venerdì 24 aprile 2015
Di immigrazione e altro
In pratica, dobbiamo sobbarcarceli comunque. Perchè la francia e l'inghilterra sono in campagna elettorale e non possono o non vogliono dire di accettare altri immigrati. La germania se ne frega, gli altri membri ue sono troppo lontani dalle coste e noi siamo i soliti coglioni che non contiamo un emerito cazzo. Come dire, la ue sborsa più soldi (NOSTRI) e sono comunque cazzi degli italiani. Checchè ne dica fonzarelli tronfio ormai soltanto della sua aria che gli sta uscendo tutta ma proprio tutta dal culo.
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martedì 14 aprile 2015
Fronte immigrazione
Alfano non invoca piagnucolando nemmeno più la Ue, Alfano dice al prefetto di cercare altri posti dove infilare i "migranti" punto e basta. In soli tre giorni ne sono arrivati circa SETTEMILA e altrettanti ne stanno arrivando. Ma, avanti, c'è posto... Poi, succede che a roma, un imbecille di 25 anni, vada in giro con ascia e martello e aggredisca gente. E tanto, troverà un altro imbecille togato che troverà una scusa per scagionarlo dalla colpa. E poi, succede che, nell'ex oasi di pace in quel delle marche, i centri storici medievali, diventano suk puzzolenti e degradati perchè qualunque giunta comunale s'è venduta ai poveri "migranti" che fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare e che ci pagheranno le pensioni... e succede anche che salotti sul mare come porto san giorgio, porto sant'elpidio, porto recanati diventino ricettacoli di microcriminalità extracomunitaria e che bande di spacciatori e papponi si aggrediscano gli uni con gli altri coinvolgendo gente che passava di lì anche solo per fare una passeggiata. E poi, succede anche che, un dignitoso rifugiato nigeriano (che coi soldi delle nostre tasse ha: vitto, alloggio, carte telefoniche, sigarette, cambio abiti e lenzuola e cazzeggio libero) insista nel chiedere elemosina infastidendo il prossimo, per rabbia decida di devastare una quindicina di auto e cinque vetrine. La coop dice che non ha mai avuto problemi prima di quel momento. E' stato salvato dal linciaggio. Peccato. Poi, ci si indigna se qualcuno ha il coraggio di sparare a qualche magistrato?
venerdì 3 aprile 2015
Regione Marche, distretto calzaturiero, eccellenze muoiono
Lorenzi, interrotta l'attività produttiva. Settanta dipendenti restano a casa
PORTO SANT'ELPIDIO - Scorrono ormai i titoli di coda alla Gianmarco Lorenzi. Solo l'arrivo di nuovi investitori potrebbe salvare una delle aziende più conosciute del distretto calzaturiero ma in difficoltà dall'ottobre 2012 quando presentò la domanda di concordato preventivo al Tribunale di Fermo. La speranza di poter far ritornare l'azienda ai fasti di un tempo fece capolino tra il 2012 e il 2013 quando, grazie all'apporto di nuovi capitali provenienti dalla società creditrice T.g.p. Srl, tacchi e accessori, di San Mauro Pascoli (Fc), si formò la Gianmarco Lorenzi Group srl (con sede legale in via della Spiga a Milano e sede operativa a Porto Sant'Elpidio). La nuova società, il cui socio di maggioranza è la G.L. Investimenti srl, acquisì con affitto di ramo d'azienda la Gianmarco Lorenzi srl, diventata G.L. Investimenti. Anche quest'ultima società però è entrata in crisi: il 6 agosto scorso ha chiesto il concordato preventivo ma il 27 gennaio 2015 il Tribunale l'ha dichiarata fallita (l'udienza per la verifica dello stato passivo è stata fissata il prossimo 21 maggio).
Lo stato di insolvenza della G.L. Investimenti srl ha precluso il futuro della Gianmarco Lorenzi Group srl che "ha ricevuto comunicazione di rescissione del contratto di affitto di azienda" per cui, spiegano le organizzazioni sindacali Filctem Cgil e Femca Cisl, "tutti i circa 70 dipendenti in forza all'azienda sono stati retrocessi alla società fallita e in mano al curatore fallimentare Andrea Vitellozzi. Quanto accaduto - proseguono Alessandro De Grazia della Cgil e Piero Francia della Cisl - ha interrotto immediatamente tutte le attività produttive della società, sospendendo i dipendenti in attesa che il curatore fallimentare, di concerto con le organizzazioni sindacali, individui l'ammortizzatore sociale che consenta in tempi brevi la garanzia salariale agli stessi". La scelta, che i dipendenti stanno affrontando in questi giorni (ieri mattina si è tenuto un nuovo incontro), è tra due ipotesi: la cassa integrazione straordinaria per 12 mesi o la procedura di mobilità. "La prima sarebbe auspicabile - sostengono sempre i sindacati - in particolare se dovesse concretizzarsi l'interesse di qualche imprenditore a rilevare il marchio e magari riprendere la produzione con effetti positivi sull'occupazione". In questo momento di crisi e, aggiungono i sindacati, "con una complicata situazione societaria", non sarà semplice trovare un investitore per cui molti dipendenti si stanno orientando sulla procedura di mobilità con il conseguente licenziamento di tutto il personale. Dunque una situazione piuttosto complicata dalla quale non sarà facile uscire. Il pensiero va soprattutto alle 70 famiglie che vedranno il proprio congiunto perdere il posto di lavoro in un momento in cui la ricollocazione appare complicata.
Ma continueranno a votarli
Pd, da Mafia Capitale a Ischia tutti gli indagati del partito di Renzi. Altro che questione morale: da nord a sud è record di inquisiti. Corruzione, disastri ambientali e spese pazze. Genova, Bologna, Torino, Palermo, Roma e Milano: non c'è città dove esponenti democratici non siano nei guai di F. Q.
“Bisogna smettere di rubare”. Sono le parole usate dal presidente del Consiglio per presentare la candidatura dell’Italia alle Olimpiadi del 2024. Le stesse usate sempre da Renzi dopo lo scandalo Mose che ha travolto il sindaco Orsoni. I fatti, per una volta danno ragione al premier. Non il suo partito, che annovera nel suo Pantheon il padre della questione morale Enrico Berlinguer e nelle sue liste una lunga sequenza di indagati. Ecco l’elenco, necessariamente incompleto, delle inchieste in corso. Il Partito democratico di epoca renziana è come non mai al centro di vicende giudiziarie da nord a sud, isole minori comprese (dopo il caso Ischia). Lo scandalo più grosso è sicuramente quello di Mafia Capitale, per cui in Campidoglio risultano indagati nell’inchiesta “Mondo di mezzo” Mirko Coratti e Daniele Ozzimo (il primo dimessosi da presidente dell’Assemblea capitolina a inizio dicembre, entrambi autosospesi dal partito). Il vicesegretario nazionale, Lorenzo Guerini, pochi giorni prima della retata del 2 dicembre, cercò di convincere, senza riuscirci, Ignazio Marino a nominare proprio Coratti vicesindaco. Si è autosospeso anche il consigliere regionale Eugenio Patanè. In Regione Maurizio Venafro, coinvolto nell’inchiesta, ha lasciato l’incarico di capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti. Vicecapo di gabinetto della giunta Veltroni, in seguito capo della polizia provinciale, era Luca Odevaine, agli arresti, accusato di corruzione, sempre nell’inchiesta “Mondo di mezzo“.
Liguria. La centrale a carbone di Vado, Burlando e gli scontrini salati
Le spese pazze e il disastro ambientale della centrale a carbone di Vado. Sono le due prime preoccupazioni del Pd ligure, in una regione che ultimamente è stata flagellata dagli scandali. L’indagato più noto è senz’altro il governatore Claudio Burlando, finito nel registro della Procura di Savona con l’accusa di concorso in disastro ambientale doloso. Sono indagati anche gli assessori alla Sanità Claudio Montaldo, alle Attività produttive Renzo Guccinelli e Renata Briano (ex assessore all’Ambiente, oggi eurodeputata). Al centro dell’inchiesta l’inquinamento provocato dalla centrale Tirreno Power che secondo i periti dell’accusa con i suoi fumi avrebbe causato almeno 400 morti. E sono indagati anche i sindaci di Vado, Attilio Caviglia e Monica Giuliano, e di Quiliano, Alberto Ferrando. C’è poi l’inchiesta sulle spese pazze, che in Liguria ha toccato quasi metà del Consiglio regionale: in carcere due vicepresidenti della giunta di centrosinistra. Tra gli indagati del Pd risultano il capogruppo in Regione, Nino Miceli e il tesoriere del gruppo Mario Amelotti.
Ma la lista si allarga, se si considerano anche i partiti che fanno parte della coalizione trasversale che ha governato la Regione negli ultimi anni. Non fa “tecnicamente” parte del centrosinistra, ma Alessio Sa-so è un sostenitore dichiarato di Raffaella Paita (candidata Pd a governatore). Saso è indagato per voto di scambio in un’inchiesta sulla criminalità organizzata nel Ponente Ligure.
Campania. Il re di Salerno De Luca e il caso di Orta d’Atella
L’inchiesta che forse meglio di ogni altra in Campania avvolge gli interessi della politica e dell’imprenditoria “rossa” in un giro di (presunte) tangenti è la vicenda Sea Park: tra gli imputati per associazione a delinquere finalizzata a reati contro la Pubblica amministrazione c’è anche l’ex sindaco e candidato Pd a governatore della Campania, legge Severino permettendo, Vincenzo De Luca. È la fallita riconversione dell’Ideal Standard in parco acquatico con l’apporto dei capitali di un consorzio di imprese emiliane, la Cecam. All’indirizzo Cecam c’era solo una cassetta postale e il suo rappresentante si presentava alle riunioni con le scarpe risuolate. Eppure erano i tramiti di un giro di miliardi delle vecchie lire per far svendere i suoli dell’Ideal Standard agli emiliani e far realizzare il Sea Park in un terreno di proprietà dell’imprenditore Vincenzo Maria Greco. C’erano le intercettazioni, furono distrutte perché De Luca godeva delle guarentigie parlamentari. I reati ormai sono prescritti, ma De Luca ha rinunciato alla prescrizione e il 14 aprile farà dichiarazioni spontanee. Fresca fresca invece è l’accusa di corruzione aggravata dal metodo camorristico con cui è finito in carcere il sindaco sospeso di Orta d’Atella (Caserta) ed ex consigliere regionale Ds Angelo Brancaccio. La Dda di Napoli e la polizia hanno trovato le tracce di 330 mila euro versati su un conto svizzero di Brancaccio da Sergio Orsi, imprenditore dei rifiuti e riferimento del clan dei Casalesi (il fratello Michele fu ucciso nel 2006 su ordine di Giuseppe Setola). Secondo la Dda, quei soldi sono il corrispettivo dell’ingresso dell’azienda degli Orsi in un consorzio pubblico-privato coi Comuni di Orta d’Atella e Gricignano D’Aversa, col quale accaparrarsi una serie di appalti. I bonifici avvengono nel 2006: Brancaccio è consigliere regionale, sostiene Antonio Bassolino, incontra il politico dei Ds simbolo della lotta anticamorra Lorenzo Diana. Anni in cui gli Orsi, ritenuti vicini a Forza Italia, si iscrivono alla Quercia. Non a Casal di Principe, dove abitano. Ma alla sezione di Orta d’Atella. La Dda ha inoltre aperto un fascicolo sulla metanizzazione dei Comuni dell’agro-aversano. È indagato per concorso esterno in associazione camorristica Roberto Casari, per quasi 40 anni presidente della Gpl-Concordia, colosso delle cooperative rosse di Modena.
