giovedì 5 novembre 2009

Vladimiro Zagrebelsky

Lo zampino di Zagrebelsky. Il Consiglio di Stato aveva riconosciuto nella Croce il simbolo dei valori italiani di Gianfranco Amato

Il lato oscuro dell’Europa anticristiana ha fatto sentire la sua voce. E lo ha fatto attraverso la bouche de la loi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato lo Stato italiano in forza del principio per cui la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche "limita il diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o di non credere". Ciò, sebbene la VI Sezione del Consiglio di Stato, con la celebre sentenza 13 febbraio 2006, n. 556, abbia sancito la vigenza e la legittimità dell’art.118 del R.D. 30 aprile 1924, n. 965 il quale prevede, appunto, che in ogni aula degli istituti sia presente "l’immagine del Crocifisso". In quella sentenza i magistrati amministrativi del Consiglio di Stato hanno dato particolare prova di una profonda saggezza coniugata ad un ferreo rigore giuridico, partendo dalla considerazione che il concetto stesso di "laicità" varia a seconda della tradizione culturale e dei costumi di vita di ciascun popolo, così come recepiti nei relativi ordinamenti giuridici. Costumi e tradizioni che, secondo gli stessi giudici del Consiglio di Stato, "mutano da nazione a nazione". Nella predetta sentenza 556/2006 l’assunto viene confermato attraverso un’interessante analisi comparativa. Si cita, infatti, l’esempio dell’ordinamento britannico, certamente laico benché strettamente connesso con la Chiesa anglicana, nel quale è consentito comunque al legislatore secolare dettare norme in materie interne alla stessa istituzione religiosa, come è recentemente accaduto, per esempio, con l’approvazione della legge sul sacerdozio femminile. La regina Elisabetta, peraltro, ricopre la carica di Supreme Governor of the Church of England con il titolo di Capo della Chiesa Anglicana (Head of the Anglican Church). Un altro esempio è rappresentato dall’ordinamento francese, per il quale la laicità, costituzionalmente sancita (art. 2 Cost. del 1958), rappresenta una finalità dello Stato da perseguirsi anche a costo di una certa mortificazione dell'autonomia organizzativa delle confessioni (Lois Combes) e a discapito della libera espressione individuale della fede religiosa, fortemente limitata, per esempio, dalla legge sull'ostensione dei simboli religiosi. Un altro esempio ancora è quello dell'ordinamento federale degli Stati Uniti d'America, nel quale la pur rigorosa separazione fra lo Stato e le confessioni religiose, imposta dal primo emendamento alla Costituzione federale, non impedisce un diffuso pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Pilgrim Fathers, che si esplica in molteplici forme anche istituzionali che vanno da un’esplicita attestazione di fede religiosa contenuta nella carta moneta - in God we trust -, al largo sostegno tributario assicurato agli aiuti economici elargiti alle strutture confessionali ed alle loro attività assistenziali, sociali, educative, nell’orizzonte liberal privatistico tipico della società americana.

Ultimo esempio, infine, è quello dell'ordinamento italiano dalle cui norme costituzionali, per il Consiglio di Stato, "si evince, un atteggiamento di favore nei confronti del fenomeno religioso e delle confessioni che lo propugnano". Da questa considerazione di ordine generale sulla natura relativa del concetto di laicità ne deriva, per i giudici di Palazzo Spada, che tale concetto, "benché presupponga e richieda ovunque la distinzione fra la dimensione temporale e la dimensione spirituale (…), non si realizza in termini costanti nel tempo e uniformi nei diversi Paesi". A volte muta persino all’interno dello stesso Paese, come ad esempio in Italia dove l’attuale concetto di laicità non corrisponde certo a quello del periodo risorgimentale in cui furono consentite discriminazioni restrittive in danno degli enti ecclesiastici e dei stessi cattolici. Con buona pace di tutti i lacisti, poi, gli stessi giudici del Consiglio di Stato concludono che "quale dei sistemi giuridici sia meglio rispondente ad un’idea astratta di laicità, che alla fine coincide con quella che ciascuno trova più consona con i suoi postulati ideologici, è questione antica; una questione che però va lasciata alle dispute dottrinarie". Per quanto riguarda, nello specifico, la controversi circa l’esposizione del crocifisso nelle scuole, i giudici della VI Sezione del Consiglio di Stato, sempre nella citata sentenza 556/2006, hanno preliminarmente rilevato che esso rappresenta "un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi, a seconda del luogo ove è posto". Non v’è dubbio, infatti, che "in un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un 'simbolo religioso', in quanto mira a sollecitare l'adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana", mentre in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso può comunque "rappresentare e richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile". Secondo gli stessi magistrati, infatti, "il crocifisso può svolgere, anche in un orizzonte 'laico', diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni". Alla domanda di quali possano essere i valori trasmessi da quel simbolo, i consiglieri di Stato danno questa risposta: "E’ evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l'origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana. Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i 'principi fondamentali' e la prima parte della stessa (…), delineanti la laicità propria dello Stato italiano". All’obiezione di chi oppone l’ordine temporale a quello spirituale, i giudici rispondono che una simile "contrapposizione è sottesa ad una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta costituzionale". In realtà, "non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad un suppellettile, ad un oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto", lo si deve piuttosto considerare come un simbolo dei valori che fondano la civiltà italiana e che "delineano la stessa laicità nell’attuale ordinamento dello Stato". Ma i giudici vanno oltre ed arrivano ad affermare che "nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più del crocifisso, a rappresentare tali valori" notando che la stessa appellante, del resto, auspicava e rivendicava "una parete bianca, la sola ritenuta particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato". Da qui la conclusione del Consiglio di Stato nella citata sentenza n.556/2006: "La decisione delle autorità scolastiche, in esecuzione di norme regolamentari, di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano". Pertanto, "la pretesa che lo Stato si astenga dal presentare e propugnare in un luogo educativo, attraverso un simbolo (il crocifisso), reputato idoneo allo scopo, i valori certamente laici, quantunque di origine religiosa, di cui è pervasa la società italiana e che connotano la sua Carta fondamentale, può semmai essere sostenuta nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate, ma non in quella giurisdizionale".

