giovedì 21 luglio 2022

Con il culo ciao ciao Draghi

All’improvviso, dopo anni passati a sentirci ripetere il contrario, abbiamo scoperto che il popolo italiano esiste. Non solo: abbiamo appreso che esso ha parlato con voce sola, chiedendo – anzi, pretendendo – che Mario Draghi restasse a capo del governo. Ce lo hanno detto i giornali spiegando, come ha fatto Goffredo Buccini sul Corriere della Sera, che “le voci del Paese” hanno lanciato “un grido di dolore” nel tentativo di convincere l’Unto del Signore a rimanere al suo posto. Soprattutto, però, lo ha confermato Draghi in persona, richiamando più volte nel suo discorso la potenza della nazione unita. Gli italiani, ha detto Draghi, “hanno sostenuto a loro volta questo miracolo civile, e sono diventati i veri protagonisti delle politiche che di volta in volta mettevamo in campo”. Del resto, ha specificato il Divo Mario, “l’Italia è forte quando sa essere unita”. Ma, “purtroppo, con il passare dei mesi, a questa domanda di coesione che arrivava dai cittadini le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione”. Già a chiedere che l’esecutivo restasse in sella “sono stati soprattutto gli italiani”. È interessante questo costante richiamo quasi mazziniano al popolo presentato come una sorta di Dio mortale, perché qualcuno potrebbe (a ragione) ritenerlo un argomento degno del populismo più superficiale. L’Italia, ci hanno più volte ricordato i dotti esponenti del bel mondo progressista, è una repubblica parlamentare, i cittadini si esprimono nelle urne ed è il Parlamento a legittimare il governo, non un generico plebiscito. Eppure, guarda un po’, ieri Draghi ha fatto proprio questo: ha personalizzato il popolo, utilizzandolo per puntellare il suo potere. A ben vedere, si è espresso come avrebbe potuto fare un caudillo sudamericano, o un autocrate d’altri tempi.


C’è, tuttavia, un particolare non secondario di cui tenere conto. Ai tempi delle adunate mussoliniane – come in passato ha accuratamente dimostrato, tra gli altri, Renzo De Felice – il popolo in effetti partecipava, acconsentiva. Oggi, invece, abbiamo il caudillo (anzi, il Draghillo), ma non le masse. I metodi elencati a suo tempo da Gustave Le Bon utili a creare e manipolare la folla sono stati utilizzati tutti, ma della folla, comunque, nessuna traccia. “L’Italia lo vuole!”. Ottimo: però l’Italia dov’era? Di certo non a piazza Venezia a inneggiare a Draghi. E qui arriviamo al nodo della questione. La presunta massa si è dimostrata molto meno malleabile delle presunte élite. Il famigerato popolo schierato con Draghi non esisteva, ma i media, la politica e quelli che una volta s chiamavano corpi intermedi hanno provato a raccontarci che invece era lì, pronto ad applaudire il Salvatore. Ecco, questa è la vera grande lezione che ci lascia questa pantomima politica estiva. Non soltanto abbiamo appreso che, alla bisogna, il richiamo alla volontà popolare può essere serenamente utilizzato. Ma abbiamo anche avuto l’ennesima – e stavolta definitiva – riprova della clamorosa disponibilità alla servitù volontaria delle nostre classi dirigenti. Sui quotidiani si sono letti commenti grotteschi sull’amore del popolino per il Grande Timoniere. Abbiamo visto paradossali raccolte di firme a sostegno di un leader di governo mai votato dai cittadini. Ci è toccato leggere inenarrabili piagnistei dei governatori, sempre pronti a dimenticarsi dell’ideologia quando c’è da allinearsi al potere costituito. Al solito, gli intellettuali hanno prodotto uno spettacolo raccapricciante. Natalia Aspesi che s’intruppa nell’appello delle sciure bene. Lo scrittore di montagna Paolo Cognetti pronto a dire che la crisi è irresponsabile perché bisogna fermare il riscaldamento globale. Gianfranco Carofiglio disposto a dichiarare che Draghi è straordinario, e che va preservato perché altrimenti nessuno penserà ai più deboli. Si son sentiti più violini negli ultimi tre giorni che in tutta la stagione della Scala. E figuriamoci se gli altri prelati potevano essere da meno. Il caudillo si trova in difficoltà? Presto, chiamate monsignor Paglia, patrono dell’oligarchia. Il presidente della Pontificia accademia per la vita, sulla scia di Carofiglio, è arrivato a dire che Draghi doveva proseguire perché “c’è in ballo il futuro di 14 milioni di anziani”.


Ma pensa. Dov’erano, tutti questi bianchi paladini dei più deboli quando c’era da tutelare chi perdeva il lavoro perché non vaccinato? Qualcuno di loro si è forse rivolto al governo, nei mesi passati, chiedendo che la piantasse di gettare benzina sul fuoco ucraino, magari al fine di evitare che i poveri e gli anziani restassero al freddo l’inverno venturo? Certo che no. Anche allora, erano tutti impegnati a servire. Erano entusiasti di servire. Questo abbiamo imparato: non c’è potente che la nostra élite non sia disposta a blandire. Anni fa è toccato persino a Conte, di cui si cantavano meraviglie presentandolo come colui che aveva traghettato i 5 stelle verso la maturità politica e morale. Ora Conte è tornato a essere un suino come tanti, sostituito da Draghi nel cuore di tutti i valletti. Dopo tutto, c’è sempre qualcuno a cui è importante sottomettersi, un signor padrone a cui votarsi: se si chiama Draghi bene, se è Sergio Mattarella anche meglio. In Italia, l’obbedienza è la virtù dei forti. Si edifica, così, un totalitarismo di tipo del tutto nuovo. Un tempo si facevano addomesticare le masse, e gli intellettuali si opponevano. Oggi i ceti intermedi si addomesticano da soli e le masse – benché mobilitate – collaborano solo in parte, e spesso malvolentieri. Si è scoperto che l’appoggio della folla no serve: basta sedarla. E alla sedazione provvedono proprio coloro che dovrebbero, invece, risvegliare le coscienze. Se non altro, abbiamo compreso perché invocano Draghi: hanno bisogno del Re perché amano essere sudditi.


Francesco Borgonovo, “Li hanno dimenticati e adesso straparlano dei deboli da tutelare”, “La Verità”, 21 luglio 2022

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