Piemonte. Gettonopoli e le eterne firme false
Che coppia. Lui, ex consigliere regionale, a processo per peculato e finanziamento illecito ai partiti, lei indagata per concorso in truffa aggravata. Sono Andrea Stara del Pd, già eletto con la lista “Insieme per Bresso”, e la deputata Paola Bragantini, ex presidente della Circoscrizione 5 del Comune di Torino ed ex segretaria provinciale del partito. Sono due dei democratici illustri del Piemonte incappati nelle maglie della giustizia. Lui avrebbe ottenuto rimborsi non dovuti, tra cui quello per un tosaerba. Non è tutto: venerdì scorso, durante il processo, la contabile del gruppo ha detto ai giudici che Stara ha chiesto anche di rimborsare una multa della sua compagna. Lei, invece, è finita in mezzo a un altro scandalo di rimborsi, quello delle mini-giunte fantasma: riunioni fatte solo sulla carta per ottenere i gettoni di presenza. Insieme a lei ci sono altri nove indagati per truffa aggravata, tra cui l’attuale presidente della Circoscrizione Paolo Florio, il suo vice Giuseppe Agostino e altri tre componenti della mini-giunta. Florio e Agostino inoltre sono indagati per le firme false delle liste a sostegno di Sergio Chiamparino per le ultime Regionali: in questo caso che sta scuotendo il Pd torinese lui non è il solo indagato, ci sono il consigliere regionale Nadia Conticelli, tre ex consiglieri provinciali (Umberto Perna, Pasquale Valente e Davide Fazzone), più quattro componenti della segreteria provinciale (Gianni Ardissone, Carola Casagrande, Mara Milanesio e Cristina Rolando). Le elezioni hanno provocato molti problemi pure a Vercelli: per le Provinciali del 2009 saranno processati molti politici locali accusati di falso ideologico in atto pubblico, tra cui i democratici Maura Forte, sindaco di Vercelli, e il consigliere regionale Giovanni Corganti. Chi in questi mesi sta affrontando un processo, infine, è Alessandro Altamura, ex assessore al commercio ed ex segretario provinciale del Pd, accusato di abuso d’ufficio nello scandalo “Murazzi“.
Emilia Romagna. La monorotaia e i sex toys
A Bologna il 9 aprile si aprirà il dibattimento sull’appalto del People mover, la monorotaia che dovrebbe unire stazione e aeroporto. I lavori non sono ancora iniziati, ma fra poche settimane davanti al giudice andranno anche l’ex sindaco Pd Flavio Delbono e il suo assessore Villiam Rossi, accusati di abuso d’ufficio. Poi ci sono le “spese pazze” dei consiglieri regionali . Diciotto sono del Pd. Per molti potrebbe arrivare presto la richiesta di rinvio a giudizio: oltre a cene da centinaia di euro, anche scontrini per wc pubblici e persino per un sex toy. E intanto Carlo Lusenti, assessore regionale alla sanità con Vasco Errani, è imputato per falso in una vicenda legata ai fondi regionali destinati alle cliniche private. E non c’è solo Bologna. A Ravenna incombe il processo per truffa per la senatrice Josefa Idem. La vicenda è quella dei contributi Inps pagati dal Comune, che due anni fa la portò alle dimissioni da ministro. Sempre in Romagna, a Rimini, il sindaco Andrea Gnassi è indagato per il fallimento della società dell’aeroporto Fellini. Assieme a lui altri otto sono sotto inchiesta per il reato di associazione a delinquere. Infine l’inchiesta di Firenze che ha visto protagonista Ercole Incalza, vede tra gli indagati anche l’ex assessore regionale alle Infrastrutture Alfredo Peri e l’ex consigliere Miro Fiammenghi. L’accusa è tentata induzione a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità nell’ambito della costruzione dell’Autostrada Cispadana.
Bolzano. Il sindaco tira dritto. L’abuso d’ufficio non basta
All’orizzonte il probabile rinvio a giudizio con l’accusa non da poco di abuso d’ufficio. E nonostante questo a Bolzano il sindaco Luigi Spagnolli tira dritto e punta alla ricandidatura. Alle urne si va il 10 maggio. Mentre i suoi legali hanno chiesto al tribunale una proroga di due mesi e mezzo per leggere le carte dell’inchiesta. Il tempo, dunque, non manca anche per superare un eventuale ballottaggio. Spagnolli tira dritto con il via libera della segreteria regionale e di quella nazionale. Sul tavolo della procura l’affare del raddoppio del centro commerciale Twenty. Sotto accusa, oltre a Spagnolli, anche un noto imprenditore trentino. Per lui il reato è quello di abuso edilizio. Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri il sindaco Spagnolli si è attivato per il via libera al raddoppio del centro commerciale dopo l’ok già dato dalla Provincia. Di più: il gruppo dell’imprenditore Giovanni Podini (indagato) s’interfaccia direttamente con il sindaco senza seguire l’iter tradizionale dell’ufficio tecnico. Non solo. Secondo la ricostruzione dell’accusa, sottopone a Spagnolli il parere legale di un docente universitario. L’impresa, poi, inizierà i lavori ancora prima del via libera. E lo farà realizzando i piloni portanti del centro commerciale in maniera differente dalla concessione, poiché già
rinforzati abusivamente per l’aumento di cubatura prima del rilascio della concessione inerente al raddoppio. Fin dall’inizio dell’inchiesta Spagnolli si è sempre difeso. “Sono state dette una serie di cose non vere da parte di tante persone. Sono state fatte affermazioni pesanti. Non c’è alcun tipo di volontà di favorire chicchessia”. La procura ha chiesto il rinvio a giudizio.
Lombardia. Il “Sistema Sesto” non finisce mai
Giovanissimo vestì la casacca di assessore di Rozzano, hinterland a sud di Milano. Da quel momento in poi la carriera politica di Massimo D’Avolio tracimò in successi continui. Alle spalle la tutela potente di Filippo Penati che da lì a poco, è il 2004, incassa la poltrona di presidente della Provincia. Nello stesso anno D’Avolio diventa sindaco di Rozzano, mandato rinnovato fino al 2013. Dai Ds al Pd. In quell’anno , D’Avolio, perso per strada il suo nume a causa di inchiesta giudiziaria (vedi il cosiddetto Sistema Sesto), fa il grande salto ed entra in Regione. Consigliere del Pd eletto con oltre 7 mila preferenze. Poco meno di due anni con un incarico nella commissione regionale antimafia, e anche l’ex sindaco inciampa in qualche guaio. Attualmente, infatti, risulta indagato dalla Procura di Milano per abuso d’ufficio. I fatti, contestati risalgono al periodo in cui D’Avolio era sindaco di Rozzano. Secondo l’accusa, coordinata dal dipartimento del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, D’Avolio attraverso alcune delibere, avrebbe autorizzato il pagamento della partecipata Ama ad alcune società della moglie. Con l’ex primo cittadino è indagato anche l’attuale capogruppo Pd nel Consiglio comunale di Segrate, l’ingegnere Vito Ancora. Anche per lui l’accusa è abuso d’ufficio. Infine, risulta coinvolto un dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Rozzano per un presunto danno erariale legato alla compravendita di un’area industriale. L’inchiesta, ancora in fase embrionale, ha già gettato nel panico buona parte del Pd milanese che intravede il rischio di un nuovo sistema Sesto.
Sicilia. Il sottosegretario Faraone deve giustificare 3.300 euro
C’è il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone a guidare la pattuglia di deputati regionali in Sicilia indagati per le spese pazze dell’Assemblea regionale. Gli viene contestata la cifra di 3300 euro e con lui hanno ricevuto un avviso di garanzia per peculato dalla Guardia di finanza altri 18 deputati regionali del Pd: Giovanni Barbagallo (11.569,44 euro), Mario Bonomo (4.918 euro), Roberto De Benedictis (per 4.653 euro), Giacomo Di Benedetto (per 27.425 euro), Giuseppe Digiacomo (per 6.727 euro), Michele Donato Donegani (10mila euro), Michele Galvagno (5.681 euro di cui 1.248), Baldassare Guacciardi (1.365 euro), Giuseppe Laccoto (3.492 euro), Giuseppe Lupo (39.337 euro), Vincenzo Marinello (3.900 euro), Bruno Marziano (12.813 euro), Bernardo Mattarella (6.224 euro), Camillo Oddo (2.500 euro), Filippo Panarello (16.026 euro), Giovanni Panepinto (2.600 euro), Antonello Cracolici e Francesco Rinaldi (45.300 euro). Quest’ultimo è stato rinviato a giudizio quattro mesi fa insieme al cognato Fracantonio Genovese (deputato Pd arrestato dopo l’autorizzazione della Camera) per lo scandalo messinese della formazione professionale ed entrambi devono rispondere di associazione per delinquere finalizzata al peculato: sono accusati di avere costituito una rete di gestione familiare della Formazione, trasformandola in un lucroso business. Infine ad Alcamo il deputato nazionale Nino Papania è accusato di avere imposto assunzioni alla società di smaltimento rifiuti Aimeri procurandole “il benestare degli organi di governo ambientale sugli appalti e sull’irregolare svolgimento del servizio”. Contro Papania, accusato in un’altra inchiesta di voto di scambio, si sono costituiti parte civile un centinaio di cittadini di Alcamo.
di Giampiero Calapà, Andrea Giambartolomei, Vincenzo Iurillo, Giuseppe Lo Bianco, Davide Milosa, Ferruccio Sansa e David Marceddu
“Bisogna smettere di rubare”. Sono le parole usate dal presidente del Consiglio per presentare la candidatura dell’Italia alle Olimpiadi del 2024. Le stesse usate sempre da Renzi dopo lo scandalo Mose che ha travolto il sindaco Orsoni. I fatti, per una volta danno ragione al premier. Non il suo partito, che annovera nel suo Pantheon il padre della questione morale Enrico Berlinguer e nelle sue liste una lunga sequenza di indagati. Ecco l’elenco, necessariamente incompleto, delle inchieste in corso. Il Partito democratico di epoca renziana è come non mai al centro di vicende giudiziarie da nord a sud, isole minori comprese (dopo il caso Ischia). Lo scandalo più grosso è sicuramente quello di Mafia Capitale, per cui in Campidoglio risultano indagati nell’inchiesta “Mondo di mezzo” Mirko Coratti e Daniele Ozzimo (il primo dimessosi da presidente dell’Assemblea capitolina a inizio dicembre, entrambi autosospesi dal partito). Il vicesegretario nazionale, Lorenzo Guerini, pochi giorni prima della retata del 2 dicembre, cercò di convincere, senza riuscirci, Ignazio Marino a nominare proprio Coratti vicesindaco. Si è autosospeso anche il consigliere regionale Eugenio Patanè. In Regione Maurizio Venafro, coinvolto nell’inchiesta, ha lasciato l’incarico di capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti. Vicecapo di gabinetto della giunta Veltroni, in seguito capo della polizia provinciale, era Luca Odevaine, agli arresti, accusato di corruzione, sempre nell’inchiesta “Mondo di mezzo“.
Liguria. La centrale a carbone di Vado, Burlando e gli scontrini salati
Le spese pazze e il disastro ambientale della centrale a carbone di Vado. Sono le due prime preoccupazioni del Pd ligure, in una regione che ultimamente è stata flagellata dagli scandali. L’indagato più noto è senz’altro il governatore Claudio Burlando, finito nel registro della Procura di Savona con l’accusa di concorso in disastro ambientale doloso. Sono indagati anche gli assessori alla Sanità Claudio Montaldo, alle Attività produttive Renzo Guccinelli e Renata Briano (ex assessore all’Ambiente, oggi eurodeputata). Al centro dell’inchiesta l’inquinamento provocato dalla centrale Tirreno Power che secondo i periti dell’accusa con i suoi fumi avrebbe causato almeno 400 morti. E sono indagati anche i sindaci di Vado, Attilio Caviglia e Monica Giuliano, e di Quiliano, Alberto Ferrando. C’è poi l’inchiesta sulle spese pazze, che in Liguria ha toccato quasi metà del Consiglio regionale: in carcere due vicepresidenti della giunta di centrosinistra. Tra gli indagati del Pd risultano il capogruppo in Regione, Nino Miceli e il tesoriere del gruppo Mario Amelotti.