Peccato che queste sagge e rigorose considerazioni siano state vanificate da una sentenza ideologica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, non a caso, in Italia è stata salutata con entusiasmo soltanto dall’U.A.A.R., l’unione degli atei ed agnostici razionalisti. Proprio quelli che, in preda una sorta di furia iconoclasta, si battono per eliminare qualunque simbolo religioso pubblico, a cominciare dalle croci sulle vette delle montagne ed agli incroci delle strade, per finire con le cappellette, le statue, e persino la toponomastica che ricorda santi, papi, donne e uomini religiosi. Si può anche sorridere, ma questa è la conseguenza logica della sentenza europea. E non è escluso, conoscendo quei magistrati, che la prossima mossa giudiziaria possa orientarsi nella direzione iconoclasta dell’ U.A.A.R. E’ proprio dando un’occhiata ai membri della Corte Europea che si possono intuire i motivi della decisione sui crocifissi e preconizzare sinistri presagi. Mi riferisco, in particolare a due giudici. Il primo è l’italiano Vladimiro Zagrebelsky, talmente imparziale da aver meritato, l’anno scorso, il premio di "Laico dell’anno 2008", conferitogli dalla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, aderente alla EHF – FHE European Humanist Federation. Il secondo è Ayşe Işıl Karakaş, professoressa universitaria turca che vive, opera e insegna in un Paese musulmano. E’ difficile immaginare una sintesi più efficace di questa coppia di magistrati per rappresentare l’Europa che ci aspetta nei prossimi decenni.

In Baviera, il crocifisso resterà appeso alle pareti delle aule scolastiche. La dittatura delle minoranze.

Europa

Gran Bretagna... se questa è europa. 2 video: qui, a Wembley e qui a Peckham. Dal Blog Fatti d'europa.

Svizzera e minareti

La neutrale Svizzera si spacca sui minareti. Un referendum a novembre per vietarli

Il 29 novembre gli svizzeri voteranno un referendum per vietare la costruzione di minareti. L’ iniziativa è promossa dal partito di destra Swiss People, che sostiene che un minareto è un simbolo di intolleranza islamica. Il dibattito viene da un paese che si vanta di integrare la sua vasta popolazione di immigrati e che ha in gran parte evitato gli scontri sui diritti delle minoranze musulmane, visti altrove in Europa. Il mondo economico svizzero è particolarmente preoccupato di una possibile reazione del mondo musulmano. Per esempio, la Swatch Group Ltd. è preoccupata che le sue relazioni con i paesi musulmani - mercato importante per i suoi prodotti - saranno in pericolo se l'iniziativa passa. "Il marchio 'Swiss' deve continuare a rappresentare i valori quali l'apertura, il pluralismo e la libertà di religione", ha detto Hanspeter Rentsch, membro del consiglio esecutivo di gestione di gruppo presso loaSwatch. "In nessun caso deve essere portato in connessione con l'odio, l'animosità nei confronti degli stranieri e la ristrettezza mentale." Lo Swiss People ha raccolto il doppio di firme necessarie per un referendum. La sua campagna di manifesti raffigurava una donna in burqa di fronte a una fila di minareti a forma di missili. Alcune città, come Basilea, hanno vietato i manifesti, mentre Zurigo e altri li hanno consentiti, in nome della libertà di espressione. Secondo un sondaggio nazionale, il 53 percento degli elettori si oppone al divieto, mentre il 34 lo supporta. I leader musulmani sono comunque preoccupati. “Questa iniziativa ci dice che i musulmani non sono i benvenuti qui”, ha detto Elham Manea, docente di scienze politiche presso l'Università di Zurigo. "Se passa, si prospetta la possibilità di radicalizzazione tra i giovani. Sarebbe una grande delusione". Alcuni dicono anche che se pure il referendum non passasse, la tensione resterebbe alta. "Non si concluderà qui", dice Hisham Maizer, capo della Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera. "Il dibattito sull'Islam in Svizzera è appena iniziato". La polemica è insolita in un paese dove il 20% della popolazione è straniera, e che ha adottato un approccio pragmatico per integrare gli immigrati. Circa 400.000, ovvero circa il 5% dei residenti in Svizzera è musulmano. La maggior parte di origine turca e balcanica, con una piccola minoranza del mondo arabo. Secondo un sondaggio del governo datato 2000, meno del 15% dei musulmani svizzeri praticava attivamente. In effetti, solo quattro delle circa 150 moschee in Svizzera hanno minareti. Ultimamente, però, i musulmani conservatori hanno spinto per un maggiore riconoscimento della loro fede. Un gruppo è riuscito a fare un appello ai tribunali svizzeri per consentire ai genitori di vestire i propri figli con abiti musulmani durante le lezioni. Il governo svizzero ha reagito con forza contro il referendum sui minareti, perché teme una radicalizzazione dei rapporti con i musulmani “in casa” e di ritorsioni contro gli interessi della Svizzera all'estero. Un sì "potrebbe rendere la Svizzera un obiettivo per il terrorismo islamico", ha detto il ministro degli Esteri, Micheline Calmy-Rey. Diplomatici svizzeri stanno lavorando per rassicurare i loro omologhi dei paesi musulmani che Berna si oppone all'iniziativa. Le imprese svizzere, con molti interessi nei paesi musulmani, sono nettamente contro il referendum, per il timore di un boicottaggio, come quello che colpì la Danimarca nel 2005, dopo la pubblicazione delle vignette sul profeta Maometto. Nestlé SA, che ha circa 50 fabbriche e ricava 5,5 miliardi di franchi svizzeri (5,36 miliardi dollari) dalle vendite nei paesi musulmani, ha rifiutato di prendere posizione sul referendum. Secondo economiesuisse, circa il 7%, o 14,5 miliardi di franchi, del totale delle esportazioni della Svizzera, è rivolto ai Paesi a maggioranza musulmana. Nel 2008, le esportazioni sono aumentate del 14%, a fronte di un aumento delle esportazioni complessive del 4,3%. La Svizzera è ancora penalizzata da un battibecco con la Libia che ha portato questo paese a tagliare le esportazioni di petrolio verso la Svizzera per qualche tempo. "Il possibile impatto economico non deve essere usato come un modo per uccidere questo dibattito", ha detto Martin Baltisser, segretario generale del Partito popolare svizzero. "La questione della possibile reazione violenta contro la Svizzera è esagerata."

