i cittadini: nessuno vuole che sia tolto qualcosa a qualcuno. C’è solo una voce forte che grida che non vuole sussidi ed elemosine, ma solo la possibilità di lavorare ancora.  Non è una concessione, è un diritto. Restiamo umani. Questa volta lo diciamo noi.


Stefano Burbi

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