Ma la lista si allarga, se si considerano anche i partiti che fanno parte della coalizione trasversale che ha governato la Regione negli ultimi anni. Non fa “tecnicamente” parte del centrosinistra, ma Alessio Sa-so è un sostenitore dichiarato di Raffaella Paita (candidata Pd a governatore). Saso è indagato per voto di scambio in un’inchiesta sulla criminalità organizzata nel Ponente Ligure.
Campania. Il re di Salerno De Luca e il caso di Orta d’Atella
L’inchiesta che forse meglio di ogni altra in Campania avvolge gli interessi della politica e dell’imprenditoria “rossa” in un giro di (presunte) tangenti è la vicenda Sea Park: tra gli imputati per associazione a delinquere finalizzata a reati contro la Pubblica amministrazione c’è anche l’ex sindaco e candidato Pd a governatore della Campania, legge Severino permettendo, Vincenzo De Luca. È la fallita riconversione dell’Ideal Standard in parco acquatico con l’apporto dei capitali di un consorzio di imprese emiliane, la Cecam. All’indirizzo Cecam c’era solo una cassetta postale e il suo rappresentante si presentava alle riunioni con le scarpe risuolate. Eppure erano i tramiti di un giro di miliardi delle vecchie lire per far svendere i suoli dell’Ideal Standard agli emiliani e far realizzare il Sea Park in un terreno di proprietà dell’imprenditore Vincenzo Maria Greco. C’erano le intercettazioni, furono distrutte perché De Luca godeva delle guarentigie parlamentari. I reati ormai sono prescritti, ma De Luca ha rinunciato alla prescrizione e il 14 aprile farà dichiarazioni spontanee. Fresca fresca invece è l’accusa di corruzione aggravata dal metodo camorristico con cui è finito in carcere il sindaco sospeso di Orta d’Atella (Caserta) ed ex consigliere regionale Ds Angelo Brancaccio. La Dda di Napoli e la polizia hanno trovato le tracce di 330 mila euro versati su un conto svizzero di Brancaccio da Sergio Orsi, imprenditore dei rifiuti e riferimento del clan dei Casalesi (il fratello Michele fu ucciso nel 2006 su ordine di Giuseppe Setola). Secondo la Dda, quei soldi sono il corrispettivo dell’ingresso dell’azienda degli Orsi in un consorzio pubblico-privato coi Comuni di Orta d’Atella e Gricignano D’Aversa, col quale accaparrarsi una serie di appalti. I bonifici avvengono nel 2006: Brancaccio è consigliere regionale, sostiene Antonio Bassolino, incontra il politico dei Ds simbolo della lotta anticamorra Lorenzo Diana. Anni in cui gli Orsi, ritenuti vicini a Forza Italia, si iscrivono alla Quercia. Non a Casal di Principe, dove abitano. Ma alla sezione di Orta d’Atella. La Dda ha inoltre aperto un fascicolo sulla metanizzazione dei Comuni dell’agro-aversano. È indagato per concorso esterno in associazione camorristica Roberto Casari, per quasi 40 anni presidente della Gpl-Concordia, colosso delle cooperative rosse di Modena.
Piemonte. Gettonopoli e le eterne firme false
Che coppia. Lui, ex consigliere regionale, a processo per peculato e finanziamento illecito ai partiti, lei indagata per concorso in truffa aggravata. Sono Andrea Stara del Pd, già eletto con la lista “Insieme per Bresso”, e la deputata Paola Bragantini, ex presidente della Circoscrizione 5 del Comune di Torino ed ex segretaria provinciale del partito. Sono due dei democratici illustri del Piemonte incappati nelle maglie della giustizia. Lui avrebbe ottenuto rimborsi non dovuti, tra cui quello per un tosaerba. Non è tutto: venerdì scorso, durante il processo, la contabile del gruppo ha detto ai giudici che Stara ha chiesto anche di rimborsare una multa della sua compagna. Lei, invece, è finita in mezzo a un altro scandalo di rimborsi, quello delle mini-giunte fantasma: riunioni fatte solo sulla carta per ottenere i gettoni di presenza. Insieme a lei ci sono altri nove indagati per truffa aggravata, tra cui l’attuale presidente della Circoscrizione Paolo Florio, il suo vice Giuseppe Agostino e altri tre componenti della mini-giunta. Florio e Agostino inoltre sono indagati per le firme false delle liste a sostegno di Sergio Chiamparino per le ultime Regionali: in questo caso che sta scuotendo il Pd torinese lui non è il solo indagato, ci sono il consigliere regionale Nadia Conticelli, tre ex consiglieri provinciali (Umberto Perna, Pasquale Valente e Davide Fazzone), più quattro componenti della segreteria provinciale (Gianni Ardissone, Carola Casagrande, Mara Milanesio e Cristina Rolando). Le elezioni hanno provocato molti problemi pure a Vercelli: per le Provinciali del 2009 saranno processati molti politici locali accusati di falso ideologico in atto pubblico, tra cui i democratici Maura Forte, sindaco di Vercelli, e il consigliere regionale Giovanni Corganti. Chi in questi mesi sta affrontando un processo, infine, è Alessandro Altamura, ex assessore al commercio ed ex segretario provinciale del Pd, accusato di abuso d’ufficio nello scandalo “Murazzi“.
Emilia Romagna. La monorotaia e i sex toys
A Bologna il 9 aprile si aprirà il dibattimento sull’appalto del People mover, la monorotaia che dovrebbe unire stazione e aeroporto. I lavori non sono ancora iniziati, ma fra poche settimane davanti al giudice andranno anche l’ex sindaco Pd Flavio Delbono e il suo assessore Villiam Rossi, accusati di abuso d’ufficio. Poi ci sono le “spese pazze” dei consiglieri regionali . Diciotto sono del Pd. Per molti potrebbe arrivare presto la richiesta di rinvio a giudizio: oltre a cene da centinaia di euro, anche scontrini per wc pubblici e persino per un sex toy. E intanto Carlo Lusenti, assessore regionale alla sanità con Vasco Errani, è imputato per falso in una vicenda legata ai fondi regionali destinati alle cliniche private. E non c’è solo Bologna. A Ravenna incombe il processo per truffa per la senatrice Josefa Idem. La vicenda è quella dei contributi Inps pagati dal Comune, che due anni fa la portò alle dimissioni da ministro. Sempre in Romagna, a Rimini, il sindaco Andrea Gnassi è indagato per il fallimento della società dell’aeroporto Fellini. Assieme a lui altri otto sono sotto inchiesta per il reato di associazione a delinquere. Infine l’inchiesta di Firenze che ha visto protagonista Ercole Incalza, vede tra gli indagati anche l’ex assessore regionale alle Infrastrutture Alfredo Peri e l’ex consigliere Miro Fiammenghi. L’accusa è tentata induzione a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità nell’ambito della costruzione dell’Autostrada Cispadana.
Bolzano. Il sindaco tira dritto. L’abuso d’ufficio non basta
All’orizzonte il probabile rinvio a giudizio con l’accusa non da poco di abuso d’ufficio. E nonostante questo a Bolzano il sindaco Luigi Spagnolli tira dritto e punta alla ricandidatura. Alle urne si va il 10 maggio. Mentre i suoi legali hanno chiesto al tribunale una proroga di due mesi e mezzo per leggere le carte dell’inchiesta. Il tempo, dunque, non manca anche per superare un eventuale ballottaggio. Spagnolli tira dritto con il via libera della segreteria regionale e di quella nazionale. Sul tavolo della procura l’affare del raddoppio del centro commerciale Twenty. Sotto accusa, oltre a Spagnolli, anche un noto imprenditore trentino. Per lui il reato è quello di abuso edilizio. Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri il sindaco Spagnolli si è attivato per il via libera al raddoppio del centro commerciale dopo l’ok già dato dalla Provincia. Di più: il gruppo dell’imprenditore Giovanni Podini (indagato) s’interfaccia direttamente con il sindaco senza seguire l’iter tradizionale dell’ufficio tecnico. Non solo. Secondo la ricostruzione dell’accusa, sottopone a Spagnolli il parere legale di un docente universitario. L’impresa, poi, inizierà i lavori ancora prima del via libera. E lo farà realizzando i piloni portanti del centro commerciale in maniera differente dalla concessione, poiché già
rinforzati abusivamente per l’aumento di cubatura prima del rilascio della concessione inerente al raddoppio. Fin dall’inizio dell’inchiesta Spagnolli si è sempre difeso. “Sono state dette una serie di cose non vere da parte di tante persone. Sono state fatte affermazioni pesanti. Non c’è alcun tipo di volontà di favorire chicchessia”. La procura ha chiesto il rinvio a giudizio.
Lombardia. Il “Sistema Sesto” non finisce mai
Giovanissimo vestì la casacca di assessore di Rozzano, hinterland a sud di Milano. Da quel momento in poi la carriera politica di Massimo D’Avolio tracimò in successi continui. Alle spalle la tutela potente di Filippo Penati che da lì a poco, è il 2004, incassa la poltrona di presidente della Provincia. Nello stesso anno D’Avolio diventa sindaco di Rozzano, mandato rinnovato fino al 2013. Dai Ds al Pd. In quell’anno , D’Avolio, perso per strada il suo nume a causa di inchiesta giudiziaria (vedi il cosiddetto Sistema Sesto), fa il grande salto ed entra in Regione. Consigliere del Pd eletto con oltre 7 mila preferenze. Poco meno di due anni con un incarico nella commissione regionale antimafia, e anche l’ex sindaco inciampa in qualche guaio. Attualmente, infatti, risulta indagato dalla Procura di Milano per abuso d’ufficio. I fatti, contestati risalgono al periodo in cui D’Avolio era sindaco di Rozzano. Secondo l’accusa, coordinata dal dipartimento del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, D’Avolio attraverso alcune delibere, avrebbe autorizzato il pagamento della partecipata Ama ad alcune società della moglie. Con l’ex primo cittadino è indagato anche l’attuale capogruppo Pd nel Consiglio comunale di Segrate, l’ingegnere Vito Ancora. Anche per lui l’accusa è abuso d’ufficio. Infine, risulta coinvolto un dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Rozzano per un presunto danno erariale legato alla compravendita di un’area industriale. L’inchiesta, ancora in fase embrionale, ha già gettato nel panico buona parte del Pd milanese che intravede il rischio di un nuovo sistema Sesto.
Sicilia. Il sottosegretario Faraone deve giustificare 3.300 euro
C’è il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone a guidare la pattuglia di deputati regionali in Sicilia indagati per le spese pazze dell’Assemblea regionale. Gli viene contestata la cifra di 3300 euro e con lui hanno ricevuto un avviso di garanzia per peculato dalla Guardia di finanza altri 18 deputati regionali del Pd: Giovanni Barbagallo (11.569,44 euro), Mario Bonomo (4.918 euro), Roberto De Benedictis (per 4.653 euro), Giacomo Di Benedetto (per 27.425 euro), Giuseppe Digiacomo (per 6.727 euro), Michele Donato Donegani (10mila euro), Michele Galvagno (5.681 euro di cui 1.248), Baldassare Guacciardi (1.365 euro), Giuseppe Laccoto (3.492 euro), Giuseppe Lupo (39.337 euro), Vincenzo Marinello (3.900 euro), Bruno Marziano (12.813 euro), Bernardo Mattarella (6.224 euro), Camillo Oddo (2.500 euro), Filippo Panarello (16.026 euro), Giovanni Panepinto (2.600 euro), Antonello Cracolici e Francesco Rinaldi (45.300 euro). Quest’ultimo è stato rinviato a giudizio quattro mesi fa insieme al cognato Fracantonio Genovese (deputato Pd arrestato dopo l’autorizzazione della Camera) per lo scandalo messinese della formazione professionale ed entrambi devono rispondere di associazione per delinquere finalizzata al peculato: sono accusati di avere costituito una rete di gestione familiare della Formazione, trasformandola in un lucroso business. Infine ad Alcamo il deputato nazionale Nino Papania è accusato di avere imposto assunzioni alla società di smaltimento rifiuti Aimeri procurandole “il benestare degli organi di governo ambientale sugli appalti e sull’irregolare svolgimento del servizio”. Contro Papania, accusato in un’altra inchiesta di voto di scambio, si sono costituiti parte civile un centinaio di cittadini di Alcamo.
di Giampiero Calapà, Andrea Giambartolomei, Vincenzo Iurillo, Giuseppe Lo Bianco, Davide Milosa, Ferruccio Sansa e David Marceddu
martedì 31 marzo 2015
La legge di stabilità e la disoccupazione secondo Fonzarelli
La disoccupazione sale: si infrange il sogno di Renzi. Dopo il forte calo registrato a dicembre, seguito da un’ulteriore diminuzione a gennaio, a febbraio il tasso di disoccupazione torna a salire. Il governo aveva cantato vittoria troppo presto di Sergio Rame
Da imprese e consumatori è arrivato, giusto ieri, un nuovo slancio di ottimismo con gli indici della fiducia che toccano a marzo i massimi da luglio 2008, per le aziende, e da maggio 2002, per le famiglie, negli ultimi dati Istat. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha subito soffiato sul fuoco della fiducia prevedendo che gli 1,9 miliardi stanziati per gli sgravi nelle assunzioni potrebbero portare fino a un milione di posti di lavoro. È un "numerone", riconosce il ministro: "Spero, mi auguro, che questo dato si produca: i primi sintomi ci sono già".