Questione morale

Quanti delinquenti nel Pd moralista di Stefano Filippi

La sveglia è suonata, per la verità suona da un pezzo ma a sinistra fanno finta di non sentirla. Come un apparecchio radiocomandato, ormai squilla a intervalli regolari in attesa che qualcuno ne prenda atto e la zittisca. È il triste rintocco che accompagna un ammainabandiera, il ripiegamento di quella che fu l’orgoglio di uno come Enrico Berlinguer: la cosiddetta superiorità morale della sinistra. Il segretario del fu partito comunista pose il tema nel 1981. «La questione morale è il centro del problema italiano», disse in una celebre intervista a Eugenio Scalfari. Quasi trent’anni dopo, le sue parole restano attuali. La differenza è che la sinistra non ha più titoli, se mai ne ha avuti, per farle sue e ricordarle al resto del mondo. Il partito dei moralisti invece insiste a gonfiare il petto. Non perde occasione per comportarsi come le maestre di una volta: tu dietro la lavagna, tu fuori dalla porta, tu con me dal preside, tu mostra le dita che ti bacchetto. Quando non fanno i perfettini, diventano saccenti come Debora Serracchiani, che in tv da Santoro ha difeso Piero Marrazzo e condannato Silvio Berlusconi: «I nostri quando sbagliano si dimettono, questa è la differenza tra i politici del Pd e gli altri», ha protestato scuotendo la frangetta. O sfoderano l’ironia spuntata di Pierluigi Bersani: «Non ho ancora visto autosospeso Berlusconi». O puntano il dito come Rosi Bindi: «Berlusconi che telefona a Marrazzo per avvertirlo del video è l’ennesima prova del conflitto d’interessi». O sproloquiano come Antonio Di Pietro. Che Marrazzo frequenti i trans e addirittura sia un cocainomane confesso (cosa di cui ha dovuto prendere atto perfino Repubblica, sia pure a malincuore), non è problema loro. Non lo è stato nemmeno il caso di Catello Romano, il giovane di Castellammare di Stabia iscritto al Pd, candidato in una delle liste per il direttivo cittadino, che partecipò a un agguato omicida di camorra. Non lo è stato neppure Luca Bianchini, romano, uomo dalla doppia vita, quella che i maggiorenti della sinistra condannano indignati: di giorno ragioniere, contabile, militante del Pd, coordinatore del circolo del Torrino; di notte stupratore seriale, incastrato dalla prova del Dna. Oggi si aggiungono altri due casi. Ad Alcamo, in Sicilia, il senatore pd Nino Papania si avvaleva dei servigi di Filippo Di Maria, autista e cassiere del boss locale Nicolò Melodia. Di Maria è stato arrestato con altre nove persone in un'operazione antimafia: nel tempo lasciato libero dai summit dei mammasantissima, curava il giardino della villa del senatore (ex assessore regionale di centrosinistra), ne guidava l’auto e partecipava all’attività della segreteria politica, oltre che procurare voti a Papania. E poi c’è il sequestro di beni per un valore di cinque milioni di euro a Domenico Crea, ex consigliere regionale della Calabria, in indagini legate all’omicidio di Francesco Fortugno. Crea era già stato arrestato nel 2008 per i rapporti tra politica e ’ndrangheta nella gestione della sanità calabrese. È cronaca di questi giorni. Ma è cronaca pure il dito sempre puntato e il sopracciglio perennemente alzato dei maggiorenti del centrosinistra. Pronti a spolverare alla bisogna l’armamentario del conflitto d'interessi, le frequentazioni dello stalliere di Arcore Vittorio Mangano, le assoluzioni per prescrizione che equivarrebbero a condanna. Si scandalizzano per le veline, le vallette, le Noemi, le feste, i voli di Stato su cui sarebbe salito Mariano Apicella. Mostrano disgusto per le Patrizie D'Addario, che poi showman di sinistra come Michele Santoro portano in prima serata Rai, e pensano di cavarsela a buon mercato con Marrazzo facendolo dimettere e sperando che l’ex governatore del Lazio si faccia dimenticare a velocità supersonica. Dimissioni doverose, ma che pure il Partito democratico per qualche giorno ha cercato di evitare armeggiando tra certificati medici, stress, convalescenze e ritiri monastici pur di schivare l’onta di una regione rossa costretta alle elezioni anticipate da uno scandalo sessuale. Nella rincorsa a un moralismo ipocrita, nessuno ha più titolo per dare lezioni a nessuno. E la sveglia del Pd dice che è ora di cominciare a fare un bel po’ di autocritica.

