giovedì 7 novembre 2013

Sul lavoro

I mini-jobs all'italiana di Claudio Martini

Nella puntata di Ballarò del 22 ottobre scorso la trasmissione di Giovanni Floris fece quello che probabilmente sarà ricordato come il primo servizio giornalistico della sua storia: un'inchiesta sulla diffusione dei mini-jobs in Germania. Andatela a cercare. È molto interessante. La giornalista descrive quello dei mini-jobs come un "meccanismo infernale", una specie di "tunnel", "dal quale è difficile uscire". Il fatto è che la retribuzione prevista da tali contratti è talmente ridicola (nella maggior parte dei casi sotto i 500 euro al mese) da non garantire la sussistenza del lavoratore che la riceve; conseguentemente, per vivere, questi lavoratori hanno assoluto bisogno di percepire tutta una serie di aiuti e sussidi da parte dello Stato, che comprendono redditi di integrazione del misero salario, aiuti per il pagamento dell'affitto, buoni per il mantenimento dei figli ecc ecc.

Ma per continuare a percepire tali sussidi, il lavoratore deve dimostrare di meritarseli: in pratica, non può permettersi di rifiutare alcuna offerta di lavoro, qualsiasi essa sia, altrimenti perde il sussidio; e lo Stato, dal canto suo, può permettersi di esercitare un controllo invasivo e paternalista sui percettori dei sussidi, con un monitoraggio costante sulla situazione patrimoniale, sui movimenti di capitale, addirittura sulle abitudini di vita. Il lavoratore, che vede ridotto al minimo il suo potere contrattuale e anche un po' la sua dignità, non rappresenta più un grave costo per l'azienda. E così le imprese ricevono, di fatto, un finanziamento pubblico, tanto che il giurista Luciano Barra Caracciolo ha parlato di indebiti aiuti di Stato, che potrebbero costituire una violazione dei Trattati europei da parte della Germania. In ogni caso, questa tenaglia rappresentata dalla carota dei sussidi e dal bastone dei mini-jobs aiuta a capire cosa intendano i tedeschi per Economia Sociale di Mercato. Senza contare, poi, che i sussidi, in ultima analisi, li pagano gli stessi lavoratori, nella veste di contribuenti (le grandi imprese, dalle loro sedi a Lussemburgo e nelle Isole Cayman, salutano affettuose).

Bene, l'ultima puntata della trasmissione Piazza Pulita, su La 7 il 4 novembre, ha svelato come molti geniali imprenditori italiani abbiano riprodotto, nelle loro aziende e nei loro distretti, condizioni quasi esattamente identiche a quelle tedesche. In via informale, ovviamente.

Il trucco è abbastanza semplice. I lavoratori vengono licenziati, o meglio messi in mobilità; lo Stato, o meglio le regioni, li iscrivono nei programmi della Cassa Integrazione in deroga; i lavoratori vengono poi riassunti, ma "al nero". I lavoratori percepiscono così lo stesso stipendio di prima, magari un po' ribassato, ma stavolta senza che l'imprenditore debba versare loro i contributi sociali (il che avrà effetti devastanti sul loro trattamento pensionistico), ma posso integrare questo magro trattamento retributivo con i denari della Cassa Integrazione. L'autosufficienza dei lavoratori è garantita dallo Stato, cioè dai contribuenti, e per l'impresa si materializza un vantaggio fiscale non indifferente. Non è straordinario? È la via italiana ai mini-jobs, lastricata di furbizie e illegalità. Non a caso Lorenzo Bini Smaghi, presente nello studio della trasmissione, ha immediatamente riconosciuto le analogie sostanziali con il modello tedesco- beccandosi l'ovvia rampogna di Claudio Borghi.

Questa storia contiene diversi insegnamenti. Innanzitutto dimostra la differenza, nelle modalità pratiche di esercizio del potere, tra le élite tedesche (politiche ed economiche) e quelle italiane. Le prime dichiarano chiaramente quello che vogliono ottenere, e cercando raggiungerlo per vie legali e standardizzate. Le seconde invece non passano per la via maestra delle riforme e del cambiamento delle leggi, ma per quella della fantasia e della violazione delle regole. È questa un'importante questione antropologica. La questione politica è che, come questo caso (insieme a tanti altri) dimostra, euro e mercato unico europeo sono stati visti, dalle classi dirigenti italiane, come un ring sul quale competere con i tedeschi. Anche il mercantilismo italiano ha una sua tradizione, di cui la Legge Maroni-Biagi e la generalizzata tolleranza verso l'evasione fiscale non rappresentano che i più fulgidi esempi. Ma nel confronto con quello tedesco non c'è scampo per le nostre impres(in)e.

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