domenica 29 marzo 2020
European standoff
di Andrea Zhok
Ieri, alla domanda di un giornalista che, con una certa ingenuità, aveva il coraggio di chiedere: "Se dovesse spiegare a cosa serve l'Europa agli italiani, cosa direbbe?" l'attuale presidente del Parlamento Europeo, l'ex conduttore televisivo David Sassoli, è diventato paonazzo e si è messo a balbettare che "l'Europa serve a difenderci", che "abbiamo finalmente capito il senso della nostra interdipendenza" e che "nessuno può farcela da solo". Eh, niente, questi sono personaggi che messi in catene a remare in una galera ti spiegherebbero che ci sarebbe andata assai peggio se non ci avesse difeso l'Europa. Le catene sarebbero meno oliate. Il problema rappresentato da questa classe dirigente purtroppo è immenso. Non hanno la formazione sufficiente per capire quello che sta succedendo, né per riuscire ad immaginare che c'è ossigeno al di fuori della serra in cui sono stati allevati. Ma dall'alto delle posizioni in cui sono stati collocati per la loro fedeltà continuano a rimestare la medesima minestra, impermeabili ad ogni tentativo di revisione degli schemi (persino quelli suggeriti da soggetti del loro stesso establishment, come Draghi).
Il problema di questi personaggi è che non avranno mai il coraggio di sostenere soluzioni diverse da quelle cui sono stati pavlovianamente addestrati. Rimarranno lì, aggrappati ad un sasso, immobili come iguana, fino alla fine. Sarebbe inutile spiegare loro che oggi l'Unione Europea ci potrebbe difendere (è ancora assai incerto che lo farà) essenzialmente dai problemi generati dall'Unione Europea stessa. Ci potrebbe difendere dalla speculazione sui titoli di stato grazie ai poteri di banca centrale di cui ci siamo deprivati, delegandoglieli, e che ora ci vengono restituiti occasionalmente, per brevi periodi, e con un contraccambio. Ci potrebbe difendere (ma di fatto non lo sta facendo affatto) dalla scarsità di capitali per operazioni emergenziali, dopo averci sottratto i mezzi finanziari per produrli. Ci potrebbe difendere (ma non lo sta facendo) dai blocchi nazionali degli scambi in un momento di emergenza. Come al solito il libero scambio fluisce ubertoso quando di merci e capitali c'è già abbondanza, ma quando ne hai davvero bisogno si rileva essere il proverbiale ombrello che ti viene consegnato nelle giornate di sole per essere ritirato quando inizia a piovere.
E' curioso come non si veda che nel momento del bisogno l'UE, lungi dall'essere una 'difesa' è semplicemente una difesa potenziale, claudicante o assente, dai danni che essa stessa arreca (un po' - mi si consenta la malignità - come quei brutti ceffi che ti 'danno la protezione' proprio dai brutti ceffi che loro sono.) Detto questo, visto che nella storia si parte sempre nell'azione dalle opzioni realmente disponibili, in questo momento, la posizione di fragilità dei singoli paesi europei, anche i più forti, è un dato obiettivo. Gli USA saranno colpiti durissimamente, ma hanno una struttura economica e un territorio che può essere facilmente riportato a condizioni di autosufficienza. Per i paesi europei, in cui l'intera produzione è stata concepita per massimizzare i profitti e la competitività sui mercati esteri, è stata creata ad arte una situazione terribilmente fragile: l'Europa è il regno del terziario e di produzioni ad alto valore aggiunto con filiere di produzione immense e planetarie. Siamo lontanissimi dall'autosufficienza alimentare o energetica. E questo sia come singoli stati che come loro sommatoria. Dunque è vero, in un certo senso, che oggi in Europa 'nessuno stato può farcela da solo'. Solo che il problema non viene davvero risolto aggiungendovi altri stati europei, né intensificando gli scambi con essi. La soluzione sarebbe stata da un lato l'accettazione di una minore specializzazione (una minore fedeltà alla ricardiana 'teoria dei costi comparati'); e dall'altro una maggiore autonomia nazionale nei rapporti bilaterali con stati complementari (multilateralismo).
Ma con le opzioni mancate ci possiamo riempire la saggistica sugli universi possibili, non guidare la politica corrente. Di fatto ora non possiamo reinventarci una situazione che richiede anni per essere reistituita. Dobbiamo intervenire nell'immediato per impedire un massacro sia del tessuto produttivo (industriale, agricolo, zootecnico) che del potenziale umano. Per farlo l'alleanza con altri paesi europei è oggi sia utile che disponibile. E un intervento di sostegno anticliclico e durevole all'economia che fosse supportato da una comune volontà da parte di paesi pesanti come Francia, Spagna e Italia sarebbe di principio più efficace di un intervento unilaterale a seguito di uno strappo (Italexit). Dunque cosa conviene fare in questo momento è chiaro. Ogni tentativo di far rientrare le nuove esigenze all'interno delle demenziali pastoie delle vecchie regole europee è fallimentare e controproducente. Si parla spesso di 'piano Marshall' per l'economia europea, ma solo un cretino può credere che qualcosa come un 'piano Marshall' posso essere attivato nei confini dei trattati attualmente in vigore. E' qualcosa di talmente chiaro che possono ammetterlo simultaneamente soggetti con interessi tradizionalmente del tutto divergenti, sia politicamente che in termini di classe.
Dunque la strada parrebbe obbligata. E invece la strada è sbarrata. Quali che siano le concessioni che obtorto collo potranno essere (forse) estorte al blocco tedesco-olandese, si tratterà di una corsa coi ceppi ai piedi. Più probabilmente ancora, non verrà concesso niente se non qualche chiacchiera simbolica, nella speranza che i vari Sassoli nei paesi europei riescano a rivendersela come 'coraggiosa mediazione'. Siamo in una fase di stallo. Uno "stallo alla Messicana", o forse meglio "all'Europea", in cui ci si guarda in faccia attraverso il mirino, pronti a far fuoco, ma con nessuno che abbia il coraggio di fare il primo passo. Purtroppo, diversamente dagli "stalli alla Messicana" della cinematografia, quello europeo non è tale da massimizzare i benefici per tutti se nessuno si muove. Lo stallo perdurante equivale di fatto alla vittoria del blocco tedesco-olandese e alla catastrofe per gli altri. Come in un classico di Sergio Leone, il carillon suona e continuerà a suonare. Finché uno dei duellanti cadrà esanime. Senza che un colpo sia stato sparato.
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