Solo elezioni locali

Barack vittima del suo slogan: ora non può più promettere svolte

Il New Jersey ha votato: era blu, il colore dei democratici, è diventato rosso, il colore dei repubblicani, ed è come se il Pd italiano perdesse in Toscana. Anche la Virginia, martedì ha votato. Appena dodici mesi fa i politologi avevano esaltato la svolta storica di uno Stato da sempre rosso che, trascinato dall’effetto Obama, era diventato definitivamente blu. Ma ieri è tornato repubblicano e con una maggioranza del 18% difficilmente equivocabile. «Erano solo elezioni locali», ha tentato di relativizzare la Casa Bianca, commentando i risultati. Vero: è un voto locale che non cambia gli equilibri politici a Washington né la doppia maggioranza progressista al Congresso. E non può essere considerato nemmeno un referendum sul presidente, la cui popolarità in Virginia e New Jersey resta alta, sebbene in calo rispetto a qualche mese fa. È stato, semmai, un test sulla capacità di interpretare la voglia di cambiamento degli americani ed è qui che il responso è allarmante per il presidente. Già, perché martedì hanno vinto proprio i candidati che hanno promesso la rottura. Il caso del New Jersey è il più clamoroso. Il partito democratico ha candidato come governatore Jon Corzine, ex direttore di Goldman Sachs, mentre i repubblicani hanno puntato sull’ex procuratore pubblico Christopher J. Christie, diventato famoso per le sue campagne contro la corruzione e che ha fatto campagna ricorrendo a slogan che puntavano sulle parole «change» e «hope». Ha promesso trasparenza e ha giurato di voler combattere le lobby. Sono slogan che suonano familiari? Certo, erano quelli di Obama, esattamente un anno fa. Ma nel New Jersey il partito democratico ha candidato un ex banchiere di una banca d’affari ovvero il rappresentante di un mondo odiato dalla stragrande maggioranza degli elettori americani che lo considera come vero e impunito responsabile della recessione. Il presidente negli ultimi giorni lo ha sostenuto vigorosamente, mettendogli a disposizione anche i propri consulenti politici, inutilmente. La sconfitta è stata netta, ben cinque punti percentuali, 49 a 44. Ancora peggio è andata in Virginia, che da otto anni aveva un governatore progressista e che nel novembre del 2008 aveva preferito un candidato democratico alle presidenziali per la prima volta dal 1964. Ma gli elettori martedì hanno votato a valanga per un altro inflessibile ex procuratore, Robert F. McDonnell, rispetto a un politico usurato come R. Creigh Deeds. Solo in un seggio per il senato dello Stato di New York, il sostegno di Obama è risultato decisivo e il candidato democratico ha battuto un repubblicano ultraconservatore, sostenuto da Sarah Palin. Troppo poco, per cambiare il senso di una giornata politica, che assume un forte significato simbolico. Nel 2008 l’America era insoddisfatta, delusa, sfiancata dalla crisi economica. Votò Obama per ottenere un cambiamento vero, che non è arrivato. Oggi il sentimento del Paese è molto simile a quello di un anno fa, ma gli elettori pensano che il partito democratico rappresenti l’establishment e cercano la svolta altrove, anche tra i repubblicani un tempo odiati. E ai progressisti non basta più la simpatia del capo della Casa Bianca per sedurre gli elettori, che anzi gli rimproverano di essere inconcludente. La magia è svanita. Obama scopre di essere diventato un presidente normale.

mercoledì 4 novembre 2009

Dittature islamiche

Somalia, gli islamici vietano le suonerie dei cellulari

Gli estremisti islamici si attaccano alla suoneria del cellulare. “Al Shabaab (gruppo di insorti islamici somali) – racconta Sacdiyo Sheeq, una ragazza somala – pretende che usiamo come suoneria solo le letture di versi del Corano o dell’Hadit”. “Ero abituata a sentire le mie canzoni indiane preferite – continua –, ma adesso le ho cancellate dalla memoria del mio telefono”. Al Shabaab, considerata il braccio armato di Al Qaeda nel corno d’Africa dagli Usa, vuole sconfiggere il governo e imporre la legge islamica nel paese: gruppi armati pesantemente controllano gran parte del sud del paese e parte della capitale Mogadiscio dove i clericali islamici hanno già iniziato a sentenziare in base alla sharia. Sono banditi film, danze ai matrimoni, vedere o giocare a calcio. “Non tolleriamo nulla che può corrompere le persone – ha spiegato un portavoce di Al Shabaab Sheikh Hassan Yaqub – non permettiamo nulla che vada contro la nostra religione”.

Trattato di lisbona

Ue. Klaus firma il trattato di Lisbona ma dichiara: "Non sono d'accordo"

Il presidente ceco Vaclav Klaus ha firmato il Trattato di Lisbona. "Mi aspettavo l'odierna sentenza della Corte costituzionale e la rispetto, ma di principio non sono d'accordo nè con il suo contenuto, nè con la motivazione, nè con la forma". È quanto ha sottolineato Klaus dopo aver firmato. "La sentenza non è un' analisi neutrale, ma una difesa politica tendenziosa del Trattato di Lisbona da parte dei suoi seguaci", ha aggiunto Klaus sottolineando che "nonostante il parere politico della Alta corte, con l'entrata in vigore del Trattato la Repubblica ceca smetterà di essere un Paese sovrano". Klaus ha deciso di firmare immediatamente dopo che la Corte costituzionale ha emesso la sentenza sulla conformità del Trattato con l'ordinamento ceco, concludendo così il processo della ratifica del documento europeo che nella Repubblica ceca si è protratto per oltre due anni. Con la sua firma Klaus ha esaudito la richiesta di firmare "senza indugio inutile" avanzata dai politici cechi ed europei. Il premier svedese Fredrick Reinfeldt, presidente di turno dell'Unione Europea, saluta la firma del Trattato di Lisbona da parte del presidente ceco Vaklav Klaus e annuncia la convocazione al più presto di un summit straordinario, per discutere l'entrata in vigore del testo e le nomine istituzionali che ne derivano. "Sono molto soddisfatto che il presidente Klaus abbia firmato oggi il Trattato - ha affermato Reinfeldt in un comunicato - La sua firma mette fine a un periodo in cui si è concentrati troppo a lungo sulla questione istituzionale all'interno dell'Ue". Adesso, secondo il capo del governo di Stoccolma, la via è aperta per "un' Unione più democratica, trasparente ed efficiente". "Per mettere a punto i preparativi sul Trattato - ha concluso Reinfeldt - comincerò a fare le consultazioni. Al più presto possibile io convocherò anche un vertice europeo". "Un passo storico per tutta l'Europa". Così il premier britannico Gordon Brown ha commentato la firma del Trattato di Lisbona da parte del presidente ceco Vaclav Klaus, firma che permetterà adesso l'entrata in vigore del testo il mese prossimo. "Oggi è un giorno in cui l'Europa guarda avanti, mette da parte anni di dibattito sulle sue istituzioni e procede verso un'azione forte e collettiva che sulle questioni che più interessano i cittadini europei: sicurezza, cambiamenti climatici, lavoro e crescita", ha sottolineato il capo del governo di Londra in una nota.