Il dato sulla fiducia delle imprese in particolare è "positivo", secondo Poletti, perché "è la conferma di un trend che da un po' di mesi si è attivato". I sogni di gloria del ministro, purtroppo, si sono infranti contro il muro dei dati sulla disoccupazione pubblicati oggi dall'Istat. Dopo il forte calo registrato a dicembre, seguito da un’ulteriore diminuzione a gennaio, a febbraio il tasso di disoccupazione sale di 0,1 punti percentuali, tornando al 12,7%, lo stesso livello di dicembre e di 0,2 punti più elevato rispetto a febbraio 2014. "Nei dodici mesi il numero di disoccupati è cresciuto del 2,1% - fa notare l'istituto di statistica - in valore assoluto i disoccupati a febbraio sono 3,24 milioni". Non solo. Dopo la crescita del mese di dicembre e la sostanziale stabilità di gennaio, a febbraio sono pure diminuiti gli occupati. Che scendono dello 0,2%. Sono state bruciate ben 44mila unità. "Il tasso di occupazione, pari al 55,7%, cala nell’ultimo mese di 0,1 punti percentuali - continua l'Istat - rispetto a febbraio 2014, l’occupazione è cresciuta dello 0,4% (+93 mila) e il tasso di disoccupazione di 0,2 punti".
Da imprese e consumatori è arrivato, giusto ieri, un nuovo slancio di ottimismo con gli indici della fiducia che toccano a marzo i massimi da luglio 2008, per le aziende, e da maggio 2002, per le famiglie, negli ultimi dati Istat. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha subito soffiato sul fuoco della fiducia prevedendo che gli 1,9 miliardi stanziati per gli sgravi nelle assunzioni potrebbero portare fino a un milione di posti di lavoro. È un "numerone", riconosce il ministro: "Spero, mi auguro, che questo dato si produca: i primi sintomi ci sono già".
Il dato sulla fiducia delle imprese in particolare è "positivo", secondo Poletti, perché "è la conferma di un trend che da un po' di mesi si è attivato". I sogni di gloria del ministro, purtroppo, si sono infranti contro il muro dei dati sulla disoccupazione pubblicati oggi dall'Istat. Dopo il forte calo registrato a dicembre, seguito da un’ulteriore diminuzione a gennaio, a febbraio il tasso di disoccupazione sale di 0,1 punti percentuali, tornando al 12,7%, lo stesso livello di dicembre e di 0,2 punti più elevato rispetto a febbraio 2014. "Nei dodici mesi il numero di disoccupati è cresciuto del 2,1% - fa notare l'istituto di statistica - in valore assoluto i disoccupati a febbraio sono 3,24 milioni". Non solo. Dopo la crescita del mese di dicembre e la sostanziale stabilità di gennaio, a febbraio sono pure diminuiti gli occupati. Che scendono dello 0,2%. Sono state bruciate ben 44mila unità. "Il tasso di occupazione, pari al 55,7%, cala nell’ultimo mese di 0,1 punti percentuali - continua l'Istat - rispetto a febbraio 2014, l’occupazione è cresciuta dello 0,4% (+93 mila) e il tasso di disoccupazione di 0,2 punti".
Il 30 gennaio Matteo Renzi twittava: "Centomila posti di lavoro in più in un mese. Bene. Ma siamo solo all'inizio. Riporteremo l'Italia a crescere". Il 2 marzo, poi, rincarava la dose: "Più 130 Mila posti di lavoro nel 2014, bene ma non basta". I pessimi dati dell'Istat arrivano proprio nel giorno in cui la Germania registra un calo della disoccupazione. A marzo il tasso di disoccupazione è sceso al 6,4% rispetto al 6,5% della passata rilevazione e delle attese del mercato. Il numero dei senza lavoro è diminuito di 15mila unità. Sono invece 42,5 milioni gli occupati. Forse, Renzi e il suo governo avevano cantato vittoria troppo presto. Adesso, però, non regge nemmeno più la scusa per cui il Jobs act deve essere ancora approvato.
La banda degli onesti
Pd, tanti scandali e sette arresti in un solo anno. Dall'Expo a Mafia Capitale, da Nord a Sud: tutti i guai giudiziari dei democratici che fanno tremare Renzi di Francesco Curridori
Il sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino, è solo l’ultimo della lista. I politici del Pd arrestati nell’ultimo anno sono finora sette. Tra i più noti l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni che, dopo l’arresto, si è visto respingere dal gip la richiesta di patteggiamento a quattro mesi di carcere e 15 mila euro di multa per illecito finanziario nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Vicenda per la quale risultano, finora soltanto indagati, anche i deputati Davide Zoggia e Michele Mognato. Si trova in carcere, invece, un altro deputato dem, Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina, arrestato nel marzo dello scorso anno con l’accusa di riciclaggio e truffa ai danni della regione siciliana.
Un altro arresto eccellente è stato quello del compagno Primo Greganti che, pur essendo finito in carcere nel ’93 per l’inchiesta di Tangentopoli, non ha resistito a mettere le mani sull’Expo ed è tornato dentro con l’accusa di turbativa d’asta e corruzione. Il Pd, come da prassi, ha successivamente espulso l’illustre tesserato. Meno noti sono i casi di Domenico Madaferri, sindaco di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria, arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e dell’ex consigliere comunale di Rho, Luigi Calogero Addisi, finito in manette perché legato alla cosca Galati. Addisi è il padrino della figlia di Ernesto Palermo, ex consigliere comunale di Lecco, arrestato nell’ambito delle inchiesta sull’infiltrazione dell’ ‘ndrangheta nel Nord. Numerosi sono, poi, i parlamentari democratici indagati per le “spese pazze” nei consigli regionali, e non poco scompiglio ha portato l’inchiesta di Mafia Capitale dentro il Pd romano che attualmente è commissariato.
Il sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino, è solo l’ultimo della lista. I politici del Pd arrestati nell’ultimo anno sono finora sette. Tra i più noti l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni che, dopo l’arresto, si è visto respingere dal gip la richiesta di patteggiamento a quattro mesi di carcere e 15 mila euro di multa per illecito finanziario nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Vicenda per la quale risultano, finora soltanto indagati, anche i deputati Davide Zoggia e Michele Mognato. Si trova in carcere, invece, un altro deputato dem, Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina, arrestato nel marzo dello scorso anno con l’accusa di riciclaggio e truffa ai danni della regione siciliana.
Un altro arresto eccellente è stato quello del compagno Primo Greganti che, pur essendo finito in carcere nel ’93 per l’inchiesta di Tangentopoli, non ha resistito a mettere le mani sull’Expo ed è tornato dentro con l’accusa di turbativa d’asta e corruzione. Il Pd, come da prassi, ha successivamente espulso l’illustre tesserato. Meno noti sono i casi di Domenico Madaferri, sindaco di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria, arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e dell’ex consigliere comunale di Rho, Luigi Calogero Addisi, finito in manette perché legato alla cosca Galati. Addisi è il padrino della figlia di Ernesto Palermo, ex consigliere comunale di Lecco, arrestato nell’ambito delle inchiesta sull’infiltrazione dell’ ‘ndrangheta nel Nord. Numerosi sono, poi, i parlamentari democratici indagati per le “spese pazze” nei consigli regionali, e non poco scompiglio ha portato l’inchiesta di Mafia Capitale dentro il Pd romano che attualmente è commissariato.
giovedì 26 marzo 2015
Con la scusa del terrorismo...
Dl terrorismo, accessi polizia a pc da remoto. Viaggi ‘pericolosi’ a proprio rischio. Secondo quanto previsto dal testo in discussione alla Camera, inoltre, i provider saranno obbligati a oscurare i contenuti illeciti e di propaganda. Introdotta anche la norma per scoraggiare trasferte all'estero in aree a rischio, informalmente chiamata "anti Greta e Vanessa". Quintarelli (Scelta civica): "Italia primo paese che autorizza l'uso di captatori occulti da parte dello Stato" di F. Q.
Sì all’utilizzo da parte della polizia di programmi per acquisire “da remoto” le comunicazioni e i dati presenti in un sistema informatico. E via libera anche all’intercettazione preventiva sulle reti informatiche. Sono due dei punti contenuti del decreto antiterrorismo, che stato discusso alla Camera. Tuttavia manca ancora il parere del governo affinché la commissione Bilancio possa dare l’ok al decreto. La presidente di turno, Marina Sereni, ha aggiornato quindi la seduta alle 9 di giovedì 26 marzo. Secondo quanto previsto dal testo, il pm potrà conservare i dati di traffico fino a 24 mesi e i provider su Internet saranno obbligati a oscurare i contenuti illeciti pubblicati dagli utenti e legati ai reati di terrorismo. L’uso del Web e di strumenti informatici per perpetrarli (arruolamento di foreign fighters, propaganda, ecc) diventa un’aggravante che comporta l’obbligo di arresto in flagranza.
All’estero a proprio rischio - Una norma inserita dalle commissioni Difesa e Giustizia prevede inoltre che chi intraprende viaggi all’estero in zone pericolose o li organizza avrà “l’esclusiva responsabilità individuale” sulle conseguenze. Un emendamento che intende scoraggiare i viaggi all’estero in aree a rischio, e per questo informalmente chiamata norma “anti Greta e Vanessa“. Secondo quanto riportato da Repubblica, infatti, Vanessa Marzullo in un’intervista avrebbe dichiarato di volere tornare in Siria, dove è stata rapita e liberata dopo 5 mesi. L’emendamento, voluto dal relatore Andrea Manciulli (Pd), stabilisce che il Ministero degli affari esteri “rende pubblici, attraverso il proprio sito web istituzionale, le condizioni e gli eventuali rischi per l’incolumità dei cittadini italiani che intraprendono viaggi in Paesi stranieri”. La Farnesina “indica altresì, anche tramite il proprio sito web istituzionale, comportamenti rivolti ragionevolmente a ridurre i rischi, inclusa la raccomandazione di non effettuare viaggi in determinate aree”. “Resta fermo – afferma quindi la norma – che le conseguenze dei viaggi all’estero ricadono nell’esclusiva responsabilità individuale di chi assume la decisione di intraprendere o di organizzare i viaggi stessi”.
Quintarelli (Scelta Civica): “Bisogna intervenire o si violerà da remoto in modo occulto il domicilio informatico dei cittadini” – Il deputato di Scelta civica, Stefano Quintarelli, esperto di internet, è però molto critico sulle norme del dl che riguardano le comunicazioni online. “L’Italia diventa il primo Paese europeo che rende esplicitamente ed in via generalizzata legale e autorizzato la ‘remote computer searches’ – scrive sul suo blog – e l’utilizzo di captatori occulti da parte dello Stato”. L’emendamento approvato a cui si riferisce il parlamentare modifica il codice di procedura penale, intervenendo sull’articolo 266-bis, comma 1 inserendo dopo “è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi”, le parole: “Anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico”. Con l’emendamento, è la tesi del deputato, l’Italia autorizza l’utilizzo di malware per effetturare intercettazioni/spionaggio sugli utenti. “Il fatto grave è che questo non lo fa in relazione a specifici reati di matrice terroristica (come fa pensare il provvedimento), ma per tutti i reati ‘commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche'”, scrive Quintarelli.
