sabato 28 febbraio 2009

Emirati Arabi

E' Uscito negli Emirati Arabi Uniti: Il suo scopo è aiutare le coppie sposate. Un libro sull'educazione sessuale divide il mondo islamico. L'autrice è una donna devota che non ha mai smesso di portare il velo. Per lei minacce ma anche sostegno

A ispirarla è stato il suo lavoro di assistente sociale nella sezione del tribunale di Dubai dove si tengono i procedimenti relativi ai divorzi. Wedad Lootah ha scritto e pubblicato a proprie spese il primo libro sull’educazione sessuale per coppie sposate mai pubblicato negli Emirati Arabi Uniti. Una volta, una donna sposata da 35 anni, che non aveva mai provato piacere nei rapporti con il marito, ha deciso di divorziare. "Era così arrabbiata e disgustata dall’egoismo del marito – spiega l’assistente sociale -. La povera donna non sapeva di poter trarre piacere trovandosi in intimità con lui". In un’altra occasione, un uomo voleva separarsi perchè la moglie lo rifiutava a letto. Lei riteneva degradante ciò che le veniva chiesto. Secondo Lootah, sarebbe stato facile evitare questi divorzi: con una buona educazione sessuale.

L' USCITA IN LIBRERIA - Ma da quando lo scorso mese è uscito in libreria, «I segreti delle relazioni sessuali delle coppie sposate» ha suscitato critiche e accuse su blog e siti web degli Emirati arabi. I critici, quasi tutti uomini, secondo il quotidiano saudita Arab News, affermano che l’argomento non dovrebbe essere discusso in pubblico. Alcuni hanno accusato Lootah di essere una peccatrice e un’infedele. Secondo il sito Arab.net avrebbe ricevuto anche minacce di morte per telefono e sarebbe stata definita su internet “una marionetta degli Stati Uniti e di Israele”. Ma ci sono anche molte voci a favore che dicono che sarebbe meglio smetterla di considerare tabù l’argomento sesso, anche per il bene dei matrimoni.

AUMENTO DEI DIVORZI - Non ci sono stime ufficiali sul numero di divorzi negli Emirati, ma un sondaggio dell’Onu ha registrato un aumento del 13% tra il 2002 e il 2004, con circa 13.000 procedimenti in tribunale. Lootah è una donna devota. Indossa da più di 25 anni il velo, che le copre il volto oltre che il capo. Criticò Cherie Blair nel 2007 perché l’aveva definito una violazione dei diritti delle donne. «Indosso il velo perché credo che mi dia dignità e credo che le persone mi rispettino per questo», disse Lootah, intervistata dal quotidiano Gulf News. L’assistente sociale ha mostrato a studiosi ed esperti di Islam le bozze del libro prima della pubblicazione. «Tra loro c'era il mufti di Dubai, che l’ha approvato». Il suo scopo è aiutare le coppie sposate. Non è favorevole al sesso al di fuori dal matrimonio, all’omosessualità, alla masturbazione.

I CONTENUTI DEL LIBRO - Il libro di 221 pagine descrive le regole del matrimonio nelle società islamiche, ma non tratta solo di giurisprudenza. Affronta con un approccio domanda-risposta aspetti assai concreti come: avere rapporti durante il ciclo, se sia consentito o meno l’uso della pornografia, fare il bagno insieme, eccetera (ma l’autrice ha dovuto eliminare oltre 100 pagine perché troppo esplicite). Vengono inoltre raccontati diversi casi reali, appresi nell'esperienza di assistente sociale in tribunale, e vi sono molti suggerimenti. Non è la prima volta che, sostenendo la necessità di un'educazione sessuale più diffusa, Lootah fa scandalo: accadde già anni fa, quando esortò le autorità a introdurre corsi di educazione sessuale nelle scuole degli Emirati. Questo libro, comunque, ha spiegato, «è destinato alle coppie che stanno per sposarsi e non agli alunni delle scuole, che necessitano di educazione sessuale, ma in un modo adatto alla loro età».

Vivana Mazza

Svendite

L’assessore Monti rimarca: “Non è possibile fare discriminazioni nel rilascio delle licenze di apertura”. “Lasciate il centro ai fermani”.

Attività nel mirino degli investitori cinesi, i negozianti ora si sentono minacciati “Caffè nolmale o macchiato, signola?”. Lo sbarco di cinesi nella gestione del bar di fronte al tribunale nel cuore del centro storico preoccupa. Per ora la città non sembra voler metabolizzare la cosa, come era successo con lo sbarco dei marziani a Roma del racconto di Flaiano, che il giorno dopo già non li filava più nessuno. L’ingresso della Cina sul corso di Fermo, non proprio florido in fatto di negozi e locali, è un pezzo del mondo globale con cui anche qui tocca fare i conti. Tra paure da superare e luoghi comuni da sfatare. Per Sandro Testoni, storico edicolante di piazza del Popolo, i cinesi che gestiscono il bar di fronte al palazzo di giustizia, sono il prodromo di una vera a propria invasione. “Loro arrivano con i soldi in mano - dice Testoni - e allettano i proprietari di negozi e magazzini a vendere a un prezzo a volte superiore del valore. Non so se questo è stato il caso del bar sul corso, dove hanno rilevato solo la gestione, ma so che i proprietari dei locali vuoti poco distanti sono stati contattati da cinesi intenzionati ad aprire un emporio. Il centro storico deve essere aperto alla gente, al transito e deve rinascere in mano ai fermani per puntare sulla qualità”. Anche Diana Benedetto, titolare della tabaccheria in largo Fogliani e presidente dell’associazione “Vivi piazzetta”, non usa mezzi termini. “Sono anni che lotto per riqualificare il centro storico - dice la commerciante - ma questa amministrazione fa di tutto per isolarlo e degradarlo. Adesso ci mancavano anche i cinesi. Non sono razzista, ma la presenza di stranieri a gestire negozi in centro storico non è sinonimo di qualità. Il centro è dei fermani e tale deve restare”. Getta acqua sul fuoco, invece, Massimo Monti, assessore al Commercio. “Per adesso non c’è alcun rischio - dice - in merito al bar in questione si è trattata di una regolare compravendita di licenza. Non è possibile fare discriminazioni in questo senso, che si tratti dicinesi, italiani, polacchi o altro. Se ci sono tutti i requisiti richiesti dalla legge, l’amministrazione non può non rilasciare la licenza di apertura. I controlli di routine vengono fatti dalla polizia municipale tutti i giorni”. Per ora, tuttavia, in barba alla crisi, gli esercizi commerciali dei cinesi proliferano. Basta vedere Porto Sant’Elpidio. Non conoscono crolli ma non conoscono nemmeno il successo: navigano in un eterno presente fatto di luci al neon nelle lanterne rosse esposte fuori dai bazar.

Giustizia italiana

Lo scandalo della giustizia dura con chi si difende, debole con i violenti di Mario Cervi

Si dirà, nel tentativo di sopire le polemiche, che l’orefice Massimo Mastrolorenzi era psicologicamente instabile e che a quella sua mente turbata dev’essere addebitato il gesto estremo con cui s’è tolta la vita. Ma sarebbe troppo semplice e anche troppo comodo passare così all’archivio una tragedia che invece ci scuote e ci angoscia. Voglio scrivere con pacatezza, perché l’argomento l’impone. Voglio inoltre evitare attacchi personali. Penso, molto semplicemente, che il gioielliere sia stato vittima della giustizia. La decisione ultima del pm Erminio Amelio - che a Massimo Mastrolorenzi imputava addirittura l’omicidio volontario per aver ucciso due rapinatori che erano entrati nel suo negozio, l’avevano picchiato, l’avevano legato - è stata a mio avviso insensata. Contrastante cioè con il giudizio che una schiacciante maggioranza di cittadini, inclusi autorevoli Soloni del diritto, avrebbe dato valutando questo stesso fatto. Si eviti pure d’associarsi a chi al gioielliere avrebbe dato una medaglia, per il coraggio con cui s’è liberato dei legacci che lo imprigionavano ed ha reagito ad una violenza criminale. Si ammetta pure che il gioielliere, preso da una comprensibile furia, abbia sparato ai delinquenti mentre fuggivano. Ma l’equipararlo a un volgare assassino è un affronto al semplice ragionare dell’uomo della strada (e delle donne non della strada). Niente strumentalizzazioni, d’accordo. Riconosco che il magistrato ha diritto alle sue convinzioni, quando incrimina, così come il professore ha diritto alle sue convinzioni quando boccia, e che né l’uno né l’altro possono prevedere una reazione tragica. Tuttavia il «caso» Mastrolorenzi è sconvolgente. Risalgono al 2003 la rapina e l’uccisione dei rapinatori. L’11 marzo del 2005 il gup Giorgio Maria Rossi si espresse sulla posizione di Mastrolorenzi prosciogliendolo per legittima difesa. Annullata in Appello, per vizio di forma, questa sentenza, il gioielliere era stato nuovamente imputato per eccesso colposo di legittima difesa. Era stata proposta per lui una condanna a otto anni di reclusione, senza le attenuanti generiche che in Italia vengono elargite a delinquenti efferati e professionali. Poi, una settimana fa, il colpo di scena. Non più eccesso colposo di legittima difesa ma omicidio volontario. Un seguito di deliberazioni contraddittorie, e progressivamente più severe, in una escalation implacabile. Massimo Mastrolorenzi non è un soggetto equilibrato, anzi. Sono emerse le sue intemperanze e le sue violenze, l’ultima esercitata contro la compagna prima del suicidio. Ma anche un individuo dalla calma solida l’avrebbe di sicuro persa in un calvario giudiziario di sei anni (e ancora lontano dalla conclusione). Concedo ai magistrati la possibilità d’essere di pareri discordanti. Ma in una vicenda che nelle sue linee essenziali è sempre stata chiarissima, come è potuto avvenire che in tre tappe diverse si siano avuti tre diversissimi responsi umani e tecnici? L’impressione, che mi piacerebbe tanto di veder smentita, è che vi sia una sorta di accanimento verso l’aggredito che, come usa dire banalmente, si fa giustizia da sé, e invece un’indulgenza bonaria per certi brutti ceffi. Che, se aggrediscono, picchiano, legano, impugnando una finta pistola anziché vere armi, diventano nelle ricostruzioni giudiziarie poveri agnellini braccati. Io la penso diversamente, e tantissimi come me, suppongo.