L'inutile europa

L’inutile Europa ci toglie pure il crocifisso di Ida Magli

Le religioni non sono monete. Fare l’unificazione europea a tavolino, cominciando astutamente dall’economia e dalla moneta, ha permesso finora di tenere basso lo scontro con ciò che veramente crea i popoli ed è creato dai popoli: i loro sentimenti, le loro fedi, il loro spirito, il loro passato, la loro storia, le loro tradizioni, i loro valori, i significati che i popoli assegnano al loro «essere se stessi». Le religioni praticamente sono il contenitore di tutto questo, lo rispecchiano nel momento stesso in cui lo plasmano. Noi possiamo cercare di spiegare in termini teologici le differenze fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, oppure fra quella ortodossa e le varie chiese riformate, ma che non sia stata la teologia a crearle si vede a occhio nudo: il rituale ortodosso con la solennità dei suoi gesti, con il calore dei suoi canti, con l’intensa calma passione delle sue icone, è frutto dell’anima russa, di nient’altro che del popolo russo. Nessun inglese, nessuno svedese avrebbe mai potuto produrlo. I politici che hanno progettato l’Unione europea hanno affermato che ci univamo perché eravamo uguali; ma nelle religioni non si è, non si può essere uguali, perché appunto, come le lingue, esse si differenziano in funzione della diversità dei popoli. Adesso, dunque, è giunto per l’Ue il momento più difficile: vivere l’unione senza isterilirci, senza morire. Questo significa per prima cosa salvaguardare i segni visibili dell’appartenenza religiosa. In Italia l’architettura, le rappresentazioni pittoriche, i crocifissi, le innumerevoli Madonne, fanno parte della storia, dell’arte, delle tradizioni di un paese che si è talmente alimentato, lungo lo scorrere dei secoli, della bellezza del Vangelo che sarebbe impossibile immaginare un S. Francesco senza il dolce paesaggio dell’Umbria, un S. Benedetto senza l’ordinata gravità del lavoro romano, un Raffaello senza l’innamorata contemplazione della Vergine Maria. Oggi si vogliono togliere i crocifissi dalle aule nelle scuole pubbliche; per proteggere, come si afferma, la libertà degli studenti. Ma anche le migliaia di edicole della Madonna, che proteggono i viandanti agli incroci delle strade, sono «pubbliche»; presto qualcuno, giustamente, vorrà che vengano eliminate. Guardiamo bene in faccia il prossimo futuro: se nell’Ue per essere liberi bisogna che in pubblico vengano cancellati tutti i segni che indicano un’appartenenza, questo significa che nessun popolo sarà più un popolo, salvo che si ritenga che possa farci sentire «Popolo» l’esposizione nelle scuole e agli angoli delle strade della faccia di Barroso. Il «privato» non crea un popolo, ed è questo che succederà: tutte le differenze saranno costrette a vivere, o a sopravvivere, nell’ambito del privato e l’Europa sarà debolissima perché saranno a poco a poco cancellati, anche nella memoria, i tratti distintivi che legano fra loro i popoli che la compongono. Toccare le abitudini religiose significa toccare l’anima dei popoli. Cosa pericolosissima, anche là dove sembra, come in Europa, che le fedi siano ormai sbiadite, la partecipazione ai precetti in declino. Questo è un punto di cui i governanti, anche quelli ecclesiastici che hanno aderito alla realizzazione dell’Unione europea, non hanno tenuto conto: la scarsa aderenza visibile ai dettami delle Chiese, soprattutto nell’area occidentale, non significa l’abbandono, ma piuttosto, insieme allo sviluppo sempre maggiore del pensiero critico, un bisogno religioso anch’esso critico, profondo, difficile da esprimere, ma esigentissimo, «vero», che finora la chiesa cattolica non ha saputo esaudire. Ma, proprio perché i cristiani oggi conoscono meglio il significato di una religione, la loro ribellione scatterà di fronte alla pretesa dei governanti di togliere i crocifissi dalle scuole più che a un’imposizione di uguaglianza di carattere dottrinale. Perché questo, in Europa, tutti lo sappiamo bene; sono stati i nostri più grandi pensatori a insegnarcelo, da Platone a Cartesio a Leopardi: «Essere, è essere diverso». I governanti italiani, dunque, si muovano subito; nell’interesse dell’Italia, ma anche dell’Europa. Bisogna istituire a Bruxelles l’abitudine a innumerevoli «eccezioni»...

martedì 3 novembre 2009

Morte dell'europa

Rappresentazione del lutto

Firmato il Trattato di Lisbona. Barroso: «In vigore entro gennaio». Lo ha siglato il presidente ceco, Vaclav Klaus.

MILANO
- Il presidente ceco, Vaclav Klaus, ha firmato il Trattato di Lisbona. Il Trattato, ha detto il presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, potrebbe entrare in vigore a dicembre o gennaio. Il testo modifica i trattati istitutivi dell'Unione europea e della Comunità europea, adattando i meccanismi di funzionamento della vecchia Ue alle necessità di una Unione che oggi conta 27 membri.

