Qualcuno di voi avrà pensato che la gogna (adorabile) patita il 4 dicembre da Big Ciambello e ciambellani potesse abbassarne boria e supponenza. Macché: son sempre più convinti di essere i prescelti. Del resto, quando una classe dirigente (va be’) è fatta dalle Boschi, dai Nardella, dalle Morani, dalle Picierno, dai Gozi, dai Ciaone Carbone e da una masnada di fantoccini, playmobil, yesman e droidi querule non puoi andare da nessuna parte. Se non contro un muro. L’Italia resterà comunque imperdonabile: aver dato il paese in mano a gente simile è davvero allucinante. Come scegliere Alessandro Siani per il remake di Taxi Driver. Guai a pensare che Renzi sia finito: magari. Non lo è ancora, perché nel Pd non ha contro esattamente Berlinguer e Pertini, perché quasi tutta l’informazione è dalla sua parte e perché i Chicco Testa e Recalcati non possono piangere per sempre. E’ ovvio che Renzi voglia andare al voto il più presto possibile, mentre il partito e le opposizioni desiderino logorarlo a fuoco lento per poi farlo sembrare il Poro Schifoso quando si andrà al voto (verosimilmente dopo settembre, quando sarà scattato il vitalizio per tutti). Renzi e renziani (cioè niente) vorrebbero andarci a febbraio facendo saltare il banco, ma significherebbe farlo con l’Italicum sub iudice alla Camera e il Consultellum al Senato. Un troiaio. Il 24 gennaio si esprime la Consulta, che se l’è presa comoda (per volere di Mattarella, vien da dire) e quindi prima di maggio il voto è improbabile. Nel frattempo che si fa? Renzi vorrebbe un governo di scopo con Berlusconi e grillini, ma ovviamente né gli uni né gli altri sono scemi e quindi lo lasceranno solo a macerare (stacce). Metà partito vuole che Renzi resti lì, così si brucia. L’altra metà è fatta dai Nardella, quindi non pensa. E’ tutto molto divertente: oggi preparate i popcorn, la direzione Pd che si preannuncia fiammeggiante. Ieri, a proposito, si è visto un Pierluigi Bersani assai pugnace a DiMartedì: forse la sua prova televisiva migliore. Renzi ha ridestato i can che dormivano, ha fatto incazzare i D’Alema e gli Emiliano, Enrico Rossi è in rampa di lancio e la minoranza dem esce rafforzata dal martirio referendario di Big Ciambello. Il quale, lunedì, è stato bastonato non poco da Mattarella. Che è molto meno sfinge amebica di quanto sembri. Gli ha abbassato la cresta pingue e gli ha fatto capire che lui, al voto subito, non vuole andarci. Più probabile un bel (?) proporzionale per disinnescare i Cinque Stelle. Contro Renzi si è schierata l’ala dei franceschiniani-margheritiani: Franceschini (potentissimo), Mattarella, Amato (Giuliano c’è sempre). E pure Delrio non è che sia poi così fedelissimo di Renzi, al di là delle messe cantate che recita in tivù. Come governo di scopo c’è pure l’opzione Grasso, non troppo cordialmente detestato da Renzi perché “bersaniano” e in generale non abbastanza servo renziano. Insomma: Big Ciambello vincerà le elezioni, è già campione del mondo e Platini ha già detto a Ronaldo che il Pallone d’Oro sarà ancora di Renzi e Orfini in coabitazione, ma per Renzi il momento è comicamente difficile. Nel frattempo, accadono cose mirabili. Per esempio Rondolino che, su RaiTre, viene zimbellato con agio da Gasparri (Gasparri, eh: non Adenauer). Si vola. C’è poi il mantra del “noi abbiamo vinto perché abbiamo preso il 40% dei voti”, che “is the new volpe e uva 2.0” (scusate se cito Justin Bieber). Dire che Renzi ha vinto perché il sì ha preso più del 40% è una cazzata titanica. Infatti l’hanno detta Lotti, Picierno e Chicco Testa. Vi spiego perché.
1. Il “sì” non era su Renzi, ma su una riforma orrenda (infatti l’ha firmata la Boschi).
2. Il “sì” non è solo di Renzi: è anche di Alfano (va be’), di Casini (va be’), di un elettore su quattro berlusconiano, un elettore su cinque leghista, un elettore su dieci grillino.
3. Se fai la tara alla percentuale del “sì”, arrivi più o meno a un 30% abbondante di voti: esattamente quel che dicono da mesi i sondaggi quando parlano del Pd. Dov’è la novità?
4. Se i voti nei referendum equivalessero a consensi elettorali, Pannella dopo l’aborto sarebbe diventato Presidente del Consiglio, della Repubblica e della Galassia.
5. Se i voti nei referendum equivalessero a consensi elettorali, Cameron sarebbe ancora Cameron, visto che sulla Brexit prese il 48%. Invece (grazie pure lui a Jim Messina) oggi è anzitempo un disoccupato politico.
6. Renzi fino a tre mesi fa credeva di vincere in ciabatte. Poi gli è presa paura, infatti ha cominciato ad andare in tivù contro tutti (oddio, contro tutti no: contro di me, o Di Battista, o Di Maio, non c’è mai andato. Chissà perché). Domenica era ancora convinto di vincere, o di giocarsela sul filo di lana. Invece ne è uscito tritato, nonostante tutta o quasi l’informazione fosse dalla sua. Tradotto: “vinto un cazzo, Matteo”.
7. Renzi e renziani sono vecchi anche in questo: quando perdono, prima fingono di accettare la sconfitta (magari con un discorso frignone) e poi dicono: “Sì, ma in fondo abbiamo vinto”. Faceva così anche Fanfani. Ma lo faceva parecchio meglio. Che palle, ‘sti renziani.
8. Renzi non è votato neanche sotto tortura dai giovani, e senza il voto dei giovani al massimo vai a cena con Marchionne, Il Volo, la D’Amico e Baricco. Più difficilmente a Palazzo Chigi.
9. Renzi è sfanculato da sud e province, e senza il loro voto Palazzo Chigi lo vedi giusto su Google Maps. A margine, chi sta dicendo che il Sud e le province sono “ignoranti” perché hanno votato no, deve vergognarsi di quel che dice. E in generale di essere nato.
10. Renzi, nel 2014, era il politico più amato dagli elettori: ora è il più odiato. Ha raggiunto in neanche tre anni quello che il suo maestro Silvio ha ottenuto in venti. Più che una carriera politica, la sua è una eiaculazione precoce di antipatia ributtante e contagiosa. Bravo Matteo: mille di questi giorni.
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