Come rimanere clandestini a norma di legge. La giustizia non funziona: nelle larghe maglie delle leggi italiane sui rimpatri c'è sempre spazio per restare in Italia di Paola Fucilieri
lunedì 3 giugno 2013
Furberie a norma di legge
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Come rimanere clandestini a norma di legge. La giustizia non funziona: nelle larghe maglie delle leggi italiane sui rimpatri c'è sempre spazio per restare in Italia di Paola Fucilieri
Come rimanere clandestini a norma di legge. La giustizia non funziona: nelle larghe maglie delle leggi italiane sui rimpatri c'è sempre spazio per restare in Italia di Paola Fucilieri
Milano - Si fa presto a dire rimpatri. Le vie per rimandare a casa loro gli stranieri che non hanno titolo per restare in Italia sono molto più impervie e disseminate di ostacoli di quel che si può pensare. Furberie ed escamotage per evitare o rinviare l'espulsione, avallate dalla superficialità di certe politiche in materia d'immigrazione, sono infatti all'ordine del giorno. Lo stesso vale per una semplice domanda d'asilo. Che può essere presentata e ripresentata senza limiti. E nel frattempo - a meno che il rigetto non «colga» l'immigrato proprio mentre è in volo per casa, circostanza piuttosto rara - si può fare ricorso e restare in Italia. Proprio quel che è capitato a Mada «Adam» Kabobo, il 31enne ghanese che lo scorso 11 maggio, a Milano, ha preso a picconate tre uomini uccidendoli: l'africano aveva fatto richiesta di asilo politico nel 2011, status che gli era stato negato in prima battuta. Ma lui aveva presentato ricorso, sul quale i giudici non si sono ancora pronunciati e per questo, a causa del procedimento pendente, pur essendo irregolare non poteva essere espulso. Tuttavia anche chi sembra praticamente già rimpatriato, con tanto di espulsione e il volo che lo aspetta all'aeroporto, può trovare un modo per rimandare la partenza. Salire su un'aereo per far tornare un clandestino nel proprio paese d'origine, con una scorta di poliziotti e il personale medico necessario, insomma, solo in apparenza è un'operazione priva di difficoltà. Senza contare che anche nei periodi più critici, come tra il 2011 e il 2012, quando i nordafricani sbarcavano numerosi sulle coste italiane e la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere aveva disposto un servizio bisettimanale di voli charter collettivi da Milano e Roma per il loro rimpatrio, l'organizzazione lasciava piuttosto a desiderare.
Alla stregua di un bus urbano un aereo partito da Linate con destinazione Tunisi fa prima tappa a Roma, a Bari e a Palermo per poi far ritorno a Milano, con viaggi che durano una dozzina di ore e partenze variabili tra le 5.30 e le 7 del mattino. E gli imprevisti per sospendere la scorta e rinviare il volo all'ultimo momento, di certo non sono mai mancati e ci sono tuttora. Basta che lo straniero da riaccompagnare dia in escandescenze rifiutandosi di uscire dalla sua stanza al Cie (Centro d'identificazione ed espulsione) e la scorta viene subito sospesa. Poi c'è naturalmente chi, pur di non andarsene, è disposto a compiere gesti di autolesionismo, ingerendo qualunque porcheria prima della partenza o assumendo comportamenti estremi con urla, schiamazzi, minacce, sputi o addirittura lanci di feci verso il personale addetto alle scorte. Proprio sulle scorte si apre un capitolo a parte, costellato da episodi che oscillano tra il grottesco e l'inaccettabile. E non si tratta solo del fatto che i poliziotti che svolgono questi servizi non vengano selezionati con criteri adeguati, che permettano un'equa distribuzione dei carichi di lavoro. O che anche il personale sanitario impiegato in questi voli (dovrebbe essere un medico, ma spesso viene mandato solo un infermiere senza contare che a volte non si trova nessuno e allora il volo viene annullato, ndr) sia quasi sempre lo stesso e spesso non sappia ancora in cosa si concretizzi veramente il proprio ruolo. In Marocco un gruppo di poliziotti di scorta che si erano portati dall'Italia il sacchetto viveri distribuito dalla polizia, sono stati infatti costretti a sostare a lungo all'interno degli uffici delle forze dell'ordine locali perché rischiavano una multa a causa di una mela: secondo le severe leggi di quel Paese, infatti, il frutto era stato introdotto nello stato senza essere stato prima dichiarato nella scheda distribuita a bordo prima dell'atterraggio.
In Venezuela, sempre un gruppo di poliziotti di scorta, trattenuti da impegni burocratici, avevano perso il volo-coincidenza per far ritorno in Italia. Così sono stati costretti a consegnare i passaporti alla polizia di frontiera di quel paese ai colleghi locali prima di recarsi in albergo per passare la notte. Come se, anziché pubblici ufficiali nell'esercizio di delicate funzioni, fosse dei balordi. O semplici turisti, magari svampiti o indisciplinati. Altri sedici agenti, durante un servizio di scorta a cinque nigeriane da Milano Linate a Roma, hanno dovuto aspettare tre ore in aeroporto perché Alitalia li aveva messi in overbooking. Nonostante quella scorta fosse costata 17mila euro solo di biglietti.
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