Trattato di Lisbona, le principali novità. I punti fondamentali del testo firmato dal presidente ceco Vaclav Klaus

Il Trattato di Lisbona firmato dal presidente ceco Vaclav Klaus e che entrerà in vigore entro la fine di gennaio è il testo che modifica i trattati istitutivi dell'Unione europea e della Comunità europea, adattando i meccanismi di funzionamento della vecchia Ue alle necessità di una Unione che oggi conta 27 membri. Di seguito le principali novità previste dal nuovo Trattato.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: viene creata la figura del Presidente permanente, nominato dal Consiglio europeo, con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile una sola volta.

ALTO RAPPRESENTANTE POLITICA ESTERA: 'Mister Pesc' è quasi un 'ministro degli Esterì che avrà il duplice 'cappellò di vicepresidente della Commissione e capo della diplomazia europea.

PARLAMENTO EUROPEO: attraverso l'estensione del campo di applicazione della codecisione, avrà il potere di bocciare le decisioni di Consiglio e Commissione in settori delicati come la giustizia, l'immigrazione, i trattati internazionali e il bilancio. Gli eurodeputati saranno al massimo 751 (l'Italia passerà da 78 a 73).

SISTEMA DI VOTO: la necessità dell'unanimità viene fortemente ridimensionata pur rimanendo in alcuni settori chiave, come il fisco e la difesa. Le decisioni nel Consiglio verranno prese con un sistema di voto a doppia maggioranza (55% dei Paesi che rappresentano il 65% della popolazione). Il nuovo metodo entrerà però in vigore in maniera completa solo dal 2017 (dal 2014 in maniera parziale).

MEMBRI DELLA COMMISSIONE: dal 2014 non ci sarà più un commissario per Paese, ma un numero pari a due terzi degli Stati membri, che così saranno presenti nell'esecutivo comunitario a rotazione.

PERSONALITÀ GIURIDICA: per la prima volta nella sua storia, l'Ue avrà una propria personalità giuridica e potrà quindi firmare i Trattati internazionali.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI: incorporata nel Trattato tramite un articolo, diventerà vincolante per tutti, ma non per Regno Unito, Polonia e Repubblica Ceca che hanno chiesto e ottenuto un'esenzione.

E già che ci sono, ricordo a quanti avessero dimenticato, che il trattato di lisbona contempla la pena di morte. Qui un vecchio articolo di Maurizio De Santis. Ben nascosta tra codici e codicilli, c'è lei, appunto, la pena di morte.

Diritti umani

«Violazione del diritto dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni». La Corte europea dei diritti dell'uomo: «No al crocefisso nelle aule scolastiche». Il ricorso presentato da un'italiana di origine finlandese. Il governo dovrà pagarle 5mila euro per danni morali

MILANO - La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni». Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo nella sentenza su un ricorso presentato da una cittadina italiana.

LA RICORRENTE - Lei è Soile Lautsi Albertin, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all'istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule in nome del principio di laicità dello Stato. Dalla direzione della scuola era arrivata risposta negativa e a nulla sono valsi i successivi ricorsi della Lautsi. A dicembre 2004 il verdetto della Corte Costituzionale, che ha bocciato il ricorso presentato dal Tar del Veneto. Il fascicolo è quindi tornato al Tribunale amministrativo regionale, che nel 2005 ha a sua volta respinto il ricorso, sostenendo che il crocifisso è simbolo della storia e della cultura italiana e di conseguenza dell'identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato. Nel 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione. Ma ora la storia si ribalta: i giudici di Strasburgo, interpellati dalla Lautsi nel 2007, le hanno dato ragione, stabilendo inoltre che il governo italiano dovrà versarle un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. Si tratta della prima sentenza della Corte di Strasburgo in materia di simboli religiosi nelle aule scolastiche.

LA SENTENZA - «La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche - si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione». Tutto questo, proseguono, «potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei». Ancora, la Corte «non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana». I sette giudici autori della sentenza sono Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).

Decorrenza dei termini

Signori, sveglia, scadono i termini! di Gianluca Perricone

Ci risiamo: i due romeni accusati di resistenza e favoreggiamento della latitanza dei loro quattro connazionali accusati del brutale stupro di una 21enne avvenuto a Guidonia, vicino a Roma, il 22 gennaio scorso, sono tornati in libertà. E il motivo è sempre lo stesso, simile a quello che ha determinato negli anni tante, incredibili scarcerazioni: scadenza dei termini sopravvenuti dopo la chiusura dell'inchiesta e prima della richiesta di giudizio. Infatti, il pm della procura di Tivoli, Marco Mansi, ha chiuso l'indagine ma non ha ancora chiesto il rinvio a giudizio e quindi, in scadenza termini, i due romeni sono stati scarcerati. Non ha avuto evidentemente il tempo, il pm di cui sopra, per depositare una richiesta di rinvio a giudizio; era talmente impegnato che non ha avuto appunto la possibilità il proprio dovere, quello per il quale è pagato a fine mese dallo Stato. Chissà se la “dimenticanza” sia dipesa anche dal fatto che il pm di cui sopra era impegnato a preparare gli scatoloni dopo aver chiesto e ottenuto il trasferimento alla procura di Piazzale Clodio, a Roma. L’unica cosa certa è che Mugurel Goia e Ionut Barbu adesso sono liberi e potenzialmente potrebbero (nonostante le rassicurazioni del loro avvocato) decidere di ritornarsene nella natìa Romania, scomparendo per sempre dalle aule di tribunale italiane. Adesso c’è anche un altro timore concreto, richiamato anche dalle colonne del Messaggero da Massimo Martinelli: se il dottor Mansi «non depositerà neanche la richiesta di rinvio a giudizio per i quattro violentatori entro gennaio, anche loro torneranno in libertà». Ed anche in questo caso a pagare, per una negligenza sicuramente destinata a rimanere praticamente impunita, sarebbero lo Stato, l’immagine della giustizia, ma, in primo luogo, la vittima del misfatto. Alla quale nessuno avrà mai il coraggio di spiegare quando e perchè i termini vengono definiti “scaduti”.