Immigrazione

Così esplodono 8 coppie su 10.

Pisanu

«E se Pisanu facesse concorrenza a Fini per guidare il Pd?»

È vero che alla fine ha fatto pubblica ammenda ed ha promesso che sì, il pellegrinaggio ad Arcore l’avrebbe fatto. Però è ormai da qualche mese che Giuseppe Pisanu (nella foto) si sta distinguendo per le sue posizioni controcorrente, tra cui - appunto - la battuta sulle possibilità di vittoria di Ugo Cappellacci nella corsa alla presidenza della Sardegna. «Se vince vado in pellegrinaggio ad Arcore», buttò lì. E ormai da giorni i carabinieri di scorta sotto casa del Cavaliere scrutano l’orizzonte in attesa dell’ex ministro dell’Interno. Ma il nuovo corso di Pisanu sta soprattutto nella sua continua presa di distanze dalle posizioni del governo e in particolare della Lega. «Berlusconi non subisca gli slogan leghisti», disse al Corriere della Sera i primi di febbraio aggiungendo una dotta analisi delle posizioni del Carroccio: «Sono battute da osterie della Bassa Padana». Apriti cielo. Con replica piccata di Bobo Maroni, suo successore al Viminale. Ma l’interdizione di Pisanu è andata avanti. Sul testamento biologico, in primo luogo. «Mi rifiuto di votare la legge», fa sapere senza peli sulla lingua e senza nascondere le sue perplessità sulla «discussione a tratti disumana che riguarda il caso Englaro». Con buona pace degli strali di Avvenire e delle ironie di Maurizio Gasparri che lo accusa di «far parte distrattamente del gruppo Pdl». È finita qui, direte voi. E invece no. Perché a Pisanu non piace troppo nemmeno il ddl sulle intercettazioni. E le ronde? Nemmeno a parlarne. «Oggettivamente - dice - costituiscono un vulnus all’unitarietà e all’efficienza del nostro sistema di sicurezza». Come possa averla presa la Lega è scontato. E non fa notizia nemmeno la battuta di ieri in Transatlantico: «Vuoi vedere che Pisanu s’è messo a fare concorrenza a Fini per la leadership del Pd?».

venerdì 27 febbraio 2009

Le donne del Pd

Chissà se ancor prima, queste due signore hanno denunciato gli extracomunitari che hanno stuprato le donne italiane e le ragazzine, o hanno denunciato i pedofili scoperti in questi ultimi giorni. In entrambi i casi, anche i pedofili e gli stupratori dichiarano il disprezzo della vita (altrui) e della dignità delle donne. E sono episodi molto molto più gravi di quattro parole.

Pd: "Berlusconi offende le donne, lo denunciamo alla Corte europea"

ROMA - "Denunciamo Silvio Berlusconi, in qualità di presidente del Consiglio dei ministri italiano, alla Corte europea di Strasburgo per violazione degli art. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo a causa delle continue e ripetute dichiarazioni di disprezzo sulla vita e la dignità delle donne".
Lo annunciano Anna Paola Concia deputata del Pd e Donata Gottardi, parlamentare europea del Pd-Pse, sottolineando che "in Italia, a causa del Lodo Alfano, non è possibile denunciare il presidente del Consiglio alla magistratura". Le due parlamentari ricordano alcune delle dichiarazioni del premier che sono alla base della loro decisione, ultima delle quali quella di Berlusconi a Sarkozy: "14 marzo 2008, campagna elettorale: Berlusconi consiglia ad una giovane precaria di sposare un miliardario per risolvere i suoi problemi economici". 25 gennaio 2009, comizio elettorale a Sassari: Berlusconi teorizza che "per evitare gli stupri servirebbe un militare per ogni bella donna". 6 febbario 2009, l'inquietante dichiarazione su Eluana Englaro. 26 febbraio 2009, incontro internazionale con Sarkozy: Berlusconi, rivolgendosi al Presidente francese, lo avverte: "Io ti ho dato la tua donna'".

Suicidio

La rapina avvenne nel 2003. Poi una lunga odissea giudiziaria. Uccise due ladri, orefice si toglie la vita. Gioielliere romano s'impicca in casa. Era stato accusato di recente di duplice omicidio volontario

ROMA - Un orefice romano di 65 anni, Massimo Mastrolorenzi, si è tolto la vita nella sua abitazione di via Casalotti, alla periferia di Roma. L'uomo nel maggio del 2003 uccise due rapinatori che stavano tentando il colpo nella sua gioielliera nel quartiere Testaccio. Il 20 febbraio scorso il pm riformulò l'accusa nei confronti del gioielliere: non più eccesso di legittima difesa ma duplice omicidio volontario. E con questa accusa Mastrolorenzi sarebbe dovuto comparire davanti al gup.

IL CASO GIUDIZIARIO - Il 9 maggio del 2003, picchiato e legato da due rapinatori che avevano fatto irruzione nella sua gioielleria in via Aldo Manuzio, l'uomo riuscì a liberarsi e sparò ai due rapinatori: cinque colpi di pistola, che uccisero i due banditi, Giampaolo Giampaoli e Roberto Marai. Il pm di Roma Erminio Amelio, una settimana fa, aveva deciso di contestare a Mastrolorenzi il reato più grave, invece che l'eccesso colposo di legittima difesa, seguendo le indicazioni del giudice del tribunale, Roberto Ranalli, che il 5 gennaio scorso aveva deciso di restituire le carte alla procura. Per l'ipotesi più lieve il pm Amelio, alla fine della sua requisitoria, aveva già sollecitato la condanna di Mastrolorenzi a otto anni di reclusione, senza concessione delle attenuanti generiche. Il procedimento per l'uccisione dei due rapinatori ha avuto un iter complesso: Mastrolorenzi, prima di essere rinviato a giudizio per eccesso di colposo di legittima difesa il 20 ottobre del 2006, era stato prosciolto, l'11 marzo del 2005, dal gup Giorgio Maria Rossi che aveva ritenuto che l'imputato avesse agito per legittima difesa. La sentenza era stata annullata successivamente dalla quarta Corte d'appello per vizi di forma e il procedimento era tornato, quindi, al vaglio del giudice di primo grado. Il gioielliere, che non ha mai passato un giorno in carcere, era anche stato coinvolto in una seconda vicenda giudiziaria conclusa con una condanna a otto mesi di reclusione e 400 euro di multa per porto e detenzione di armi: i carabinieri lo bloccarono in evidente stato confusionale mentre girava per il quartiere Testaccio a bordo di uno scooter portandosi appresso tre pistole regolarmente denunciate.

Qualche pensiero qui.

Immigrazione

Ricordando che Pisanu fu quello che costituì la consulta islamica alla faccia di tutte le altre religioni che circolano in italia. Mi chiedo cosa ci stia a fare ancora in parlamento, che vada a fare beneficienza tra i migranti. Ronde: in america esistono da almeno 30 anni i guardian angels armati di telefonino e addestrati per qualsiasi evenienza, in italia, le ronde sono più spesso usate dai comuni di centrosinistra, a Milano ci sono i City Angels e non sono dei dilettanti. Tassa sul permesso di soggiorno: esiste in tutto il mondo, la più cara in europa è quella Irlandese e costa 1200 euro. Rumeni: la romania invia in italia la maggior parte dei propri delinquenti. Flussi migratori: in italia non c'è più posto e il lavoro è in calo quindi non si capisce perchè bisogna far entrare a forza altri "migranti" se non per delinquere. Scuole: è giusto limitare i posti in classe nelle scuole altrimenti gli alunni non imparerebbero niente. L'immigrazione clandestina è reato in tutto il mondo. Anche Pisanu, o è scemo o ci fa.