“Se non interveniamo – prosegue il deputato – da domani per qualsiasi reato commesso a mezzo del computer – dalla diffamazione alla violazione del copyright o ai reati di opinione o all’ingiuria – sarà consentito violare da remoto in modo occulto il domicilio informatico dei cittadini”, si legge ancora. “Ritengo vi sia la contestuale violazione dei diritti costituzionali previsti dall’art. 13 (sull’inviolabilità della libertà personale) all’art. 15 (sull’inviolabilità della libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione) della Costituzione, senza le adeguate garanzie da questa previste. Una norma generalizzata che consente l’uso di tali captatori occulti – è la tesi di Quintarelli – non rispetta alcun criterio di proporzionalità se non è strettamente limitata a specifiche gravissime ipotesi di reato, tassativamente determinate ex lege, e con doppia riserva di giurisdizione”. “Non dico che i captatori siano sempre da vietare, ma il loro utilizzo deve esser regolato in modo se possibile ancora più stringente di quello delle intercettazioni: pena la violazione di principi costituzionali oggi più che mai fondamentali”, conclude il post.
Sì all’utilizzo da parte della polizia di programmi per acquisire “da remoto” le comunicazioni e i dati presenti in un sistema informatico. E via libera anche all’intercettazione preventiva sulle reti informatiche. Sono due dei punti contenuti del decreto antiterrorismo, che stato discusso alla Camera. Tuttavia manca ancora il parere del governo affinché la commissione Bilancio possa dare l’ok al decreto. La presidente di turno, Marina Sereni, ha aggiornato quindi la seduta alle 9 di giovedì 26 marzo. Secondo quanto previsto dal testo, il pm potrà conservare i dati di traffico fino a 24 mesi e i provider su Internet saranno obbligati a oscurare i contenuti illeciti pubblicati dagli utenti e legati ai reati di terrorismo. L’uso del Web e di strumenti informatici per perpetrarli (arruolamento di foreign fighters, propaganda, ecc) diventa un’aggravante che comporta l’obbligo di arresto in flagranza.
All’estero a proprio rischio - Una norma inserita dalle commissioni Difesa e Giustizia prevede inoltre che chi intraprende viaggi all’estero in zone pericolose o li organizza avrà “l’esclusiva responsabilità individuale” sulle conseguenze. Un emendamento che intende scoraggiare i viaggi all’estero in aree a rischio, e per questo informalmente chiamata norma “anti Greta e Vanessa“. Secondo quanto riportato da Repubblica, infatti, Vanessa Marzullo in un’intervista avrebbe dichiarato di volere tornare in Siria, dove è stata rapita e liberata dopo 5 mesi. L’emendamento, voluto dal relatore Andrea Manciulli (Pd), stabilisce che il Ministero degli affari esteri “rende pubblici, attraverso il proprio sito web istituzionale, le condizioni e gli eventuali rischi per l’incolumità dei cittadini italiani che intraprendono viaggi in Paesi stranieri”. La Farnesina “indica altresì, anche tramite il proprio sito web istituzionale, comportamenti rivolti ragionevolmente a ridurre i rischi, inclusa la raccomandazione di non effettuare viaggi in determinate aree”. “Resta fermo – afferma quindi la norma – che le conseguenze dei viaggi all’estero ricadono nell’esclusiva responsabilità individuale di chi assume la decisione di intraprendere o di organizzare i viaggi stessi”.
Quintarelli (Scelta Civica): “Bisogna intervenire o si violerà da remoto in modo occulto il domicilio informatico dei cittadini” – Il deputato di Scelta civica, Stefano Quintarelli, esperto di internet, è però molto critico sulle norme del dl che riguardano le comunicazioni online. “L’Italia diventa il primo Paese europeo che rende esplicitamente ed in via generalizzata legale e autorizzato la ‘remote computer searches’ – scrive sul suo blog – e l’utilizzo di captatori occulti da parte dello Stato”. L’emendamento approvato a cui si riferisce il parlamentare modifica il codice di procedura penale, intervenendo sull’articolo 266-bis, comma 1 inserendo dopo “è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi”, le parole: “Anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico”. Con l’emendamento, è la tesi del deputato, l’Italia autorizza l’utilizzo di malware per effetturare intercettazioni/spionaggio sugli utenti. “Il fatto grave è che questo non lo fa in relazione a specifici reati di matrice terroristica (come fa pensare il provvedimento), ma per tutti i reati ‘commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche'”, scrive Quintarelli.
“Se non interveniamo – prosegue il deputato – da domani per qualsiasi reato commesso a mezzo del computer – dalla diffamazione alla violazione del copyright o ai reati di opinione o all’ingiuria – sarà consentito violare da remoto in modo occulto il domicilio informatico dei cittadini”, si legge ancora. “Ritengo vi sia la contestuale violazione dei diritti costituzionali previsti dall’art. 13 (sull’inviolabilità della libertà personale) all’art. 15 (sull’inviolabilità della libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione) della Costituzione, senza le adeguate garanzie da questa previste. Una norma generalizzata che consente l’uso di tali captatori occulti – è la tesi di Quintarelli – non rispetta alcun criterio di proporzionalità se non è strettamente limitata a specifiche gravissime ipotesi di reato, tassativamente determinate ex lege, e con doppia riserva di giurisdizione”. “Non dico che i captatori siano sempre da vietare, ma il loro utilizzo deve esser regolato in modo se possibile ancora più stringente di quello delle intercettazioni: pena la violazione di principi costituzionali oggi più che mai fondamentali”, conclude il post.
martedì 17 marzo 2015
Fonzarelli eliminava i corrotti...
Tangenti, Lupi si difende: "Mio figlio? Mai chiesto nulla" Anm: "Carezze ai corrotti". Il ministro: "Dimettermi? E perché?". Magistrati all'attacco: "I magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati" di Chiara Sarra
"No, le dimissioni no. Anche se, per la prima volta, vedendo tirato in ballo ingiustamente mio figlio, mi sono chiesto se il gioco valga la candela". Maurizio Lupi non ha intenzione di fare un passo indietro dopo che il figlio è stato coinvolto nello scandalo tangenti per le Grandi opere. "Provo soprattutto l’amarezza di un padre nel vedere il proprio figlio sbattuto in prima pagina come un mostro senza alcuna colpa", ha detto il ministro per le Infrastrutture, aggiungendo che il rolex regalato da Stefano Perotti al figlio Luca era solo un dono per la laurea: "Se avessi chiesto a Perotti di far lavorare mio figlio o di sponsorizzarlo, sarebbe stato un gravissimo errore e presumo anche un reato. Non l’ho fatto. Stefano Perotti conosceva mio figlio da quando, con altri studenti del Politecnico, andava a visitare i suoi cantieri. Sono amici così come le nostre famiglie. Ma l’avesse regalato a me non l’avrei accettato", aggiunge Lupi che sull'intercettazione in cui aveva minacciato la crisi di governo dice: "Era una battaglia politica, non difendevo la persona, ma l’integrità del ministero. Si stava discutendo di legge di Stabilità e del futuro della nuova Struttura tecnica di missione. Al telefono con Incalza ho ripetuto quello che avevo detto nelle discussioni politiche, dicevo che era un errore togliere al ministero quella struttura, amputandolo di un braccio operativo. Qualora non ci fosse più stata fiducia nel ministro si faceva prima a cambiare ministro, non depotenziando il ministero". E sulle intercettazioni sul viceministro alle infrastrutture Riccardo Nencini aggiunge: "Questo è il limite delle intercettazioni, che non rendono il tono scherzoso delle conversazioni. Io allora conoscevo poco Nencini e Del Basso De Caro. Sapendo che erano socialisti come Incalza, lo prendevo in giro..."
"No, le dimissioni no. Anche se, per la prima volta, vedendo tirato in ballo ingiustamente mio figlio, mi sono chiesto se il gioco valga la candela". Maurizio Lupi non ha intenzione di fare un passo indietro dopo che il figlio è stato coinvolto nello scandalo tangenti per le Grandi opere. "Provo soprattutto l’amarezza di un padre nel vedere il proprio figlio sbattuto in prima pagina come un mostro senza alcuna colpa", ha detto il ministro per le Infrastrutture, aggiungendo che il rolex regalato da Stefano Perotti al figlio Luca era solo un dono per la laurea: "Se avessi chiesto a Perotti di far lavorare mio figlio o di sponsorizzarlo, sarebbe stato un gravissimo errore e presumo anche un reato. Non l’ho fatto. Stefano Perotti conosceva mio figlio da quando, con altri studenti del Politecnico, andava a visitare i suoi cantieri. Sono amici così come le nostre famiglie. Ma l’avesse regalato a me non l’avrei accettato", aggiunge Lupi che sull'intercettazione in cui aveva minacciato la crisi di governo dice: "Era una battaglia politica, non difendevo la persona, ma l’integrità del ministero. Si stava discutendo di legge di Stabilità e del futuro della nuova Struttura tecnica di missione. Al telefono con Incalza ho ripetuto quello che avevo detto nelle discussioni politiche, dicevo che era un errore togliere al ministero quella struttura, amputandolo di un braccio operativo. Qualora non ci fosse più stata fiducia nel ministro si faceva prima a cambiare ministro, non depotenziando il ministero". E sulle intercettazioni sul viceministro alle infrastrutture Riccardo Nencini aggiunge: "Questo è il limite delle intercettazioni, che non rendono il tono scherzoso delle conversazioni. Io allora conoscevo poco Nencini e Del Basso De Caro. Sapendo che erano socialisti come Incalza, lo prendevo in giro..."
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sabato 14 marzo 2015
Giusto per ribadire i crimini degli immigrati
Da Kabobo all'assassino di Terni: quando l'immigrato è il carnefice. La storia criminale che lega gli omicidi riconducibili agli stranieri ai danni di cittadini italiani è lunga: spesso gli assassini restano impuniti di Ignazio Stagno
L'omicidio di Terni e quel maledetto collo di bottiglia è solo l'ultimo episodio di una lunga scia di sangue che vede gli italiani tra le vittime e gli immigrati tra i carnefici. Negli ultimi tempi clandestini e immigrati hanno alzato il tiro sugli italiani. Pestaggi, stupri e rapine: un elenco di reati che con leggi severe sull'immigrazione magari si sarebbero potuti evitare. Qualche anno fa a Milano, un altro immigrato aveva sfogato le proprie frustrazioni su passanti inermi che si trovavano a passeggiare sotto casa. Adam Kabobo, cittadino ghanese da tempo residente in Italia, era impazzito e ha sfogato la sua rabbia sui passanti facendo tre vittime. La lista dei reati commessi da cittadini immigrati è lunga e spesso si tratta di delitti efferati. Come accaduto il mese scorso quando un romeno di 27 anni, ubriaco e a bordo di una grande automobile, ha quasi ucciso due donne, a Ceprano, nel Lazio. L’uomo è poi fuggito a piedi ma i carabinieri non hanno avuto difficoltà a rintracciare il pirata della strada. Successivamente i giudici hanno deciso di concedergli la libertà vigilata con l’obbligo di firma.
Un altro delitto, più cruento, risale all’ottobre del 2014, quando, a Catania, Gora Mbengue, ventisettenne originario del Senegal ha assassinato a coltellate l’ex fidanzata. A Capodanno del 2009, il tabaccaio 75enne Mario Girati viene ucciso con otto coltellate nel bar della figlia. Due tunisini sono stati condannati all’ergastolo e altri due a una pena di trent’anni. Il tabaccaio fu ucciso dopo una rapina finita male. Lo scorso gennaio, infine, un medico di 71 anni, Lucio Giacomoni, è stato ucciso a suon di calci e pugni nella sua abitazione di Mentana, in provincia di Roma. Per questo omicidio sono stati arrestati tre romeni. La banda ha confessato.
