venerdì 16 gennaio 2015

Sulla "sicurezza"

La nuova minaccia alla rete arriva dall’Europa di Claudio Messora

“Siamo preoccupati dalla frequenza crescente dell’uso di internet per alimentare odio e disprezzo e segnaliamo la nostra determinazione ad assicurare che non si abusi di internet in questa direzione, salvaguardando, nel pieno rispetto delle libertà fondamentali, la libertà di espressione. Con questo in mente, la collaborazione dei maggiori internet provider è essenziale per creare le condizioni per avere segnalazioni veloci di materiale teso a fomentare odio e terrore e per la sua rimozione, ove possibile e appropriato.” Così tutti i maggiori leader europei, in questa dichiarazione congiunta.

La nuova minaccia alla rete arriva dall’Europa, che dunque presto si farà carico di emanare una direttiva per tentare di chiedere agli internet service provider di farsi carico del monitoraggio delle conversazioni che scorrono in rete. Cosa del tutto impossibile, perché richiederebbe un dispiegamento di mezzi che nessuno ha a disposizione, a meno di non attuare una politica repressiva e brutale dove chiunque menzioni parole chiave come “terrorismo”, “bomba” e così via venga segnalato immediatamente a una nuova task force organizzata. E dato che il carico di lavoro nell’analisi degli opportuni distinguo sulla reale natura del dibattito sarebbe in ogni caso eccessivo, non resterebbe che filtrare, censurare, eliminare tutto ciò che in rete si muove e respira. Di contro, deve essere chiaro che se uno vuole organizzare un attentato, non fa una pagina Facebook per farsi mettere “mi piace”, ma usa sistemi criptati e decentralizzati, difficili da penetrare, come ad esempio Tor. Dunque a cosa mai servono nuove leggi repressive se non, in effetti, a generare un clima di terrore in rete dove chiunque può diventare oggetto di attenzioni particolari dalle forze dell’ordine, o vittima di censura, solo perché magari discute di terrorismo, adottando un approccio critico (diventerà apologia di reato?) o anche solo analitico.

Ed è curioso che l’attentato a Charlie Hebdo sia accaduto proprio in Francia, dove da anni è in vigore una legge, chiamata  LOPPSI 2, che consente al Ministero degli Interni di oscurare a piacimento (e senza neppure dichiarare chi è nella lista) i siti internet pornografici, nonché alla polizia di installare sui computer di persone considerate potenzialmente pericolose software in grado di controllare tutte le loro attività online e leggere tutto ciò che scrivono. Non mi pare che abbia funzionato molto. Dunque forse, c’è da dedurne che era troppo blando e che la nuova regolamentazione deve essere più restrittiva. Ma ancor prima che Bruxelles tenti ora di sfruttare l’attentato di Charlie Hebdo per mettere le mani sulla rete in tutta Europa, qualcuno dovrebbe spiegarmi come mai l’ISIS ha siti online dove pubblica riviste digitali, dove fa proselitismo e dove diffonde video di esecuzioni sommarie, senza che tutta la tecnologia della CIA, dell’NSA, dell’FBI e di tutti i servizi segreti occidentali messi insieme riesca non solo a chiuderli, ma perlomeno ad oscurarli come avviene regolarmente per i siti che invece diffondono materiale pirata di proprietà delle grandi multinazionali. Se l’intenzione è davvero quella di debellare il terrorismo, allora forse direi che sarebbe meglio cominciare dalle basi, no?

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