Intervista su Metropoli in edicola domenica all'ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu. "Su ronde e immigrati il governo sta sbagliando". "L'equazione straniero-criminale è un'infamia. I medici non denunceranno, ma agiranno secondo coscienza" di Vladimiro Polchi

ROMA - "Basta con le "grida" manzoniane
". Giuseppe Pisanu (Pdl) presidente dell'Antimafia ed ex ministro dell'Interno, è un politico di lungo corso, abituato a parlare fuori dal coro. "L'immigrazione va governata con umanità e intelligenza politica - avverte - perché l'Italia avrà ancora bisogno di 300mila immigrati all'anno". Per questo, alcune scelte dell'attuale governo non lo convincono e lo spiega nel corso di una lunga intervista rilasciata a Metropoli . Le ronde? "Un vulnus all'efficienza del nostro sistema di sicurezza". La tassa sui permessi di soggiorno? "Fonte di risentimento e rancore". Il reato d'immigrazione clandestina? "Inutile".

Presidente, dal mondo cattolico si levano voci critiche contro le politiche migratorie del governo. "Vedo una certa confusione di idee e propositi. Una cosa è il contrasto all'immigrazione clandestina, altra cosa ben più importante è il governo complessivo dei flussi migratori. L'immigrazione clandestina, infatti, è la patologia del fenomeno e va combattuta, mentre l'immigrazione è un processo vitale per il futuro del nostro Paese e va governata con umanità e intelligenza politica".

La delinquenza romena è un problema e finisce sempre più spesso in prima pagina. Cosa fare per evitare il diffondersi dell'equazione immigrato-criminale? "La criminalità romena si fronteggia con una prevenzione oculata e con una repressione energica, basata soprattutto sulla severità e la certezza della pena. La prevenzione deve procedere sul doppio binario degli accordi bilaterali con la Romania e dell'inserimento degli immigrati nel nostro tessuto economico e sociale. L'equazione immigrato-delinquente è una infamia. Però è vero che l'immigrazione clandestina è fonte di illegalità e di comportamenti criminali, che devono essere stroncati all'origine. Penso comunque che lo strumento più efficace per combattere l'immigrazione clandestina sia il governo sapiente dell'immigrazione regolare".

E' giusto far sì che i medici possano denunciare gli irregolari che ricorrono alle cure? "No. Se la norma venisse applicata indiscriminatamente si creerebbero problemi serissimi alla salute pubblica e al sistema sanitario nazionale. Ma io sono sicuro che i medici italiani rimetteranno le cose a posto operando, come sempre, secondo scienza e coscienza".

Il reato d'immigrazione clandestina sarà un valido deterrente ai flussi migratori? "Temo di no, perché la fame, la disperazione e anche la speranza che spingono tanti migranti non conoscono ostacoli".

Che senso ha prevedere un ulteriore contributo sul rinnovo dei permessi di soggiorno, che già attualmente costa oltre 72 euro? "Mi chiedo anch'io che senso abbia, per un governo come questo, tassare con cattiveria proprio i più poveri e i più indifesi. Se si tratta di una misura di dissuasione, si rivelerà ben presto velleitaria e temo che servirà solo a far crescere risentimento e rancore. Attenzione, perché la collera degli immigrati sta montando e ci sono gruppi estremisti pronti a cavalcarla".

La Lega Nord chiede una moratoria sui flussi d'ingresso degli extracomunitari per due anni. Non crede che il sistema Italia abbia ancora bisogno di manodopera immigrata? "La recessione in atto giustifica, almeno in parte, la moratoria, ma non cambia i termini del problema. Perché se vogliamo mantenere invariato il numero degli italiani in età lavorativa per i prossimi venti anni, avremo bisogno mediamente di 300mila immigrati all'anno. Piaccia o no, la prosperità futura del nostro Paese dipenderà dalla sua capacità di attrarre forza-lavoro dall'estero e di integrarla in maniera adeguata. Su questa base dobbiamo ridefinire i nostri obiettivi di sviluppo, sicurezza e coesione sociale, dandoci così una politica per l'immigrazione in linea con le esigenze del Paese per i prossimi decenni. Altro che misure di dissuasione e "grida" manzoniane!".

La macchina delle espulsioni è lenta e costosa. In quest'ottica è utile aumentare il numero dei Cie e portare da 2 a 6 mesi il tempo massimo di trattenimento? "Cie o non Cie, mese più mese meno, i meccanismi di espulsione si inceppano in tutti i Paesi democratici che rispettano i diritti dell'uomo e le Convenzioni Internazionali. La soluzione del problema è altrove, in una politica di governo complessivo delle migrazioni".

La Lega Nord ha chiesto al ministero dell'Istruzione che venga posto un tetto del 20% alla presenza di alunni stranieri per classe. Cosa ne pensa? "Il ministro Gelmini ha impostato correttamente il problema, scongiurando i rischi di discriminazione e xenofobia".

Si fa sempre più strada un'idea di giustizia fai da te. Dopo i militari in città, arrivano le ronde di volontari. Come le giudica? "Dovrebbero essere gruppi di volontariato, ma spesso si presentano come milizie di partito. Oggettivamente costituiscono un vulnus all'unitarietà e all'efficienza del nostro sistema di sicurezza. Questo sistema, infatti, è basato su un unico codice penale, su un unico codice di procedura penale e su un'unica autorità nazionale di pubblica sicurezza rappresentata dal ministro dell'Interno, il quale opera attraverso i vertici delle forze di polizia ed i prefetti. Quando si trasferiscono competenze e funzioni anche minori dai prefetti ai sindaci, dalle forze dell'ordine a soggetti privati, si attenta, che lo si voglia o no, all'unità del sistema e si gettano le basi di ulteriori confusioni e disordine. Naturalmente il sistema non è immutabile, ma se si vuole decentrarlo o disaggregarlo bisogna procedere apertamente con misure organiche e costituzionalmente corrette".

Troppo pochi ancora...

Immigrazione: Viminale, 190 rimpatriati da Lampedusa

ROMA
- Questa settimana sono stati rimpatriati 57 immigrati irregolari, la prossima settimana tocchera' ad altri 80 tunisini. Si tratta dei dati diffusi dal Viminale sui rimpatri dei migranti arrivati a Lampedusa. In totale, secondo il ministero dell'Interno, nel mese di febbraio sono stati rimpatriati 190 stranieri irregolari.

L'esercito delle 12 scimmie

La prima riunione della nuova segreteria e la battaglia per le elezioni. I big nelle 12 nuove aree tematiche e Colaninno responsabile per la finanza. Pd, via ai responsabili dei settori Franceschini: "Programma dei 100 giorni"

ROMA
- Alcune idee forza - a partire dalla crisi economica e dal lavoro - per i prossimi cento giorni, quelli che mancano alle elezioni amministrative ed europee. E' l'impegno che Dario Franceschini ha chiesto alla nuova segreteria del Pd, riunita oggi dopo essere stata nominata a tempo di record. Con un avvertimento: "Dall'esperienza della segreteria di Veltroni - ha commentato all'uscita Sergio Chiamparino - abbiamo imparato dove abbiamo sbagliato: abbiamo prolungato la sindrome del governo Prodi, e su ogni questione ci sono state sempre posizioni divergenti". Insomma, la sfida del nuovo segretario - che oggi ha preso anche il posto di Walter Veltroni sui banchi della Camera - è iniziata. E, con la stessa velocità della segreteria, ha annunciato la nomina dei capi dipartimento: dentro buona parte dei big, al di là delle appartenenze, e l'annuncio di "un incarico importante per Matteo Colaninno". Franceschini ha spiegato che il governo ombra "è stato azzerato" e che sono stati scelti 12 responsabili di altrettante aree tematiche. Un netto taglio, quindi, rispetto ai 25 ministri ombra. I nuovi responsabili dei dipartimenti sono: Pier Luigi Bersani all'Economia; Piero Fassino agli Esteri; Beppe Fioroni all'Educazione; Linda Lanzillotta alla Pubblica Amministrazione; Enrico Letta al Welfare; Giovanna Melandri alla Cultura; Marco Minniti alla Sicurezza; Margherita Miotto alle Politiche Regionali; Colomba Mongiello all'Agricoltura; Roberta Pinotti alla Difesa; Ermete Realacci all'Ambiente e Lanfranco Tenaglia alla Giustizia. "Una scelta - dice Franceschini - basata su criteri di competenza, esperienza, autorevolezza. E con la caratteristica di essere parlamentari - conclude - perchè il lavoro sui contenuti ha poi un riscontro in Parlamento". Per Matteo Colaninno poi la designazione a "responsabile per i mercati finanziari, il credito e la finanza alle imprese".

