L'Italia di oggi si trova in condizioni molto peggiori rispetto a quelle degli anni Ottanta del secolo scorso. Non si tratta di celebrare i tempi migliori (che, come è noto, non sono mai esistiti), ma solo di prendere atto della realtà. Nel 1989 eravamo la quinta potenza economica mondiale, la nostra industria appariva in continua espansione, avevamo, pur nell’ambito dell’alleanza atlantica, una politica estera con dei margini di autonomia. Il debito pubblico, che già allora appariva eccessivo, era però molto inferiore a quello attuale, sia in termini assoluti, che in rapporto al PIL. In quattro decenni si è avuto un declino spettacolare, che ha pochi precedenti nella storia. L’economista neoliberale, figura ormai diventata quasi metafisica e presenza costante nei talk show televisivi, dove ha potuto esibire con orgoglio il suo volto da iettatore, ci ha sempre spiegato che i responsabili di questa catastrofe eravamo noi stessi. Come dei cattivi scolari, non abbiamo fatto i compiti a casa e ora ne paghiamo le conseguenze. Bisognava privatizzare di più, liberalizzare di più, tagliare la spesa pubblica di più.
Questa dotta interpretazione, in cui si mescolano moralismo malafede e mancanza di intelligenza, è stata ripetuta fino alla nausea, ma ormai comincia, con buona pace del sopra nominato scienziato, ad aver sempre meno presa. Risulta infatti evidente che le cause di un tale tracollo, che certo sono molteplici e risalgono, come in tutti i grandi fenomeni storici, molto indietro nel tempo, devono però essere soprattutto ricercate in ciò che è avvenuto con la fine della prima repubblica. I pilastri su cui essa si reggeva (il sistema dei partiti, le partecipazioni statali, la grande industria privata, la piccola impresa, le banche pubbliche, la flessibilità del cambio, la possibilità di far leva sulla spesa pubblica) sono stati tutti, o prima o dopo, abbattuti. Oggi rimangono le piccole imprese legate alla catena di valore tedesca (la crisi che incombe sulla Germania rischia per altro di distruggere anche quelle) e la finanza usuraia. Le decisioni strategiche prese in questi decenni (Maastricht, la svendita dell'industria pubblica, l'entrata nell'euro, l'austerità ecc) si sono rivelate catastrofiche. Il vincolo esterno, con cui Guido Carli pensava di mettere per sempre a tacere le rivendicazioni operaie, è stato in realtà una pesantissima palla al piede per il paese e ne ha compromesso in modo irreparabile lo sviluppo.
Le cose sono andate talmente avanti che il ritorno allo stato quo ante risulta molto difficile. Per quanto mi riguarda non ho soluzioni e nutro poche speranze. La medicina, che prima o dopo saremo comunque costretti a prendere, rischia di avere effetti collaterali non molto diversi dalla malattia. E' quindi difficile dire come ne usciremo. Di una cosa soltanto sono sicuro. Ci potremo aspettare un futuro quanto meno dignitoso, solo se sapremo guardare con onestà e spirito di verità a quanto è accaduto nel nostro recente passato.
Silvio dalla Torre