Infine il caso di Joseph White Clifford, 57 anni, di nazionalità indiana che, dopo avere confessato il suo omicidio, ha raccontato ai carabinieri di Roma la sua aggressione costata la vita ad un giovane romano la cui unica colpa era quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. "L’ho colpito con il ferro che uso per chiudere la porta, volevo solo stare in pace, mi aveva svegliato una musica infernale, ero fuori di me" ha raccontato l’immigrato ai carabinieri. Fin quando tutto ciò dovrà costare la vita agli italiani?
L'omicidio di Terni e quel maledetto collo di bottiglia è solo l'ultimo episodio di una lunga scia di sangue che vede gli italiani tra le vittime e gli immigrati tra i carnefici. Negli ultimi tempi clandestini e immigrati hanno alzato il tiro sugli italiani. Pestaggi, stupri e rapine: un elenco di reati che con leggi severe sull'immigrazione magari si sarebbero potuti evitare. Qualche anno fa a Milano, un altro immigrato aveva sfogato le proprie frustrazioni su passanti inermi che si trovavano a passeggiare sotto casa. Adam Kabobo, cittadino ghanese da tempo residente in Italia, era impazzito e ha sfogato la sua rabbia sui passanti facendo tre vittime. La lista dei reati commessi da cittadini immigrati è lunga e spesso si tratta di delitti efferati. Come accaduto il mese scorso quando un romeno di 27 anni, ubriaco e a bordo di una grande automobile, ha quasi ucciso due donne, a Ceprano, nel Lazio. L’uomo è poi fuggito a piedi ma i carabinieri non hanno avuto difficoltà a rintracciare il pirata della strada. Successivamente i giudici hanno deciso di concedergli la libertà vigilata con l’obbligo di firma.
Un altro delitto, più cruento, risale all’ottobre del 2014, quando, a Catania, Gora Mbengue, ventisettenne originario del Senegal ha assassinato a coltellate l’ex fidanzata. A Capodanno del 2009, il tabaccaio 75enne Mario Girati viene ucciso con otto coltellate nel bar della figlia. Due tunisini sono stati condannati all’ergastolo e altri due a una pena di trent’anni. Il tabaccaio fu ucciso dopo una rapina finita male. Lo scorso gennaio, infine, un medico di 71 anni, Lucio Giacomoni, è stato ucciso a suon di calci e pugni nella sua abitazione di Mentana, in provincia di Roma. Per questo omicidio sono stati arrestati tre romeni. La banda ha confessato.
Infine il caso di Joseph White Clifford, 57 anni, di nazionalità indiana che, dopo avere confessato il suo omicidio, ha raccontato ai carabinieri di Roma la sua aggressione costata la vita ad un giovane romano la cui unica colpa era quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. "L’ho colpito con il ferro che uso per chiudere la porta, volevo solo stare in pace, mi aveva svegliato una musica infernale, ero fuori di me" ha raccontato l’immigrato ai carabinieri. Fin quando tutto ciò dovrà costare la vita agli italiani?
venerdì 13 marzo 2015
Chi comanda il mondo
E' il titolo dell'ultima canzone di Povia ed è anche il titolo di un post di Nessie che parla proprio di quella canzone. E, direttamente dal facebook dell'autore, posto un paio di suoi links. Questo e anche questo.
giovedì 26 febbraio 2015
Non c'è limite al peggio. Kyenge, la ue e l'emergenza immigrati...
L'Ue affida alla Kyenge l'emergenza immigrati. Dovrà decidere le iniziative strategiche per risolvere l'emergenza nel Mediterraneo. Il Pd esulta (gli scafisti pure) di Andrea Indini
L'Europarlamento mette l'emergenza immigrazione nelle mani di Cecile Kyenge. Toccherrà all'ex ministro per l'Integrazione trovare una solizione a un problema che sta assumendo, soprattutto in Italia, proporzioni drammatiche. Insieme all'eurodeputata maltese Ppe Roberta Metsola, sarà la correlatrice del "rapporto di iniziativa strategico sulla situazione nel Mediterraneo e sulla necessità di un approccio globale dell’Ue alle migrazioni". Un nome altisonante per un incarico che difficilmente aiuterà l'Italia a risolvere un'emergenza che si trascina dietro ormai da anni. Nel 2014 in Italia sono sbarcati 180mila clandestini. Nel primo bimestre del 2015 il flusso è più che raddoppiato rispetto all'anno precedente. È il fallimento delle missioni Mare Nostrum e Triton, salutate con entusiasmo dal premier Matteo Renzi e dal ministro dell'Interno Angelino Alfano. Centinaia di morti hanno già macchiato di sangue il Mediterraneo. Dopo aver stanziato altri soldi per finanziare le operazioni di salvataggio in alto mare, l'Europarlamento punta tutto sulla Kyenge per risolvere l'emergenza. Peccato che, quando sedeva tra i banchi del governo Letta, l'allora ministro all'Integrazione premeva per la riforma dello ius soli e per la cittadinanza facile agli immigrati. Due promesse che, insieme all'operazione Mare Nostrum, hanno ingolosito i disperati che dal Nord Africa hanno sfidato il Mediterraneo per raggiungere l'Italia, ponte verso il Vecchio Continente.
"Sono riconoscente per la responsabilità che il parlamento mi ha affidato", ha commentato Kyenge soddisfatta che l'incarico le sia stato affidato dalla larga maggioranza dagli eurodeputati. "Dobbiamo superare il perenne approccio emergenziale con cui è stato sempre affrontato il tema - ha continuato - il flusso di migranti che attraversano le frontiere Sud dell’Europa è un fatto strutturale e transnazionale". Per l'ex ministro la questione deve essere affrontata condividendo le responsabilità "tra tutti gli Stati membri ponendo al centro innanzitutto la tutela della vita umana". Tutto il Pd si è stretto attorno alla Kyenge parlando di "ottimo risultato per l’Italia ottenuto grazie alla stima di cui gode l’eurodeputata Pd in Italia e in Europa". "Finalmente l’Italia non si limita più a criticare le mancanze dell’Europa sull’immigrazione ma si impegna in primo piano affinché l'Ue si faccia carico delle proprie responsabilità - ha dichiarato la capodelegazione degli eurodeputati piddì Patrizia Toia - il rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo porterà nei prossimi mesi all’approvazione di una risoluzione che costituirà il parere ufficiale del Parlamento europeo sull’immigrazione". Intanto che la Kyenge si studia le carte, però, gli scafisti già festeggia. Anche il 2015 sarà un anno di affari d'oro.
L'Europarlamento mette l'emergenza immigrazione nelle mani di Cecile Kyenge. Toccherrà all'ex ministro per l'Integrazione trovare una solizione a un problema che sta assumendo, soprattutto in Italia, proporzioni drammatiche. Insieme all'eurodeputata maltese Ppe Roberta Metsola, sarà la correlatrice del "rapporto di iniziativa strategico sulla situazione nel Mediterraneo e sulla necessità di un approccio globale dell’Ue alle migrazioni". Un nome altisonante per un incarico che difficilmente aiuterà l'Italia a risolvere un'emergenza che si trascina dietro ormai da anni. Nel 2014 in Italia sono sbarcati 180mila clandestini. Nel primo bimestre del 2015 il flusso è più che raddoppiato rispetto all'anno precedente. È il fallimento delle missioni Mare Nostrum e Triton, salutate con entusiasmo dal premier Matteo Renzi e dal ministro dell'Interno Angelino Alfano. Centinaia di morti hanno già macchiato di sangue il Mediterraneo. Dopo aver stanziato altri soldi per finanziare le operazioni di salvataggio in alto mare, l'Europarlamento punta tutto sulla Kyenge per risolvere l'emergenza. Peccato che, quando sedeva tra i banchi del governo Letta, l'allora ministro all'Integrazione premeva per la riforma dello ius soli e per la cittadinanza facile agli immigrati. Due promesse che, insieme all'operazione Mare Nostrum, hanno ingolosito i disperati che dal Nord Africa hanno sfidato il Mediterraneo per raggiungere l'Italia, ponte verso il Vecchio Continente.
"Sono riconoscente per la responsabilità che il parlamento mi ha affidato", ha commentato Kyenge soddisfatta che l'incarico le sia stato affidato dalla larga maggioranza dagli eurodeputati. "Dobbiamo superare il perenne approccio emergenziale con cui è stato sempre affrontato il tema - ha continuato - il flusso di migranti che attraversano le frontiere Sud dell’Europa è un fatto strutturale e transnazionale". Per l'ex ministro la questione deve essere affrontata condividendo le responsabilità "tra tutti gli Stati membri ponendo al centro innanzitutto la tutela della vita umana". Tutto il Pd si è stretto attorno alla Kyenge parlando di "ottimo risultato per l’Italia ottenuto grazie alla stima di cui gode l’eurodeputata Pd in Italia e in Europa". "Finalmente l’Italia non si limita più a criticare le mancanze dell’Europa sull’immigrazione ma si impegna in primo piano affinché l'Ue si faccia carico delle proprie responsabilità - ha dichiarato la capodelegazione degli eurodeputati piddì Patrizia Toia - il rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo porterà nei prossimi mesi all’approvazione di una risoluzione che costituirà il parere ufficiale del Parlamento europeo sull’immigrazione". Intanto che la Kyenge si studia le carte, però, gli scafisti già festeggia. Anche il 2015 sarà un anno di affari d'oro.
domenica 22 febbraio 2015
Gli imbrogli di fonzarelli continuano...
Nel mille proroghe che si vota al Senato entro l'1 marzo l'esecutivo fa slittare la verifica di requisiti, statuti e rendiconti e ammette all'incasso anche chi non si è mai iscritto al Registro della Commissione di garanzia sul finanziamento di Thomas Mackinson
Per gli adempimenti dei cittadini non c’è storia, rinvio o proroga che tenga. Quando si tratta dei partiti si mobilita addirittura il governo. Tra le mille proroghe dell’omonimo decreto in scadenza al primo marzo in Senato, c’è anche una gentil concessione dei partiti a se stessi sul fronte del finanziamento e delle donazioni private. Se ne fanno carico Matteo Renzi e il ministro Piercarlo Padoan che al testo licenziato alla Camera aggiungono un comma “12-quater” all’articolo uno, quello che dà l’avvio alle mille proroghe. Si scopre così che il governo non ha solo allungato di quattro mesi gli sfratti esecutivi. E non ha congelato solo l’aumento dei contributi per gli autonomi iscritti alla gestione separata Inps. Ha anche dato un “aiutino” ai partiti.
Il comma, quattromila parole in perfetto burocratese, parte da una piccola concessione e in un crescendo arriva al colpo grosso: una sanatoria per i partiti che non risultano in regola con le previsioni di legge in materia di trasparenza e con i requisiti per l’ammissione alle donazioni. Andiamo con ordine. Il primo capoverso guarda al passato. Stabilisce che, visti i tempi di piena funzionalità della Commissione di garanzia – quella che controlla statuti, trasparenza e conti dei partiti – “i termini relativi al procedimento di controllo di tali rendiconti relativi all’esercizio 2013 sono prorogati di due mesi”. Sessanta giorni in più rispetto alla scadenza del 15 febbraio, data entro cui la Commissione era chiamata a emanare una relazione sulla conformità della documentazione depositata, sulle spese effettivamente sostenute e sulle entrate percepite nell’anno precedente. Slitta, di conseguenza, anche il termine fissato al 31 marzo in cui i partiti erano chiamati a sanare eventuali irregolarità. E pure il termine, che nella legge era fissato al 30 aprile, entro il quale la Commissione approva la relazione di conformità e la trasmette ai presidenti di Camera e Senato che “ne curano la pubblicazione sui siti internet delle rispettive assemblee”. Così, eventuali guai che dovessero venir fuori si apprenderanno ben oltre i termini, salvo ulteriori dilazioni. Non solo.