Ricchezza

Se la ricchezza diventa una colpa di Nicola Porro

Il presidente degli Stati Uniti, Obama, ieri ha annunciato il suo piano economico e fiscale. Una Finanziaria che vale, tanto per dare una dimensione, la ricchezza prodotta in Italia in un anno. Ne parliamo all’interno del Giornale. Ma soprattutto ha lanciato un messaggio che certamente non resterà confinato negli Usa. Gli scarsi investimenti, ha detto, nella salute, nell’ambiente, nell’educazione sono dovuti alle forti riduzioni fiscali del passato. In particolare per la fascia più ricca della popolazione. Ha ribaltato il sogno americano degli ultimi trent’anni. La ricchezza deve essere tassata più di quanto sia avvenuto sino a oggi. Le fasce più abbienti della popolazione, le grandi multinazionali devono pagare un prezzo più alto alla società. Il messaggio obamiano prova a scardinare un principio fondante della storia americana: la ricchezza può diventare ora una colpa. La crisi in cui viviamo diventa così figlia della disuguaglianza, della scorretta distribuzione del reddito, dall’incapacità del mercato di avere atteggiamenti virtuosi. Ne discende la necessità per lo Stato di riprendere in mano le redini dell’economia e della società. Più dei singoli interventi e dei progetti di spesa annunciati ieri, è questo, banalmente, il punto fondamentale della rivoluzione obamiana: c’è un colpevole di questa crisi. È la ricchezza. È difficile oggi mettersi dalla parte dei ricchi banchieri con stock option milionarie. È impossibile solidarizzare con i manager del settore automobilistico che si spostano con i jet privati. Ma siamo sicuri che il pianto dei ricchi sia la soluzione ai nostri problemi? Siamo convinti che il mito americano per il quale la ricchezza è lo specchio del buon successo si possa liquidare con una finanziaria? Ha senso credere che una redistribuzione per via fiscale sia la soluzione finale? Il rischio del messaggio obamiano è tutto qua. Un Presidente che si trova ad affrontare una grande recessione trova un capro espiatorio. Individua, con la complicità dell’evidenza, una classe sociale da tenere a bada. La preoccupazione non riguarda tanto e solo gli Stati Uniti, patria del sogno meritocratico. Riguarda piuttosto l’altra parte della luna. La parte in ombra, quella che non ha mai dato un’adesione completa ai principi liberali di oltreoceano. La nostra parte. Quella del vecchio Continente. Che ha fatto i conti per secoli con le proprie ipocrisie pauperiste ed egualitarie. I conti con le nostre pulsioni storiche; che hanno preferito nascondere il frutto del successo quando esso si esprimeva con gli alti gradi del termometro della ricchezza. Il rischio, grande, enorme, che corriamo, è compiacerci dell’ultima grande ed efficace comunicazione obamiana. Il rischio di approfittare dell’America per recuperare quell’atteggiamento redistributivo che ha impantanato le nostre società, rendendoci tutti un po’ più uguali, ma anche tutti un po’ meno liberi.

Islam

Neppure l’amore può cambiare un musulmano di Ida Magli

C'è un tremendo equivoco di fondo nell'innamoramento che spinge una donna occidentale, e in particolare italiana, a unire la propria vita a quella di un uomo musulmano: lo ritiene suo contemporaneo. Diverso il fisico, certo; diverso lo sguardo, diversa la lingua, diverso il cibo: tutte cose che sembrano aggiungere fascino, invece che dividere. Anche i modi nel trattare le donne, in fondo, per quanto più autoritari, appaiono rassicuranti e protettivi in confronto a quelli occidentali. Ma pur sempre contemporanei. L'uomo musulmano, invece, appartiene al mondo dell'Antico Testamento, quello di 3000 anni fa, di Abramo e di Mosè, in quanto Maometto ha fondato il Corano sui primi cinque libri della Bibbia. Si tratta di un abisso in confronto al nostro mondo, non soltanto per tutti gli avvenimenti che hanno segnato il divenire del tempo e della storia in Occidente, ma soprattutto per le profondissime differenze di diritto e di costume nei riguardi delle donne. La società musulmana è tipicamente patriarcale. L'uomo è capo e padrone delle mogli e dei figli che gli devono obbedienza in tutto. La legge religiosa è l'unica legge in campo penale e civile. Vige la giustizia del taglione, con la mutilazione delle membra a seconda del tipo di reato e la condanna a morte per lapidazione per i crimini più gravi compreso l'adulterio. Insomma, è indispensabile capire che l'innamoramento non può cambiare nulla a una realtà di questo genere e che sono le donne a ingannarsi quando lo sperano e vi si affidano. Purtroppo i politici avallano spesso con le loro affermazioni l'idea che gli immigrati possano «integrarsi» nella nostra civiltà e che comunque debbano rispettare le nostre leggi. Si tratta di belle affermazioni di principio che però non fanno i conti con i sentimenti culturali profondi, anche non del tutto consapevoli, e soprattutto non fanno i conti con la diversità di adattamento fra immigrati di sesso femminile e immigrati di sesso maschile. È chiaro che le donne trovano soltanto vantaggi nella libertà, nel rispetto, nell'uguaglianza. Ma per i maschi è tutta un'altra cosa in quanto debbono rinunciare a diritti e costumi che davano loro il potere nella famiglia e il possesso totale sulla persona della moglie e su quella dei figli. Non si pensi che l'affetto possa influire su questi diritti: gli affetti sono plasmati dalle culture.Messo in chiaro questo presupposto, rimangono per noi in tutta la loro ferocia i delitti di questi giorni. È indispensabile fermare l'immigrazione musulmana. È indispensabile che il governo emani delle norme restrittive sui matrimoni o sulle convivenze miste e che, quando nascano dei figli, la tutela venga sorvegliata dallo Stato. Ma soprattutto è indispensabile eliminare il principio, adottato insieme al «politicamente corretto», di non giudicare le religioni. L'islamismo è una «religione-cultura» totale ed è assurdo non poterne discutere come si fa per qualsiasi altra cultura. Se vogliamo avere rapporti più sereni anche con gli Stati islamici e aiutare almeno l'Africa ad uscire dalla condizione di arretratezza psicologica e sociale, oltre che dalla povertà, in cui si trova, abbiamo il dovere di parlare delle norme coraniche, della Sura che stabilisce l'inferiorità della donna, della necessità di assumere forme di diritto penale e civile adeguate al mondo moderno.

Le mie nozze da incubo tra insulti e bugie. I matrimoni misti che falliscono. Donne e figli oggetto e integralismo islamico.

giovedì 26 febbraio 2009

Qualcosa di cui...

... sparlare. Considerazioni sparse su globalizzazione e nuovo ordine mondiale.

Magistratura

... l'uomo aveva precedenti penali, era violento con la sua ex, l'aveva spesso minacciata ed aveva decine di denunce... il sindaco: "fatto imprevedibile". Può darsi; "l'uomo era nullafacente e faceva spesso uso di alcool, aveva già manifestato più volte intenzioni minacciose per portare in egitto il figlio". Qui.

Sugli scioperi

Scioperi, il Garante: "Servono regole". Cgil minaccia: "Il governo stia attento"

Roma - Cambiare la normativa sul diritto di sciopero. Il governo ha fissato il prossimo traguardo e discuterà già domani in consiglio dei ministri si discuterà della bozza messa a punto dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Pareri positivi dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, e, quel che è più importante, dal presidente della commissione di vigilanza sugli scioperi, Antonio Martone. Stop immediato, invece, da parte di Guglielmo Epifani, leader della Cgil.

La bozza Sacconi. "Entro un anno potrebbero già essere a regime le nuove regole per la proclamazione degli scioperi nel settore dei trasporti". Ad auspicarlo è il ministro Sacconi che si appresta a presentare il testo del ddl delega al governo che potrebbe iniziare il suo iter parlamentare a stretto giro di posta. "Entro un anno, se tutto andrà come deve andare, le nuove regole saranno a regime. Spero che il parlamento acceleri l’iter sulla base anche di una attenta valutazione delle esigenze delle parti sociali".

Fini apre. "È sempre più urgente avviare una riflessione sulla tenuta della vigente disciplina di settore per individuare lacune e prospettare ipotesi di adeguamento". Così il presidente della Camera interviene a proposito della riforma. Fini ha spiegato che: "Non si tratta ovviamente di soffocare il diritto di sciopero, ma di armonizzarlo con l’esercizio degli altri diritti di tutti i cittadini in un opera di bilanciamento che deve tenere conto dell’evoluzione sociale". Per Fini, infatti assumono sempre più rilevanza azioni di sciopero "di ampie dimensioni" per soddisfare pretese o che non rientrano nella disponibilità del datore di lavoro o frutto di astensioni spontanee "per reagire al mancato pagamento delle retribuzioni": due indici di un quadro "che tende a diventare sempre più critico" e dentro il quale trova difficoltà lo stesso sindacato. "La sfida che la politica deve saper affrontare consiste nel far progredire il nostro Paese sul piano dell’efficienza della qualità dei servizi assicurando - ha concluso Fini -, forme sempre più avanzate di effettivo godimento dei diritti costituzionali nel loro contenuto essenziale".