Lucca comics 2009

Per chi non c'è mai stato, per chi non sa che diavoleria è, click sui nomi qui di seguito. Danse macabre, one piece, Harley queen, the mask, Kuroshitsuji, toy soldiers, Rikku, Jareth, resident evil, Jack Sparrow and wife... Mary Poppins, Bang cards, William Wallace, Hellsing, Corpse bride. Non sono foto mie, ovviamente. Le mie devo risistemarle e catalogarle...

lunedì 2 novembre 2009

Amministrazioni rosse

I fondi per l’Olocausto? Finiscono in cene e hotel di Stefano Filippi

La bella vita degli ex amministratori rossi di Cremona sta in un dossier messo assieme dalla nuova giunta di centrodestra. Viaggi, ristoranti (conti da 800 euro alla volta), taxi, regali: tutto a spese della provincia e catalogato sotto una voce che evoca l’orrore della guerra. I «viaggi della memoria». Sono le visite delle scolaresche sui luoghi della follia nazista. Auschwitz, Ravensbrück, Berlino, e non solo: la vecchia giunta di centrosinistra aveva allargato il giro includendo mete dal sapore più turistico come la Normandia, teatro dello sbarco alleato, e Cefalonia, isola greca dove l’esercito tedesco sterminò la Divisione Acqui. Negli istituti del Cremonese sono stati organizzati vari viaggi della memoria negli ultimi anni. Alle spalle c’era il Comitato per la difesa e lo sviluppo della democrazia. Che raccoglieva un sacco di soldi: quasi 400mila euro dal 2005 al 2009. Ma ne destinava alle trasferte degli studenti molto meno della metà. Il resto dove finiva? A pagare le scampagnate degli amministratori provinciali. Il personaggio chiave è il presidente uscente Giuseppe Torchio, ex deputato dc passato alla Margherita. Da numero uno della Provincia di Cremona finanziava il Comitato per la democrazia: 103mila euro. E chi è il presidente del Comitato? Lo stesso Torchio. Egli dunque finanziava sé medesimo. Ma il Comitato riceveva altri sostegni: secondo la ricostruzione della nuova giunta, in testa c’è la formigoniana Regione Lombardia (250mila euro), segue la Provincia di Cremona, quindi Fondazione Cariplo e Unione europea. In tutto, appunto, 400mila euro scarsi. Di questi denari, il 54 per cento è finito a coprire costi diversi dall’organizzazione delle gite studentesche: con 92mila euro è stato pagato il personale del Comitato (la coordinatrice Ilde Bottoli e una sua collaboratrice); altri 90mila euro sono serviti per coprire spese varie «di rappresentanza dell’amministrazione provinciale (ristoranti, hotel, viaggi in taxi, stampe, regali)»: così è scritto in una lettera che il neopresidente della Provincia, Massimiliano Salini, ha inviato ai presidi delle scuole. Ulteriori 26mila sono andati all’Apic, cioè l’Associazione di promozione delle iniziative culturali della Provincia di Cremona. Manco a dirlo, il presidente dell’Apic era Torchio. Dunque, la giunta Torchio finanziava un comitato presieduto da Torchio, il quale a sua volta girava parte dei fondi a un’associazione guidata ancora da Torchio e saldava spese di rappresentanza dell’amministrazione Torchio. Ma nemmeno i soldi restanti (meno della metà) andavano tutti alle famiglie degli studenti in viaggio. Una parte infatti sovvenzionava le delegazioni della vecchia amministrazione sui luoghi della memoria. Per esempio, il viaggio in Normandia del 2007 di 7 persone: Torchio, un addetto stampa della provincia, un autista, quattro giornalisti. O la trasferta a Cefalonia del 2008 dell’assessore provinciale al turismo. O ancora la visita della primavera scorsa a Strasburgo di quattro persone: ancora Torchio con il suo vice, un assessore e un consigliere provinciale. Quanto restava ai veri destinatari dei viaggi della memoria, cioè gli studenti delle scuole superiori cremonesi? Le briciole. Uno scandalo. Ma quando Massimiliano Salini, fresco presidente Pdl della Provincia di Cremona, ha osato l’inosabile tagliando i fondi alle vestali della Resistenza, è stato travolto dalle polemiche. Guai sforbiciare i finanziamenti al Comitato per la democrazia. «Notiamo esigenze nuove che fino a pochi anni fa non esistevano - ha spiegato l’assessore provinciale alle politiche sociali Silvia Schiavi (Lega Nord) -. Mi riferisco ai bisogni e alle necessità di molte famiglie che si trovano in condizioni disagiate. Riteniamo doveroso recuperare risorse e destinarle a progetti provinciali a favore della nostra gente». Salini è stato tacciato di leso antifascismo. Politici locali di centrosinistra, sindacati, docenti, reduci: tutti contro la giunta provinciale targata Pdl-Lega. Tra i più irritati c’è ovviamente Torchio, sconfitto a giugno dal giovane (36 anni) outsider. «Cadrà la possibilità di realizzare nel nostro territorio i percorsi scolastici e gli stessi corsi di perfezionamento, riconosciuti ai massimi livelli, per le guide e gli accompagnatori dei ragazzi in questi viaggi», si è lamentato Torchio. La pacchia è finita. «Noi vogliamo semplicemente ricondurre alle originarie finalità un’importante iniziativa culturale ed educativa - ha replicato Salini -. Protagonisti di queste iniziative devono essere gli studenti, guidati dai loro docenti». Comitati vari e rappresentanze politiche «possono risultare in molti casi elementi estranei». Come dire: i viaggi della memoria si potranno ancora fare, ma senza il Comitato per la difesa della democrazia come tour operator.