Al secondo comma il testo stabilisce che il termine per la presentazione delle richieste di accesso, per l’anno 2015, alle detrazioni di cui agli articoli 11 e 12 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, e successive modificazioni, “è prorogato al 31 gennaio 2015”. E di che cosa si tratta? Delle detrazioni per le “erogazioni liberali in favore dei partiti” e della “destinazione volontaria del 2 per mille dell’imposta sul reddito” che ha debuttato nel 2014. Evidentemente, qualcuno era in ritardo con i termini. Il ritardo è però sanato, il favore prontamente servito: i partiti potranno incassare le somme anche se la loro posizione non è in regola con i requisiti di legge.
Possibile? Sì, recita il testo: “Hanno accesso ai benefìci medesimi anche qualora non risultino iscritti nel registro di cui all’articolo 4 del citato decreto-legge n. 149 del 2013 alla data del 31 gennaio 2015”. Inutile, dunque, la corsa a regolarizzarsi. La terza proroga è servita, ed ecco la quarta: la deroga vale fino al 31 dicembre 2015. E la domanda è d’obbligo: a che cosa mai servono le “misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei partiti”, il relativo “registro” e la speciale commissione in Parlamento? Visto lo scarso valore che gli viene tributato dal governo e dai partiti a poco nulla. La contribuzione volontaria, del resto, ha scontentato tutti: nel 2014 sono stati solo 16.518 gli italiani che hanno devoluto il 2 per mille ai partiti. Non a caso in Parlamento, nel frattempo, sono fioccate numerose proposte di legge per tornare al vecchio ne caro finanziamento pubblico. Nell’attesa, ecco servita la proroga per chi ha problemi con l’incasso.
Per gli adempimenti dei cittadini non c’è storia, rinvio o proroga che tenga. Quando si tratta dei partiti si mobilita addirittura il governo. Tra le mille proroghe dell’omonimo decreto in scadenza al primo marzo in Senato, c’è anche una gentil concessione dei partiti a se stessi sul fronte del finanziamento e delle donazioni private. Se ne fanno carico Matteo Renzi e il ministro Piercarlo Padoan che al testo licenziato alla Camera aggiungono un comma “12-quater” all’articolo uno, quello che dà l’avvio alle mille proroghe. Si scopre così che il governo non ha solo allungato di quattro mesi gli sfratti esecutivi. E non ha congelato solo l’aumento dei contributi per gli autonomi iscritti alla gestione separata Inps. Ha anche dato un “aiutino” ai partiti.
Il comma, quattromila parole in perfetto burocratese, parte da una piccola concessione e in un crescendo arriva al colpo grosso: una sanatoria per i partiti che non risultano in regola con le previsioni di legge in materia di trasparenza e con i requisiti per l’ammissione alle donazioni. Andiamo con ordine. Il primo capoverso guarda al passato. Stabilisce che, visti i tempi di piena funzionalità della Commissione di garanzia – quella che controlla statuti, trasparenza e conti dei partiti – “i termini relativi al procedimento di controllo di tali rendiconti relativi all’esercizio 2013 sono prorogati di due mesi”. Sessanta giorni in più rispetto alla scadenza del 15 febbraio, data entro cui la Commissione era chiamata a emanare una relazione sulla conformità della documentazione depositata, sulle spese effettivamente sostenute e sulle entrate percepite nell’anno precedente. Slitta, di conseguenza, anche il termine fissato al 31 marzo in cui i partiti erano chiamati a sanare eventuali irregolarità. E pure il termine, che nella legge era fissato al 30 aprile, entro il quale la Commissione approva la relazione di conformità e la trasmette ai presidenti di Camera e Senato che “ne curano la pubblicazione sui siti internet delle rispettive assemblee”. Così, eventuali guai che dovessero venir fuori si apprenderanno ben oltre i termini, salvo ulteriori dilazioni. Non solo.
Al secondo comma il testo stabilisce che il termine per la presentazione delle richieste di accesso, per l’anno 2015, alle detrazioni di cui agli articoli 11 e 12 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, e successive modificazioni, “è prorogato al 31 gennaio 2015”. E di che cosa si tratta? Delle detrazioni per le “erogazioni liberali in favore dei partiti” e della “destinazione volontaria del 2 per mille dell’imposta sul reddito” che ha debuttato nel 2014. Evidentemente, qualcuno era in ritardo con i termini. Il ritardo è però sanato, il favore prontamente servito: i partiti potranno incassare le somme anche se la loro posizione non è in regola con i requisiti di legge.
Possibile? Sì, recita il testo: “Hanno accesso ai benefìci medesimi anche qualora non risultino iscritti nel registro di cui all’articolo 4 del citato decreto-legge n. 149 del 2013 alla data del 31 gennaio 2015”. Inutile, dunque, la corsa a regolarizzarsi. La terza proroga è servita, ed ecco la quarta: la deroga vale fino al 31 dicembre 2015. E la domanda è d’obbligo: a che cosa mai servono le “misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei partiti”, il relativo “registro” e la speciale commissione in Parlamento? Visto lo scarso valore che gli viene tributato dal governo e dai partiti a poco nulla. La contribuzione volontaria, del resto, ha scontentato tutti: nel 2014 sono stati solo 16.518 gli italiani che hanno devoluto il 2 per mille ai partiti. Non a caso in Parlamento, nel frattempo, sono fioccate numerose proposte di legge per tornare al vecchio ne caro finanziamento pubblico. Nell’attesa, ecco servita la proroga per chi ha problemi con l’incasso.
Fonzarelli e le banche
Popolari, quei tre punti oscuri sul gioco di mano del governo. Il ricorso al decreto legge, i sospetti di insider trading e le strane anomalie I cittadini meritano risposte, non le frasi di circostanza di Palazzo Chigi di Renato Brunetta
Jobs Act e investment compact : siamo tornati all'inglesorum di palazzo Chigi, definito da Guido Rossi ai tempi di D'Alema come «L'unica merchant bank in cui non si parla inglese». Oggi parliamo di Investment compact, balzato agli onori della cronaca per il pasticcio della riforma delle banche popolari. Le «questioni», di metodo e di merito, aperte sono diverse: 1) il ricorso, da parte del governo, allo strumento del decreto legge; 2) il rischio di insider trading e le altre indagini in corso 3) il merito della norma.
IL RICORSO AL DECRETO LEGGE: La vicenda del decreto di riforma delle banche popolari rappresenta o rischia di rappresentare una delle pagine più oscure del governo Renzi. È di venerdì 16 gennaio, a chiusura dei mercati, la prima agenzia di stampa che annuncia l'imminente provvedimento. E la prima informazione ufficiale si riferisce, come affermato dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta in Parlamento, a una comunicazione che il presidente del Consiglio fa al suo partito, nel corso della riunione della direzione del Pd alle 17.30. Appare già strano che su una materia tanto sensibile un presidente del Consiglio decida di anticipare i contenuti e l'uso del decreto legge in una riunione di un club privato. Tanto più che inizialmente la riforma doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza ma, invece, improvvisamente, è diventata particolarmente urgente. Il 20 gennaio il consiglio dei ministri dà via libera al decreto che, effettivamente, contiene la norma che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni. Il governo, quindi, ha avuto la «sfrontatezza» di imporre per decreto una rivoluzione nella governance di un sistema che, negli anni della crisi e del credit crunch , è stato l'unico a ridare fiducia e credito a famiglie e imprese. Imposizione, quella del governo, priva di presupposti di necessità e urgenza, fondamentali, pena l'incostituzionalità del provvedimento, per poter emanare un decreto legge.
IL RISCHIO DI INSIDER TRADING: Un altro aspetto della vicenda sono gli effetti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte. Non può, quindi, passare in secondo piano il dubbio di azioni promosse, in maniera consapevole e attenta, a seguito, evidentemente, dell'entrata in possesso di informazioni privilegiate. Ciò che si prefigura davanti ai nostri occhi e agli occhi dei cittadini è, pertanto, l'immagine di un governo che si presta, di fatto, a varie mani: mani che prendono informazioni, mani che cambiano testi all'ultimo momento, mani che scrivono all'ultimo momento, mani invisibili, mani di fata che, in realtà, hanno un ruolo chiave nell'attività dell'esecutivo.
IL MERITO DELLA NORMA: Come sottolineato più volte dal governo, anche Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca d'Italia hanno segnalato i rischi che il mantenimento della forma cooperativa determina per le banche popolari maggiori, quali: 1) la scarsa partecipazione dei soci in assemblea; 2) gli scarsi incentivi al controllo costante sugli amministratori; 3) la difficoltà di reperire nuovo capitale sul mercato e, quindi, di assicurare la sussistenza dei fondi che potrebbero essere necessari per esigenze di rafforzamento patrimoniale. In particolare, in un working paper dal titolo «Reforming the Corporate Governance of Italian Banks», il Fondo Monetario Internazionale sosteneva la necessità per le banche popolari più grandi di trasformarsi in società per azioni. Le banche popolari nascono con un raggio di azione limitato ad aree geografiche definite, ma oggi la loro struttura attuale pare, agli occhi del Fmi, inadeguata, in quanto questo tipo di istituto di credito opera a livello nazionale e internazionale, e alcune di esse sono addirittura quotate in Borsa. Secondo il paper del Fondo, la riforma delle banche popolari migliorerebbe la governance di tali istituti.
L'ANOMALIA DELLA SOGLIA DEGLI 8 MILIARDI DI ATTIVO: Ma attenzione, né il Fondo monetario internazionale né la Banca d'Italia individuavano una soglia oltre la quale far intervenire la riforma. Ci si limitava a riferirsi agli istituti di maggiori dimensioni o quotati in Borsa. Quanto all'idoneità della soglia dimensionale prescelta, individuata dal provvedimento normativo in 8 miliardi di euro di totale attivo, il governo giustifica la sua scelta dimensionale come «equidistante tra il gruppo delle banche popolari quotate e il gruppo delle banche popolari più piccole». Tuttavia, tale soglia non trova riscontro in alcuna normativa esistente, primaria o secondaria, nazionale o internazionale. Sarebbe ben più fondato restringere l'ambito di applicazione della norma solo alle banche popolari quotate ed elevare la soglia a 30 miliardi. Una ulteriore soluzione alternativa potrebbe essere anche quella di prevedere una soglia di 20 miliardi di euro per le banche che, a decorrere dall'anno 2014, hanno effettuato acquisizioni e/o fusioni. Inoltre, sempre per queste banche, andrebbe concesso un termine più ampio per adeguarsi alla nuova disciplina, elevando i diciotto mesi attualmente previsti dalla normativa transitoria a quattro anni.
Sul tema delle popolari e sul tema delle riforme, in Europa si discutono dossier da almeno dieci anni. E il tema non è solo italiano, anzi. Non riguarda neanche tanto l'area sud dell'Europa, ma, al contrario, soprattutto l'area nord dell'Europa: quella tedesca e olandese. Il fatto che se ne discuta da almeno dieci anni fa riflettere del perché non si sia ancora deciso in maniera drastica, tranchant, nonostante gli stimoli, gli incentivi, le richieste da parte dell'Unione europea nel merito. Quindi, nulla quaestio sul tema, sul merito del tema, che cioè debolezza, autoreferenzialità, inefficienza siano elementi da trattare e da superare. Il problema è il modo. Noi chiediamo al governo di fare chiarezza in merito alle ombre dell' insider trading che circondano le vicende che hanno portato all'emanazione del decreto legge di riforma delle banche popolari. Vanno inoltre chiariti quei passaggi che hanno indotto il governo a decidere di procedere su un tema così delicato e complesso con lo strumento del decreto legge, tra l'altro proprio in un lasso di tempo in cui la presidenza della Repubblica era vacante. In sintesi, il Paese non solo vuole chiarezza, ma anche una buona riforma che non distrugga o porti alla svendita di una cultura economica e finanziaria che è patrimonio del paese. La chiarezza non è certamente venuta da Matteo Renzi, nella sua ultima performance a Porta a Porta, quando si è limitato a dire alcune ovvietà (chi deve pagare paghi, chi è responsabile risponda, ecc.: concetti più degni di Chance, il giardiniere dello strepitoso Peter Sellers). Caro Renzi-Chance, la moglie di Cesare non solo deve essere onesta, ma anche apparire tale.