Il Garante d'accordo con Sacconi. Nel biennio 2007-08 sono arrivate alla commissione oltre 4mila dichiarazioni di sciopero (2.017 nel 2007 e 2.195 nel 2008) mentre gli scioperi effettivamente realizzati sono stati nel complesso 2.625, oltre la metà dei proclamati (1.286 nel 2007 e 1.339 nel 2008). Allo sciopero generale in particolare "si è fatto ricorso in misura come mai avvenuto in precedenza". Il presidente della commissione Antonio Martone di Vigilanza sugli scioperi ha citato gli scioperi dei lavoratori dell'Alitalia per sottolineare le "anomalie" e "l’inadeguatezza" della disciplina vigente. Il 30 novembre 2007 - ha ricordato Martone - sono stati soppressi 220 voli nonostante l’assenza di adesione allo sciopero dei lavoratori in turno. "Risultavano invece assenti per altri motivi - dice Martone - 263 lavoratori su 790 in turno e 749 assistenti di volo su 1.750 unità". Gli altri numeri parlano da soli. Nel 2008 sono stati effettuati 1.339 scioperi tra nazionali e locali, il 39% dei quali nei trasporti. La crescita complessiva rispetto ai 1.286 del 2007 è stata del 4%. Gli stop del lavoro con rilevanza nazionale sono stati 201, 77 dei quali nei trasporti con una crescita significativa rispetto ai 165 del 2007. Hanno scioperato soprattutto i lavoratori del trasporto aereo con 130 fermate nel complesso e 57 di rilevanza nazionale (quasi una ogni sei giorni) in forte crescita rispetto alle 39 del 2007 soprattutto a causa della vicenda Alitalia.

Lo stop della Cgil. Altolà della Cgil al governo sulla riforma del diritto di sciopero. "Stia attento - dice il leader, Guglielmo Epifani - perché in materia di libertà del diritto di sciopero costituzionalmente garantito bisogna procedere con molta attenzione. Se c’è qualcosa da aggiustare rispetto a una normativa già rigida eventualmente lo si può vedere - aggiunge -. Ma se si vogliono introdurre forzature che limitano poteri e prerogative è altra questione. Se intende, partendo dal problema del rispetto dei diritti degli utenti, ridurre una libertà fondamentale, la Cgil si opporrà ora e dopo". Fa esempi concreti il leader della Cgil: "Non si può decidere con il 51% uno sciopero perché così l’altro 49% non può mai scioperare - spiega -, lo sciopero virtuale non può essere mai sostitutivo ma aggiuntivo. Il fatto poi di dichiarare prima individualmente la propria adesione può essere un modo di rendere inutile lo sciopero. Attorno ai questi nodi ruoterà il confronto se il governo intende aprirlo che su questo terreno deve stare molto attento".

Omicidi

Fahd Bouichou fermato in territorio sloveno, vicino al confine. A tradirlo una chiamata alla sorella, in Marocco: il telefono era controllato. Madre e figlia uccise nel Trevigiano, l'ex della donna fermato in Slovenia

TREVISO
- E' nelle mani della polizia slovena Fahd Bouichou, il cittadino marocchino ricercato per l'omicidio della compagna, Elisabetta Leder, e della loro figlioletta, a Castagnole di Paese, nel Trevigiano. E' stato arrestato vicino al confine ma in territorio sloveno. A tradirlo sarebbe stata una telefonata. L'uomo è stato bloccato nella zona di Cosina, nei pressi del confine italo-sloveno di Pesek, sull'altopiano carsico, a pochi chilometri da Trieste. Ora si trova presso il comando della Polizia slovena a Cosina, dove è arrivato anche il dirigente della squadra mobile della Questura di Trieste, Mario Bo, che sta analizzando con i colleghi sloveni lo status giuridico dell'uomo e le possibilità di un suo rientro in Italia. All'arresto si è arrivati dopo che nel tardo pomeriggio di ieri il giovane, da una cabina telefonica della stazione di Trieste, aveva chiamato la sorella in Marocco. Il telefono della donna, come quello di altri parenti, era stato messo sotto controllo. A quel punto il questore di Treviso, Carmine Damiano, ha inviato immediatamente a Trieste agenti della Questura di Treviso che insieme ad altre forze di polizia hanno stretto il cerchio interno alla zona del confine. Gli investigatori, in precedenza, avevano già individuato l'automobile con cui Bouichou era fuggito, la Skoda di Elisabetta Leder, abbandonata a Jesolo, in provincia di Venezia. L'uomo, si è appreso sempre dal questore, aveva con sé due cellulari, uno dei quali appartenente alla vittima, che però aveva spento subito dopo essere fuggito proprio per evitare di essere intercettato dalle forze dell'ordine. Il questore Damiano si è detto convinto che a carico di Bouichou vi sia un quadro indiziario "molto grave", che lo fa ritenere "l'unico responsabile del duplice delitto".

Ipotesi.

I referendum

Di Pietro: referendum sulla legge che non c'è di Gianni Pennacchi

Roma - È un riflesso condizionato ormai, meglio dei cagnolini di Pavlov che scodinzolavano con l’acquolina in bocca non più alla vista dell’osso, ma al solo trillo di un campanello. Così Tonino Di Pietro, che ad ogni legge o leggina che il governo presenta o soltanto annuncia, reagisce immediatamente con la minaccia di un referendum abrogativo. S’è scoperto referendario, plebiscitario e antiparlamentare, il leader di Idv: la logica democratica, infatti, vorrebbe che le leggi siano modificate o anche stravolte in Parlamento, l’appello al popolo essendo evento eccezionale. Ma Tonino è politico di fiuto e di istinto, non va tanto per il sottile. Ruba lo spazio e la scena al Pd, figurarsi se si fa scrupolo di scippar la storia e la gloria anche ai radicali. Qualunque cosa faccia o dica, ormai, in piazza, in tv e in conferenza stampa, finisce sempre accusando Berlusconi di mire dittatoriali, gli alleati democrat di pavidità, e promettendo sempre nuovi referendum. A «grappoli».

L’ultimo «grappolo» lo ha annunciato mentre protestava contro il nuovo cda della Rai, referendum che verteranno «soprattutto sui temi dell’economia e in particolare ci occuperemo di federalismo fiscale, finanziamento pubblico ai partiti, testamento biologico e sicurezza». Anche a voi resta incomprensibile quanto ci azzecchi l’economia con la sicurezza e ancor più col testamento biologico? Provvedimento quest’ultimo ancora ben lontano dal traguardo: in Parlamento stan discutendo, nessuno ancora sa prevedere se e quale legge ne uscirà. Ma Di Pietro lancia il referendum a prescindere. E passi per il finanziamento pubblico ai partiti, per il quale la legge c’è già. Ma un referendum sul federalismo fiscale? Non lo sa Tonino, che la Costituzione vieta esplicitamente i referendum abrogativi in materia fiscale? Sì che lo sa, ma tutto fa brodo e infiamma le piazze: i luoghi della politica che ormai Di Pietro predilige. Sfidando ogni principio di coerenza e di logica, perché occorre una dose massiccia di abbronzatura per accusare il governo di fascismo e peronismo, dire che «Berlusconi è come Saddam» dunque «Idv sta al fronte, combatte per la democrazia», e poi andare sotto la Rai additando al pubblico ludibrio le facce dei sette consiglieri appena nominati. Volti per lo più sconosciuti anche agli addetti ai lavori: era un bisogno «democratico» di Idv, esibirne le gigantografie come fossero ballerine o malfattori? Già che c’erano, potevano aggiungerne l’indirizzo di casa, a beneficio di più accesi giustizieri.

E va bene che Alessio Gorla è l’organizzatore della discesa in campo di Berlusconi, e che Giorgio Van Straten è il compagno d’ombrellone di Veltroni, ma chi li aveva mai visti in faccia? Pure Nino Rizzo Nervo, «veterano» confermato in quota postdemocristiana del Pd, giornalista siciliano amico di Sergio Mattarella e per questo fiduciario del Ppi in Rai, a chi interessa saperlo riconoscere? Forse era più civile proporre anche un referendum per abrogare la legge che regola le nomine del vertice Rai. Ma forse anche Di Pietro si rende conto che sta esagerando coi referendum. Prima del «grappolo» di carnevale, infatti, s’era già sparato il «grappolo» dell’estate, il 22 giugno scorso, dove già compariva quello per abolire il finanziamento dei partiti, e in più l’abolizione del finanziamento ai giornali di partito; oltre al preveggente referendum sulla legge - che ancora è in gestazione - per la regolamentazione delle intercettazioni giudiziarie, quello contro la sospensione dei processi a carico delle più alte cariche dello Stato (il cosiddetto Lodo Alfano, o Schifani, o Maccanico), e quello per spedire Rete4 sul satellite. Arduo fare referendum per cancellare una legge che non c’è.

Perché allora non promuovere almeno quello sui rimborsi elettorali, che scorrono da lustri e che lui promette da otto mesi? Forse perché anche Idv non vive di sola aria: tant’è che ha già precisato come il referendum riguarderà soltanto la norma posteriore che consente il raddoppio dei rimborsi negli anni successivi all’eventuale scioglimento anticipato. Chissà come saranno felici Prc, Sinistra democratica, Verdi e Pdci, che Tonino corteggia e dei quali ha bisogno anche per raccogliere le firme referendarie. Per farsi perdonare però, ha già perso per strada il referendum che farebbe chiudere ai compagni giornali e giornaletti. La realtà, e nonostante il gran parlare di referendum, è che sinora Di Pietro ne ha presentato uno soltanto: quello sul Lodo Alfano, consegnando «un milione di firme» dice, alla Cassazione il 7 gennaio scorso. Per tutti gli altri non ha ancora nemmeno formulato il quesito. Forse aspetta le prossime manifestazioni della Cgil - a proposito, che fine ha fatto il referendum contro la riforma Gelmini? - e delle formazioni comuniste. Per cannibalizzare - politicamente, s’intende - anche loro, come sta già facendo col Pd.

