sabato 28 dicembre 2013

Infondo, paga pantalone, no?

Mps, la Fondazione si salva e la banca torna un problema dello Stato

Il Monte dei Paschi di Siena rischia di tornare presto un problema pubblico. E’ questa la principale conseguenza della delibera degli azionisti della banca senese che hanno bocciato la proposta del cda presieduto da Alessandro Profumo di varare a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi di euro necessario per la restituzione allo Stato dei cosiddetti Monti bond come convenuto con la Commissione europea a settembre. Ha votato contro il 69,06% del capitale presente in assemblea, cioè il 49,3% dei soci di Rocca Salimbeni. Quindi, come previsto, la bocciatura della proposta di Profumo e del direttore generale Fabrizio Viola è stata portata avanti con il voto quasi esclusivo della Fondazione Mps cui fa capo il 33,5% della banca toscana. Forte della sua rappresentatività, l’ente è poi riuscito a far passare la sua proposta di procedere alla ricapitalizzazione soltanto nel mese di giugno: ha votato a favore l’82,04% del capitale presente in assemblea, mentre hanno votato contro o si sono astenuti complessivamente azionisti che detengono poco più del 2% della banca e non ha partecipato alla votazione il 15,67% del capitale. Una scelta che senz’altro concede più fiato alla fondazione guidata da Antonella Mansi e gravata da 339 milioni di debiti accumulati negli anni scorsi con una dozzina di banche nel tentativo di mantenere il controllo del Montepaschi. La ricapitalizzazione immediata, infatti, avrebbe tagliato la strada all’ente che sta trattando a 360 gradi una soluzione per la sua sussistenza, riducendo drasticamente il valore del suo unico asset, il Monte appunto.

Altrettanto non si può dire per Mps e per lo Stato italiano. Per la banca il rinvio dell’aumento di capitale e, quindi, della restituzione dei Monti bond, l’aiuto di Stato ottenuto dopo mille tortuosità dal governo dell’ex rettore della Bocconi e convalidato dal successore Enrico Letta, significa 120 milioni di euro di dividendi da staccare in più al Tesoro che lo scorso anno ha integralmente sottoscritto le obbligazioni. Per Saccomanni, però, l’incasso delle cedole è un misero antipasto in confronto alla prospettiva che offriva la tempistica prevista da Profumo e Viola, cioè la restituzione integrale dei 3,3 miliardi di aiuti di Stato entro febbraio. E ancora peggio potrebbe andare se le fosche previsioni di Profumo, le cui dimissioni sono date per scontate con tanto di lista dei potenziali successori, dovessero rivelarsi esatte. Secondo l’ex numero uno di Unicredit, a suo tempo messo in un angolo dalle fondazioni azioniste della banca milanese sempre per un problema di controllo, un rinvio della ricapitalizzazione significa renderla impossibile. La conseguenza? L’ingresso dello Stato, via conversione del debito in titoli, in un Monte dei Paschi che vale sempre meno. E, in contemporanea, lo sfumare definitivo della restituzione degli aiuti di Stato.

“Entriamo in un campo di incertezza, perchè non sappiamo che cosa succede da qui al prossimo maggio”, aveva detto il banchiere in assemblea a proposito del rinvio della ricapitalizzazione. “Oggi abbiamo la certezza che si possa realizzare l’aumento di capitale, domani si entra nell’incertezza: oggi c’è un consorzio di garanzia che garantisce la riuscita dell’aumento, domani andrebbe ricreato il consorzio ma non sappiamo se sarà possibile e a che condizioni. Oggi le condizioni sono favorevoli per noi. La volatilità dei mercati è ancora rilevante e non sappiamo che cosa succederà da qui a maggio”, aveva aggiunto. Per poi ricordare come l’aumento di capitale a gennaio avrebbe risolto anche il tema del pagamento degli interessi sui Monti bond e, quindi, invitare a tenere presente anche il quadro politico: “La situazione politica in Italia è sempre piuttosto instabile e certo non ci auguriamo che possa accadere nulla di particolare. Certamente non sappiamo cosa accadrà da qui a maggio quanto ci saranno anche le elezioni europee”.

“Da dove arrivino i 3 miliardi mi interessa poco: se la banca è ben gestita e arrivano i 3 miliardi resta a Siena, altrimenti sparisce”, aveva poi detto il banchiere rispondendo alle preoccupazioni del sindaco di Siena, Bruno Valentini, sull’arrivo di capitali stranieri.”Non c’è nessun Palio, se non con i contribuenti italiani”, ha quindi rimarcato senza sbilanciarsi sul tema delle sue dimissioni. ”Queste sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati. Non ho nessuna anticipazione da fare agli azionisti”, ha detto ricordando che per gennaio è in calendario una riunione del consiglio di amministrazione della banca. Del resto queste cose sono solitamente oggetto di delicate trattative, come Profumo sa bene per averlo vissuto in prima persona nel settembre del 2010 quando ha lasciato Unicredit dopo una giornata di trattative costellata di annunci e smentite e con in tasca una liquidazione da oltre 40 milioni di euro.

“Abbiamo messo la banca in sicurezza sotto profilo della liquidità e se ci fosse stato l’aumento di capitale a gennaio l’avremmo messa in sicurezza anche sul piano patrimoniale”, ha invece commentato Viola al termine dell’assemblea. “Oggi dobbiamo prendere atto che una parte del piano di ristrutturazione è stata rinviato. Il nostro percorso va comunque dritto al risanamento della banca”, ha aggiunto. Nel corso dell’assise l’amministratore delegato aveva precisato che il consorzio di banche che aveva garantito l’aumento di capitale a gennaio 2014 “si è mosso secondo la prassi del mercato”. C’è stata “una due diligence (l’analisi dello stato di salute di un’azienda, ndr) che ha valutato positivamente la situazione dell’istituto e anche le condizioni di mercato”. Il consorzio di garanzia, inoltre, ha ricevuto “le assicurazioni necessarie da investitori istituzionali” per il raggiungimento dell’obiettivo dell’aumento di capitale.

Lo stesso Viola aveva poi detto ai soci di non essere “soddisfatto dei risultati di questi ultimi due anni nelle trimestrali, ma questi risultati vanno indubbiamente inquadrati” in quella che era la situazione di Banca Mps ereditata dalla passata gestione di Giuseppe Mussari ed Antonio Vigni. “Il punto di partenza che abbiamo trovato all’inizio del 2012 era caratterizzato da alcuni problemi, a partire dalla carenza di capitale”, aveva osservato ricordando che nell’ottobre 2011 Banca Mps è “rimasta in piedi come soggetto funzionante grazie all’intervento straordinario della Banca d’Italia che ha dato liquidità alla banca”. Tra i “problemi strutturali” che l’istituto sconta ancora dalla passata gestione c’è “un’eccessiva esposizione su attività finanziarie che non rendevano, o rendevano pochissimo oppure in alcuni casi costavano”, come le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, oltre a una struttura del portafoglio crediti “con circa il 60% di mutui o finanziamenti a medio lungo termine”. “Non ho la sfera di cristallo e mi auguro che non ci sia nessuna conseguenza. Sono però convinta che oggi sia stata chiarita definitivamente quella che era l’incertezza sull’aumento di capitale che noi abbiamo sempre appoggiato”, ha invece commentato il presidente della fondazione Mps sostenendo che “da noi non c’è stata nessuna sfiducia nei confronti dei vertici della banca”.

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