Jobs Act e investment compact : siamo tornati all'inglesorum di palazzo Chigi, definito da Guido Rossi ai tempi di D'Alema come «L'unica merchant bank in cui non si parla inglese». Oggi parliamo di Investment compact, balzato agli onori della cronaca per il pasticcio della riforma delle banche popolari. Le «questioni», di metodo e di merito, aperte sono diverse: 1) il ricorso, da parte del governo, allo strumento del decreto legge; 2) il rischio di insider trading e le altre indagini in corso 3) il merito della norma.
IL RICORSO AL DECRETO LEGGE: La vicenda del decreto di riforma delle banche popolari rappresenta o rischia di rappresentare una delle pagine più oscure del governo Renzi. È di venerdì 16 gennaio, a chiusura dei mercati, la prima agenzia di stampa che annuncia l'imminente provvedimento. E la prima informazione ufficiale si riferisce, come affermato dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta in Parlamento, a una comunicazione che il presidente del Consiglio fa al suo partito, nel corso della riunione della direzione del Pd alle 17.30. Appare già strano che su una materia tanto sensibile un presidente del Consiglio decida di anticipare i contenuti e l'uso del decreto legge in una riunione di un club privato. Tanto più che inizialmente la riforma doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza ma, invece, improvvisamente, è diventata particolarmente urgente. Il 20 gennaio il consiglio dei ministri dà via libera al decreto che, effettivamente, contiene la norma che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni. Il governo, quindi, ha avuto la «sfrontatezza» di imporre per decreto una rivoluzione nella governance di un sistema che, negli anni della crisi e del credit crunch , è stato l'unico a ridare fiducia e credito a famiglie e imprese. Imposizione, quella del governo, priva di presupposti di necessità e urgenza, fondamentali, pena l'incostituzionalità del provvedimento, per poter emanare un decreto legge.
IL RISCHIO DI INSIDER TRADING: Un altro aspetto della vicenda sono gli effetti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte. Non può, quindi, passare in secondo piano il dubbio di azioni promosse, in maniera consapevole e attenta, a seguito, evidentemente, dell'entrata in possesso di informazioni privilegiate. Ciò che si prefigura davanti ai nostri occhi e agli occhi dei cittadini è, pertanto, l'immagine di un governo che si presta, di fatto, a varie mani: mani che prendono informazioni, mani che cambiano testi all'ultimo momento, mani che scrivono all'ultimo momento, mani invisibili, mani di fata che, in realtà, hanno un ruolo chiave nell'attività dell'esecutivo.
IL MERITO DELLA NORMA: Come sottolineato più volte dal governo, anche Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca d'Italia hanno segnalato i rischi che il mantenimento della forma cooperativa determina per le banche popolari maggiori, quali: 1) la scarsa partecipazione dei soci in assemblea; 2) gli scarsi incentivi al controllo costante sugli amministratori; 3) la difficoltà di reperire nuovo capitale sul mercato e, quindi, di assicurare la sussistenza dei fondi che potrebbero essere necessari per esigenze di rafforzamento patrimoniale. In particolare, in un working paper dal titolo «Reforming the Corporate Governance of Italian Banks», il Fondo Monetario Internazionale sosteneva la necessità per le banche popolari più grandi di trasformarsi in società per azioni. Le banche popolari nascono con un raggio di azione limitato ad aree geografiche definite, ma oggi la loro struttura attuale pare, agli occhi del Fmi, inadeguata, in quanto questo tipo di istituto di credito opera a livello nazionale e internazionale, e alcune di esse sono addirittura quotate in Borsa. Secondo il paper del Fondo, la riforma delle banche popolari migliorerebbe la governance di tali istituti.
L'ANOMALIA DELLA SOGLIA DEGLI 8 MILIARDI DI ATTIVO: Ma attenzione, né il Fondo monetario internazionale né la Banca d'Italia individuavano una soglia oltre la quale far intervenire la riforma. Ci si limitava a riferirsi agli istituti di maggiori dimensioni o quotati in Borsa. Quanto all'idoneità della soglia dimensionale prescelta, individuata dal provvedimento normativo in 8 miliardi di euro di totale attivo, il governo giustifica la sua scelta dimensionale come «equidistante tra il gruppo delle banche popolari quotate e il gruppo delle banche popolari più piccole». Tuttavia, tale soglia non trova riscontro in alcuna normativa esistente, primaria o secondaria, nazionale o internazionale. Sarebbe ben più fondato restringere l'ambito di applicazione della norma solo alle banche popolari quotate ed elevare la soglia a 30 miliardi. Una ulteriore soluzione alternativa potrebbe essere anche quella di prevedere una soglia di 20 miliardi di euro per le banche che, a decorrere dall'anno 2014, hanno effettuato acquisizioni e/o fusioni. Inoltre, sempre per queste banche, andrebbe concesso un termine più ampio per adeguarsi alla nuova disciplina, elevando i diciotto mesi attualmente previsti dalla normativa transitoria a quattro anni.
Sul tema delle popolari e sul tema delle riforme, in Europa si discutono dossier da almeno dieci anni. E il tema non è solo italiano, anzi. Non riguarda neanche tanto l'area sud dell'Europa, ma, al contrario, soprattutto l'area nord dell'Europa: quella tedesca e olandese. Il fatto che se ne discuta da almeno dieci anni fa riflettere del perché non si sia ancora deciso in maniera drastica, tranchant, nonostante gli stimoli, gli incentivi, le richieste da parte dell'Unione europea nel merito. Quindi, nulla quaestio sul tema, sul merito del tema, che cioè debolezza, autoreferenzialità, inefficienza siano elementi da trattare e da superare. Il problema è il modo. Noi chiediamo al governo di fare chiarezza in merito alle ombre dell' insider trading che circondano le vicende che hanno portato all'emanazione del decreto legge di riforma delle banche popolari. Vanno inoltre chiariti quei passaggi che hanno indotto il governo a decidere di procedere su un tema così delicato e complesso con lo strumento del decreto legge, tra l'altro proprio in un lasso di tempo in cui la presidenza della Repubblica era vacante. In sintesi, il Paese non solo vuole chiarezza, ma anche una buona riforma che non distrugga o porti alla svendita di una cultura economica e finanziaria che è patrimonio del paese. La chiarezza non è certamente venuta da Matteo Renzi, nella sua ultima performance a Porta a Porta, quando si è limitato a dire alcune ovvietà (chi deve pagare paghi, chi è responsabile risponda, ecc.: concetti più degni di Chance, il giardiniere dello strepitoso Peter Sellers). Caro Renzi-Chance, la moglie di Cesare non solo deve essere onesta, ma anche apparire tale.
Magistratura e clandestinità
Magistrati di Area: "Via le pene per i clandestini e viaggi più sicuri per i migranti". Mentre l'Italia è sotto la minaccia dell'Isis e della polveriera libica per i magistrati adesso è tempo di aprire le porte Sostieni il reportage di Ignazio Stagno
"È urgente portare l’esperienza italiana di Mare Nostrum nelle nuove iniziative europee, a partire dall’attuale Triton, con risorse più consistenti, un ambito di operatività più esteso e l’esplicito riconoscimento anche della finalità di soccorso dei migranti in acque internazionali. E occore al più presto abrogare il reato di immigrazione clandestina, retaggio inutile di una visione panpenalistica del fenomeno immigrazione, tutta rivolta a soddisfare presunti bisogni securitari e che oggi costituisce solo un intralcio all’accertamento dei gravi reati che vedono i migranti irregolari in veste di vittime". Ad affermarlo i magistrati di Area, il gruppo al quale aderiscono Magistratura democratica e Movimento per la Giustizia - art.3, nelle conclusioni del seminario nazionale "L’immigrazione che verrà", svoltosi a Catania, sostenendo che "accoglienza, solidarietà e sicurezza si tengono insieme". Insomma di fatto i magistrati chiedono al governo di spalancare le porte all'immigrazione proprio nel momento in cui l'Italia è sotto minaccia dell'Isis che tra i suoi piani ha pure quello di spedire verso le nostre coste cellule terroristiche infiltrate tra i barconi.
Ma come se non bastasse i magistrati chiedono pure condizioni di viaggio più sicure per gli immigrati: "L'instabilità della situazione politica di molte parti dell’Africa e del Medio Oriente continuerà a generare nell’immediato futuro imponenti flussi migratori, spontanei e pressoché incoercibili, verso l’Europa: moltitudini umane in fuga dai conflitti per la sopravvivenza fisica e l’affermazione di condizioni di vita di essenziale dignità. Occorre quindi indirizzare la politica italiana ed europea verso soluzioni che permettano di assicurare condizioni di viaggio e di accoglienza dignitose e sicure, evitando la speculazione di gruppi criminali che, sfruttando il bisogno di migrare, mettono in pericolo la vita dei migranti esponendoli a inutili tragedie umanitarie". Infine sulla crisi libica e sull'Isis affermano: "Questa minaccia, però, non va confusa con il rischio che tra i migranti vi siano soggetti radicalizzatisi in contesti di conflitto, per i quali sono comunque necessarie misure atte alla prevenzione e al controllo. La minaccia terroristica non deve essere strumentalizzata per finalità di politica interna. Essa è una minaccia seria e reale e richiede - come già in passato di fronte al terrorismo interno - saldezza morale, coraggio e unità del Paese".
"È urgente portare l’esperienza italiana di Mare Nostrum nelle nuove iniziative europee, a partire dall’attuale Triton, con risorse più consistenti, un ambito di operatività più esteso e l’esplicito riconoscimento anche della finalità di soccorso dei migranti in acque internazionali. E occore al più presto abrogare il reato di immigrazione clandestina, retaggio inutile di una visione panpenalistica del fenomeno immigrazione, tutta rivolta a soddisfare presunti bisogni securitari e che oggi costituisce solo un intralcio all’accertamento dei gravi reati che vedono i migranti irregolari in veste di vittime". Ad affermarlo i magistrati di Area, il gruppo al quale aderiscono Magistratura democratica e Movimento per la Giustizia - art.3, nelle conclusioni del seminario nazionale "L’immigrazione che verrà", svoltosi a Catania, sostenendo che "accoglienza, solidarietà e sicurezza si tengono insieme". Insomma di fatto i magistrati chiedono al governo di spalancare le porte all'immigrazione proprio nel momento in cui l'Italia è sotto minaccia dell'Isis che tra i suoi piani ha pure quello di spedire verso le nostre coste cellule terroristiche infiltrate tra i barconi.
Ma come se non bastasse i magistrati chiedono pure condizioni di viaggio più sicure per gli immigrati: "L'instabilità della situazione politica di molte parti dell’Africa e del Medio Oriente continuerà a generare nell’immediato futuro imponenti flussi migratori, spontanei e pressoché incoercibili, verso l’Europa: moltitudini umane in fuga dai conflitti per la sopravvivenza fisica e l’affermazione di condizioni di vita di essenziale dignità. Occorre quindi indirizzare la politica italiana ed europea verso soluzioni che permettano di assicurare condizioni di viaggio e di accoglienza dignitose e sicure, evitando la speculazione di gruppi criminali che, sfruttando il bisogno di migrare, mettono in pericolo la vita dei migranti esponendoli a inutili tragedie umanitarie". Infine sulla crisi libica e sull'Isis affermano: "Questa minaccia, però, non va confusa con il rischio che tra i migranti vi siano soggetti radicalizzatisi in contesti di conflitto, per i quali sono comunque necessarie misure atte alla prevenzione e al controllo. La minaccia terroristica non deve essere strumentalizzata per finalità di politica interna. Essa è una minaccia seria e reale e richiede - come già in passato di fronte al terrorismo interno - saldezza morale, coraggio e unità del Paese".
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