Vecchie cose

Al Pd di Franceschini non resta che Pecoraro di Massimo De Manzoni

Milano - Moriranno democristiani. Ma non subito. Per prolungare l’agonia, vogliono infilarsi in una specie di macchina del tempo con la quale percorreranno a ritroso tutte le tappe del loro recente calvario. La prima è l’Unione. Sì, avete capito bene: quell’accozzaglia informe che andava dal no global Francesco Caruso alla devota Paola Binetti e che hanno cercato di spacciarci per una maggioranza politica con la quale si poteva governare uno dei Paesi più industrializzati del mondo. È finita come sappiamo, dopo sgradevoli vicissitudini per loro e soprattutto per gli italiani. Ma ora ci riprovano. In quel laboratorio di Frankenstein che è il Partito Democratico a nessuno pare sia venuta un’idea meno bislacca per mascherare il disastro certificato da impietosi sondaggi. Ormai il momento di inabissarsi sotto quota 20 per cento è vicinissimo e così, riecco l’Unione, nome quanto mai azzeccato per la compagine più disarticolata della storia.

Ricordate? La Quercia, la Margherita, i cespugli, i veti di Rifondazione, le tasse di Visco, l’elogio delle tasse di Padoa-Schioppa, Mastella contro Di Pietro, Di Pietro contro tutti. Se c’è una cosa giusta che aveva fatto Veltroni, era stato dire basta a questa marmellata, sfoltire i cespugli, semplificare il quadro politico, dare una decisa spinta verso il bipolarismo. Anzi, il suo vero limite è stato di non aver saputo andare fino in fondo, acconciandosi a quell’alleanza con Di Pietro che è stata la causa prima (anche se certamente non unica) del suo fallimento. E ora Dario Franceschini che fa? Appena indossati gli scomodi panni che furono di Uòlter, impugna la ramazza e, assieme al governo ombra e ad altra paccottiglia, getta nel cassonetto anche l’unica intuizione valida. Abbiamo scherzato, riportiamo indietro l’orologio della storia.

«Si può dire che lavoriamo per un nuovo centrosinistra, ma senza impiccarci alle formule», ha ammesso un imbarazzato Roberto Di Giovan Paolo, fedelissimo del nuovo segretario Pd, parlando col Riformista. «Ci aspettiamo segnali di amore dalle forze a sinistra del Pd», ha aggiunto ammiccando in particolare a socialisti, verdi, Sinistra democratica e vendoliani. Tradotto: «Noi stiamo affogando e voi siete già sott’acqua. Fateci salire sulle vostre spalle che tentiamo di respirare almeno fino alle prossime elezioni». E i «segnali d’amore» sono arrivati subito. Da Riccardo Nencini a Grazia Francescato, da Claudio Fava a Franco Giordano, tutti hanno dato la loro disponibilità a rinverdire i fasti di quella meravigliosa stagione in cui la Fabbrica del programma lavorava a pieno ritmo per produrre un volume di centinaia di pagine riassumibile in una sola frase: «Siamo contro Berlusconi. Dateci il voto e poi ognun per sé e Dio per tutti».

Ma sì, torniamo all’Unione. Ai bei tempi in cui il titolare del Tesoro ci dava dei bamboccioni mentre il suo vice studiava di notte come vuotarci le tasche. A quell’epoca in cui i ministri andavano in piazza con il megafono per protestare contro il loro governo. A quei giorni felici in cui Napoli affondava nell’immondizia ma guadagnava le prime pagine sui giornali di tutto il mondo. A proposito: tirate subito fuori Pecoraro Scanio. Dov’è finito il Sòla che ride anche durante i funerali? L’ambientalista che non distingue un toro da una mucca? Lo scienziato che ha scoperto che in Italia la temperatura è aumentata quattro volte più che nel resto del mondo? Lo rivorrete di sicuro. E con lui Giovanna Melandri, la ministra dello Sport che non capiva un accidenti di sport e andava a ballare a Malindi da Briatore negando di aver mai conosciuto Briatore.

E Agnoletto? Potete forse fare a meno di Agnoletto, il nemico dei poliziotti e delle opere pubbliche, di qualsiasi opera pubblica? Chiaro che no, non potete. Figuratevi: a noi manca un pochino anche Alessandro Bianchi, il dandy dalla bianca chioma e dalla candida barba che lasciava che i sindacati bloccassero l’Italia mentre lui si sdilinquiva per quel sincero democratico di Fidel Castro. Certo, ci rendiamo conto che non si può avere tutto. Anche perché la Livia Turco e la Rosy Bindi, per dire, da quei volponi che siete non ve le siete mai lasciate scappare. Ma vogliamo parlare di Giulio Santagata? Se si rifà l’Unione lui deve esserci senz’altro: studiandolo qualche altro annetto, forse riusciremo a capire anche noi a che cosa serviva.Però allora, scusate, compagni del Pd: perché Franceschini? Perché arrovellarsi ancora sulle primarie: Bersani, Parisi, Renzi, Mister X? Chiamate direttamente Prodi, l’originale. Che almeno un pregio ce l’aveva: un portavoce allampanato e un tantino spregiudicato, con il dono di capire le cose al volo e di metterle in versi. Quel Silvio Sircana che già alla prima riunione del neonato Pd scriveva profeticamente: «Mentre Prodi ci addormenta / Qui si addensa la tormenta / C’è Rutelli un po’ incazzato / E Fassino stralunato / C'è Veltroni gran gattone / Che già pensa all’elezione / Franceschini e Gentiloni / Già preparan trappoloni / In un angolo Lamberto / Pensa male, ne sono certo / In silenzio sta Follini / Forse pensa al suo Casini / Barbi, Soro e Migliavacca / Ma! ...Così finisce in cacca». La più lucida analisi politica sul centrosinistra che si sia letta negli ultimi anni.

Polemiche e ronde

... e quindi i City angels e le altre associazioni che vigilano (da anni) nelle città italiane, sono anticostituzionali, sono associazioni squadriste e... minano lo stato di diritto.

L'allarme di Galan: così la sicurezza finisce nelle mani di dilettanti. Il costituzionalista: norma ambigua, si rischia di tornare allo squadrismo. Ronde con sponsor, è polemica "No ai finanziamenti dei privati" di Vladimiro Polchi

ROMA - Ronde mercenarie, finanziate da privati e sponsorizzate dalle aziende. Il decreto legge anti-stupri cela una falla: la possibilità per i "volontari della sicurezza" di incassare soldi da persone fisiche o giuridiche. Sarebbe la privatizzazione della sicurezza: "Un rischio gravissimo, da evitare a tutti i costi", avverte il presidente del Veneto, Giancarlo Galan. "Un passo verso l'abisso per lo Stato di diritto", tuona il costituzionalista Stefano Merlini. Il decreto legge sulle ronde, pubblicato il 24 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale numero 45, all'articolo 6 prevede che "i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di polizia eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana". Le associazioni dovranno essere iscritte in un apposito elenco tenuto dal Prefetto. Il sindaco dovrà avvalersi "in via prioritaria" delle associazioni composte da personale delle forze dell'ordine in congedo. Poi al comma 5, il decreto aggiunge: le associazioni diverse da quelle composte da personale delle forze dell'ordine in congedo "sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica". Ecco il punto: come si finanzieranno le associazioni tra normali cittadini? Chi provvederà al rimborso delle loro spese? Il decreto legge non esclude che i "volontari per la sicurezza" possano essere pagati da privati, persone fisiche o aziende: se non vorranno rimetterci di tasca propria, potranno farsi sponsorizzare. Nessuno glielo può impedire. Almeno stando alla lettura del testo. Salvo nuove sorprese che potranno arrivare dal decreto d'attuazione del Viminale, da adottare entro 60 giorni. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, tiene infatti duro: nelle ronde verrà attuato "un controllo fortissimo da parte degli organi di polizia su chi vi partecipa". E su chi le finanzia? "Giuridicamente non ci sono dubbi - spiega Stefano Merlini, costituzionalista a Firenze - la norma per come è scritta lascia la possibilità di un finanziamento privato delle ronde. Le associazioni di cittadini, riconosciute dall'articolo 18 della Costituzione, possono infatti chiedere contributi a chicchessia. Le ronde potranno dunque rivolgersi alla Confcommercio, Confesercenti, aziende o negozianti. Nella loro funzione di pubblica utilità potranno chiedere finanziamenti. Il rischio è uno squadrismo pagato da quella parte della popolazione che non si sente sufficientemente protetta. Di più, si può finire per istituzionalizzare un rapporto mafioso: io ti proteggo, tu mi paghi". Merlini è caustico: "Per lo Stato di diritto è il primo passo verso l'abisso". Il rischio non viene sottovalutato neppure dal presidente del Veneto, Giancarlo Galan. "Non vedo nulla di male nel fatto che ci siano persone che invece di andare a giocare a carte all'osteria si interessino degli altri - premette - vedo invece qualche cosa di male nello spontaneismo esasperato, nel fai da te e nell'utilizzo politico di queste ronde. Credo debbano essere coordinate e fatte da persone istruite e che siano soprattutto carabinieri in pensione e alpini, cioè gente che ha una preparazione. Dilettanti allo sbaraglio in questo paese ne abbiamo visti un po' troppi". Poi sul finanziamento privato delle ronde, aggiunge: "È un rischio da evitare a tutti i costi. La privatizzazione delle ronde non sarebbe una cosa giusta. Il fenomeno deve essere istituzionalizzato e controllato dall'amministrazione pubblica".