Islam

Minacce al giornalista Rega per libro su cristiani e islamici

Le lettere minatorie hanno iniziato ad arrivare dopo la pubblicazione di un libro, “Diversi e divisi”. L'ultimo cronista a vedersi recapitare lettere minatorie per aver svolto il proprio lavoro è Nello Rega, giornalista del televideo Rai ed autore del testo sul tema della convivenza tra cristiani e islamici. A detta dello stesso cronista sono già cinque le missive recapitategli, di cui le ultime due inviate all'indirizzo della madre a Potenza e alla Pro loco di Gallicchio (Potenza), dove Rega ha presentato la sua opera due settimane fa e dove è stato attivato un comitato di solidarietà nei suoi confronti. Nella lettera recapitata alla madre, già consegnata ai Carabinieri di Potenza, vi sono due proiettili e un testo scritto al computer, con ripetute minacce di morte e l'invito a non comparire in trasmissioni televisive. “Ringrazio di nuovo i Carabinieri per l'attenzione con la quale stanno seguendo la mia vicenda - ha detto il giornalista - ma vorrei che lo Stato mi tutelasse meglio, dando così maggiore tranquillità a me e alla mia famiglia”. Intanto dall'Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti arriva la solidarietà di Alberto Spampinato a Rega: “Le nuove minacce di morte, rese note a Potenza, al giornalista Nello Rega di Televideo Rai ripropongono il problema di scoprire mandanti ed esecutori di questo tentativo di imbavagliare con la violenza una voce libera dell'informazione. Ripropongono inoltre l'esigenza di rafforzare senza ulteriori indugi le misure di sicurezza per garantire l'incolumità personale del minacciato”. “Avevamo già segnalato questa esigenza settimane fa - ricorda Spampinato che è direttore di Ossigeno per l'informazione, l'osservatorio di Fnsi e Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza - dopo le prime serie minacce. Ribadiamo con forza questa richiesta”. “Il caso Rega purtroppo – conclude Spampinato - non è isolato, si aggiunge a decine di altri casi di giornalisti minacciati da mafiosi, criminali e prepotenti di ogni risma che usano la violenza per limitare la libertà di espressione ed oscurare notizie di fondamentale importanza per l'opinione pubblica”. Sulla vicenda, intanto, Giuseppe Giulietti, parlamentare del gruppo Misto della Camera e portavoce di Articolo 21, ha annunciato un'interrogazione al ministro dell'Interno - firmata con gli esponenti del Pd Pina Picierno e Jean Leonard Touadi. “Siamo sicuri – ha dichiarato Spampinato - che il ministero dell'Interno vorrà predisporre le opportune misure di sicurezza”.

Massimo Cacciari

Lo strappo: «Condivido la scelta di Rutelli ma con l'Udc non ho nulla a che fare». Cacciari: addio alla politica. Sconfitti tutti i miei progetti. «Questo Pd è il vecchio disegno di D'Alema. Non mi interessa»

ROMA — «Non intendo più candidarmi a nulla. Nel 2010 non farò più il sindaco di Venezia, né il deputato. Basta. Quante volte occorre essere sconfitti in una vita?».
Massimo Cacciari si ritira? «Continuerò a dire la mia, ma non accetterò più impegni organizzativi. Ho già dato, serve realismo. Trent'anni fa speravo con altri di poter imprimere una svolta al Pci. Poi ci ho provato con Occhetto, quindi con il partito dei sindaci, con l'Asinello di Prodi, con la Margherita e infine con il Pd. Quel che ora dice Rutelli io l'avevo detto molto tempo prima. A chi dovrei continuare a predicare?».
E guidare il movimento di Rutelli? «Ma quando mai mi si è offerto di guidare qualcosa? E comunque non me ne frega niente, il potere mi fa ridere. Stimo Tabacci e, a Rutelli, mi lega una affettuosa amicizia. Condivido la sua scelta, ma io con l'Udc non ho nulla a che vedere. Né con gli altri».
Cioè il Pd di Bersani? «Gli auguro successo, ma sarà la cosa 2, 3 o 4 di D'Alema. È un dramma quel che si profila nel Pd. L'intesa col centro è inevitabile e 'sta frittata qui, un centrosinistra da prima Repubblica che è il vecchio disegno di D'Alema, non mi interessa culturalmente. Anche se è l'unica via per sconfiggere Berlusconi».
Trovi lei un'altra via. «E cosa dovrei fare? Più di come mi sono fatto il culo in questi anni? Nessuno mi ha mai filato, anche se ho avuto sempre ragione. In politica bisogna essere a tempo e non in anticipo, a 65 anni ho capito che non sono capace di fare politica. Il mio amico D'Alema sì, che è capace».
Ha mediato con Rutelli. «Non sento D'Alema da quando avevo i calzoni corti, ma so per certo cosa gli ha detto. "Ti capisco, Francesco. Fai il centro e ci incontreremo in una bella alleanza"».
D'Alema potrebbe diventare ministro degli Esteri Ue. «Sì, dopo aver rimestato nel pollaio in modo tale da diventarne l'ambasciatore più rappresentativo... È lo stesso film del '98, quando D'Alema nel casino generale fa un bell'accordo fuori dal centrosinistra e diventa premier».
Rimpiange Prodi? «Macché, lasciamolo perdere Prodi. Veltroni sì che aveva idee, ma non ce l'ha fatta per limiti personali e incapacità organizzativa. Fassino e Rutelli erano autenticamente per il Pd, sono stati generosi e nemmeno loro ce l'hanno fatta. Casini? Anche lui non ha capito nulla».
Le Regionali: un bagno? «Non è detto. Bersani può anche tenere, Pd e centro assieme potrebbero fare meglio che alle Politiche».
La Bindi accusa Rutelli di pensare al se stesso. «Vada a spasso. Ci vorrebbe un libro per raccontare i disastri che ha fatto la Bindi».
Quanta amarezza... «Macché amarezza, una liberazione. Non vedo l'ora di tornarmene all'università».

Monica Guerzoni