Appunti

Dal blog di Aribandus.

mercoledì 25 febbraio 2009

Arricchimento culturale

Omicidio-suicidio a san Donato Milanese. Milano, padre egiziano uccide il figlio di 9 anni e si toglie la vita. Tragedia negli uffici Asl dove l'uomo stava incontrando il bambino, da 4 anni affidato alla madre italiana

MILANO
- Tragedia familiare a San Donato Milanese: un uomo di 52 anni di origine egiziana ha accoltellato il figlio di 9 anni, poi ha rivolto l'arma contro di sè e si è suicidato. A fare da teatro all'omicidio-suicidio sono stati gli uffici dell'Asl in via Sergnano a San Donato Milanese, comune alle porte del capoluogo lombardo. Come ogni settimana, il padre ha incontrato il figlio affidato da quattro anni alla madre, un'italiana. Erano gli assistenti dei servizi sociali, che seguivano il caso del minore, a partecipare agli incontri tra padre e figlio. Nessuno, però, era presente nella stanza in cui è avvenuto l'omicidio-suicidio. Pochi minuti prima delle 17 l'uomo, operatore turistico con regolare permesso di soggiorno, ha estratto un coltello che aveva con sè e ha colpito più volte il bambino. Pochi secondi e ha rivolto la stessa arma contro di sè. Inutili i soccorsi dei sanitari del 118. I carabinieri sono al lavoro per ricostruire il movente alla base del gesto. I dissidi familiari, secondo gli inquirenti, sarebbero la spiegazione più plausibile. Il 52enne non ha lasciato nessun biglietto per motivare l'omicidio-suicidio.

Ma chiuderle direttamente?

Frattini: "Controllare le frontiere". Quasi la metà dei ricercati romeni scappa verso l'Italia di Fabrizia B. Maggi

Nella politica sull’immigrazione del governo italiano forse inizia finalmente a delinearsi una politica del bastone e della carota. “L'Italia vuole chiarire una volta per tutte che noi accogliamo e continueremo ad accogliere i romeni che lavorano rispettando la legge, ma al tempo stesso che saremo fermissimi nei confronti di coloro che non rispettano la legge”. Lo ha detto ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini, al suo ingresso al Consiglio degli Esteri a Bruxelles, sottolineando che in tema di espulsioni paesi come la Francia sono stati molto più severi di noi, senza aver mai fatto così tanto rumore come ha fatto il governo italiano. “Solamente nel 2008 Parigi ha espulso oltre 7000 cittadini romeni, l'Italia ne ha espulsi circa 40”, quindi “le rassicurazioni le debbono dare i romeni a noi, che non ci siano più criminali romeni nelle nostre strade”, ha proseguito. Una politica della mano dura che, sottolinea il ministro Frattini, deve anche tenere in conto l’interesse italiano nei confronti di un partner “assolutamente strategico”. A mettere freno all’associazione tra criminalità e immigrazione è stato il presidente della Camera Gianfranco Fini che, nella presentazione del rapporto Cnel sull'integrazione degli immigrati, ha chiesto di “respingere l'odiosa associazione mentale tra criminalità e immigrazione”. Allo stesso tempo, però, ha avvertito che è anche necessario “affermare che la garanzia della sicurezza e della legalità, soprattutto nei quartieri e nei territori più esposti a rischio della violenza, è condizione necessaria affinché i processi di integrazione possano svolgersi liberamente”. Per Fini occorre in primo luogo “ristabilire nei cittadini la percezione, scossa dai troppi casi in cui al delitto non è seguito il castigo, che l'Italia sa garantire il rispetto rigoroso delle regole della convivenza civile”. Ugualmente importante però è trattare l’immigrato come un connazionale, specialmente per i processi di formazione e inserimento al lavoro, perché “l'unica alternativa diventa la sconfitta, l'incapacità della società italiana a guidare un processo”. Ma certi dati ormai iniziano a svelare che i cosiddetti "luoghi comuni" sul rapporto tra criminalità e immigrazione non sono poi così lontani dalla realtà. A dimostrarlo c’è Franco Pittau, coordinatore scientifico del Dossier sull'immigrazione di Caritas Migrantes, unico in Italia ad aver elaborato i dati demografici e le statistiche criminali sui romeni presenti in Italia. Dal suo lavoro emerge che il problema non è il tasso di criminalità, cioè il rapporto tra i denunciati romeni e il numero complessivo di romeni che vivono da noi. Dopo l'entrata della Romania nell’Unione europea il primo gennaio 2007, infatti, sul territorio italiano vivono e lavorano più di un milione di romeni. In proporzione, quindi, alla fine del 2006 i detenuti di questa nazionalità erano solamente 1.650, mentre oggi sono 2.729, con un aumento quasi insignificante dello 0,27 per cento. Il tasso sulla criminalità dei romeni assume un significato molto diverso se si prendono in considerazione i singoli reati: come rileva il ministero dell'Interno, nell'arco dei tre anni tra il 2004 e il 2006, i romeni sono risultati al primo posto tra gli stranieri per gli omicidi volontari, primi per le violenze sessuali, primi per i furti in abitazione, con strappo e con destrezza, primi tra gli estorsori e nelle rapine in esercizi commerciali. Il ministro della Giustizia romeno, Catalin Preodiu, aggiunge un dato allarmante: il 40 per cento dei ricercati con mandato internazionale da Bucarest si trova in Italia. Per di più tra il 2000 e il 2005 le denunce contro i cittadini romeni sono quasi triplicate comportando dei costi finanziari elevatissimi: una ricerca di Andrea De Nicola, docente di Criminologia all'Università di Trento, ha stimato che - se si calcolano i costi conseguenti al reato (pecuniari, biologici e morali), al mancato reddito prodotto in seguito alla violenza subita, ai costi delle attività inquirenti e giudicanti (spese processuali e di detenzione) - le violenze sessuali commesse da stranieri, dove primeggiano i romeni, comportano allo Stato una spesa di 2,7 miliardi di euro l'anno. Per tutte queste ragioni sono iniziate a emergere alcune voci che, dalla comunità romena ormai integrata in Italia, chiedono per primi al governo di adottare una politica più rigorosa anche nel loro interesse. Dmitru Jlnca è romeno, vive a Padova ed è un esponente del Pdl, candidato anche per le elezioni europee nel Partito Popolare. Assicura che per la maggioranza dei romeni, “l’Italia è una seconda patria” e spiega la ragione di questo incremento della criminalità romeno è dovuto alla leggerezza del sistema giurisdizionale: “Purtroppo il passaparola c'è anche tra i criminali: hanno visto che in Italia se commetti un reato esci dal carcere dopo tre giorni e quindi hanno pensato che è conveniente venire qui... Il problema dell'Italia è la certezza della pena. Chi sbaglia deve pagare, punto e basta, e i processi devono essere più veloci”. E aggiunge che “i detenuti, compresi quelli romeni, dovrebbero lavorare in carcere per mantenersi e pagarsi le spese: non è giusto che anche con le mie tasse si mantengano dei criminali”. Gli fa eco un altro famoso romeno, il centrocampista del Siena Paul Codrea, che chiede di non fare di tutta l’erba un fascio: “I criminali, quando vengono catturati, devono rimanere in carcere per evitare che commettano nuovi reati”. Eppure qualcosa si poteva fare per evitare di arrivare a questa “emergenza sicurezza”. Un suggerimento viene da Alessandro Silj del Consiglio italiano per le Scienze sociali Etnobatometro che ricorda come sia possibile avviare iniziative per controllare l’emigrazione. “Alcune associazioni di immigrati romeni vogliono fare un appello al governo di Bucarest affinché prenda iniziative in merito, inclusa addirittura la non concessione del passaporto ai concittadini che in patria sono stati già implicati in atti di violenza”, spiega Silj che la ritiene una misura attuabile perché “la Romania entrerà nell'area Schengen solo nel 2011 e i controlli di frontiera dovrebbero essere tuttora in vigore, non dovrebbe essere impossibile per le autorità filtrare i cittadini che emigrano”. L’iniziativa trova il sostegno anche del ministro Frattini che oggi ha lanciato la proposta di far segnalare alle forze di sicurezza italiane i cittadini romeni che hanno precedenti penali e che intendono entrare in Italia, senza bloccarli alla frontiera italiana, “in uno spirito di piena collaborazione”. Questo meccanismo, previsto da Schengen, dovrebbe entrare in vigore per la Romania nel 2011: “In fondo noi chiediamo soltanto di anticipare questa direttiva Ue di due anni”, ha chiarito il titolare della Farnesina. Sempre nell’ambito della collaborazione di polizia c’è anche la richiesta italiana di aumentare il numero di poliziotti romeni presenti in Italia: “Abbiamo delle richieste - ha spiegato Frattini - e alcune hanno già trovato risposta, come quella per l'invio di un maggiore contingente di operatori di polizia specializzati nel contrasto della criminalità urbana, per lo più intesa come scippi, stupri o rapine”. Altre proposte le lancia lo stesso ministro della Giustizia romeno che, durante una conferenza stampa a Bucarest, ha tenuto a sottolineare che “in nessun caso una condanna italiana non viene riconosciuta in Romania”. Il problema sarebbe imputabile alle “procedure di estradizione, che stanno incontrando difficoltà”. Un chiaro messaggio, quindi, alla magistratura italiana per accelerare le procedure di estradizione. Forse le cose in Italia stanno iniziando davvero a cambiare, anche se in ritardo. Un dietrofront è venuto persino dalle fila della sinistra, da sempre impegnata nelle politiche di apertura senza controllo dell’immigrazione. Il primo “outing” lo ha fatto proprio un intellettuale di sinistra, Marzio Barbagli in un’intervista rilasciata a Francesco Alberti per il Corriere dove ha spiegato la sua “lotta interiore” tra “gli schematismi culturali della sua vecchia formazione di sinistra” e i dati della realtà che lo hanno costretto, sul tema della criminalità connessa all’immigrazione, a rivedere drasticamente le proprie “ipotesi di partenza”. “Non volevo vedere”, confessa con cristallina onestà intellettuale Barbagli, “c’era qualcosa in me che si rifiutava di esaminare in maniera oggettiva i dati sull’incidenza dell’immigrazione rispetto alla criminalità. Ero condizionato dalle mie posizioni di uomo di sinistra. E quando finalmente ho cominciato a prendere atto della realtà e a scrivere che l’ondata migratoria ha avuto una pesante ricaduta sull’aumento di certi reati, alcuni colleghi mi hanno persino tolto il saluto”. Barbagli non è l’unico personaggio di Sinistra a cui è capitato il difficile compito di fare un mea culpa pubblico. Anche Livia Turco, ex ministro della Sanità durante il governo Prodi, si è confessata: “Prima di diventare ministro, sull' immigrazione appartenevo alla cultura del ‘ti accolgo punto e basta’. Sbagliavo, da anni non la penso più così. Pensavo contasse solo la solidarietà, poi ho capito che servono regole severe. Ma non ho mai derogato dai miei valori”. Se tornasse indietro la deputata del Pd non aprirebbe più le porte alle ondate migratorie e si domanderebbe innanzitutto se l’Italia è in grado di accogliere gli immigrati. “Questo non vuol dire non essere solidali – ha sottolineato -. Anzi, significa essere solidali fino in fondo perché per rispettare la dignità di una persona bisogna dirgli la verità. E la verità è che non possiamo accogliere tutti”. Resta un finale amaro: se la Turco fosse arrivata prima a conclusioni del genere (e avesse convinto i suoi compagni di partito), forse oggi né gli italiani né gli immigrati, quelli onesti, si sentirebbero insicuri in Italia.

Stupri

Il ragazzo dimesso dall'ospedale; è stato lui a riconoscerlo dalle foro segnaletiche. Violenza su 12enne, è un comunale: fu inquisito per presunte molestie su bimba. È convivente della nonna di un amico della vittima. La folla tenta di linciarlo mentre la polizia lo trasferisce.

NAPOLI
- Preso dalla polizia il violentatore del dodicenne. È un napoletano, dipendente comunale (fognatore, già sospeso dal servizio), con una vita «regolare»: si chiama Pasquale Modestino: l'uomo, hanno spiegato il questore di Napoli, Puglisi e il capo della squadra mobile Vittorio Pisani, è stato riconosciuto dallo stesso ragazzino a cui hanno mostrato foto segnaletiche. Mosestino avrebbe già precedenti specifici per reati sessuali e non sarebbe, quindi, un barbone come si era pensato nelle prime ore successive allo stupro. Tre anni fa infatti fu fermato per presunte violenze su una bimba, ma il gip negò l'incidente probatorio e Modestino tornò in libertà (il procedimento è ancora in corso). Trovate dalla Scientifica sue impronte lungo la discesa di via Biagio Miraglia, a poche decine di metri dalla sede della Polizia Stradale. Rinvenuto anche un residuo biologico e un'asta di scopa utilizzata per le sevizie al ragazzo.

BOTTE E INSULTI - Mentre gli agenti lo trasferivano in carcerela gente, nei pressi della Questura di via Medina, ha tentato di aggredirlo: è solo grazie all'intervento di altri poliziotti che il presunto violentatore se l'è cavata con qualche insulto (e qualche pugno sulla macchina che lo accompagnava a Poggioreale). Intanto il dodicenne è stato dimesso nel pomeriggio dall’ospedale Santobono di Napoli. Le sue condizioni di salute sono migliorate. Secondo quanto si è appreso il ragazzino ha avuto anche colloqui con esperti e psicologi.

LA VISITA DEL PORTIERE DEL NAPOLI, IEZZO - In ospedale aveva anche ricevuto la visita del portiere del Napoli Gennaro Iezzo che ha portato al dodicenne la maglia della squadra azzurra.

IL MINISTRO MARONI - «Tiro un sospiro di sollievo» ha detto il ministro degli Interni Maroninel corso di un’audizione alla commissione bicamerale Infanzia. E ha precisato: «È un uomo di 53 anni, convivente della nonna di un amico del ragazzo vittima dello stupro. Dà sollievo, anche se ciò che è successo è orribile e dobbiamo fare ogni sforzo per evitare che ciò accada». Gli agenti della Sezione Minori della Questuradi Napoli sono arrivati a lui attraverso il fascicolo dell'indagato, già foto-segnalato e arrestato almeno in un'occasione per violenza sessuale.

La romania e l'italia

Se l'Italia diventa il paradiso dei criminali romeni

Nella polemica tra il governo e italiano e quello romeno su immigrazione e criminalità c'è qualcosa che non torna. Da Bucarest hanno accusato l'Italia di essere lenta nelle estradizioni e nei processi. Sarà pure vero. Ma se come dicono le stesse autorità romene, il 40 per cento dei ricercati romeni si trova in Italia, loro hanno certamente un problema alle frontiere. E' vero che in Europa vige la libera circolazione delle persone e delle merci, ma se uno è ricercato, magari pure condannato in prima istanza, prima di lasciarlo girare libero per l'Europa, sarebbe il caso di tenere gli occhi aperti ai confini. A meno che non si preferisca chiuderli gli occhi e lasciare che siano altri paesi ad affrontare le conseguenze. D'altro canto il meccanismo lo spiega bene Eugen Terteleac, presidente dell'associazione dei romeni in Italia: "L'Italia è una calamita per i delinquenti romeni, perchè in Romania le pene sono molto più severe e i tempi dei processi ben più brevi di quelli italiani. Insomma a un criminale romeno conviene delinquere in Italia". Questo è ovviamente un atto d'accusa contro la giustizia italiana che si può certo condividere. Il sospetto però che il punto di vista delle autorità di Bucarest sia che alla Romania convenga che i criminali romeni delinquano in Italia piuttosto che in patria. Questo non sarebbe accettabile e il governo italiano doverbbe fare il possibile per dissipare questo dubbio e pretendere dalla controparte maggiori controlli alle frontiere e più vigilanza nei confronti dei loro ricercati. Lo diciamo per il bene del 99 per cento di romeni onesti che vivono in Italia e pagano le conseguenze di questa situazione. Al punto che Eugen Terteleac dichiara con candore di essere assolutamente a favore delle famigerate ronde, anzi chiede che esse siano aperte anche ai cittadini romeni residenti in Italia. Forse il presidente dei romeni in italia dovrebbe fare due chiacchiere con tutte le nostre alte e altissime cariche che contro le ronde hanno storto il naso.

Le colpe...

... dell'italia. Qui, qui e qui.

Giochetti

Chi gioca coi numeri dei reati romeni di Salvatore Scarpino

Stupri, violenze sessuali, prove di quotidiana barbarie che si compiono in ogni angolo d'Italia, con la sofferenza indicibile delle vittime e il nostro sgomento. Chi commette questi crimini? Ci soccorre il Viminale, che non è un centrale di polizia occhiuta e semisegreta, ma una direzione di pubblica sicurezza al servizio dei cittadini e aperta alle legittime aspirazioni di specifiche conoscenze da parte degli italiani. Dunque, nel 2008 le violenze sessuali sono diminuite dell’8,4 per cento; nel triennio 2006-2008 queste sono state commesse nel 60,9 per cento da italiani, per il 7,8 da romeni e per il 6,3 per cento da marocchini. Sembra già di sentire i fautori della politica delle «porte aperte». Vedete, ve la prendete sempre con gli immigrati, ma la parte rilevante degli stupratori sono fratelli nostri, parlano la nostra lingua e mangiano spaghetti; non sarebbe ora di mettere la sordina a certe campagne che attribuiscono all’immigrazione l’aumento di certe forme di criminalità? Calma, calma. Le cifre non sono manipolabili a piacere. I romeni presenti nel nostro Paese sono circa un milione, pari cioè all’1,5 per cento, più o meno, della popolazione. Perché questa minoranza esprime una propensione così alta (7,8%) a un certo tipo di reati? Lo stesso discorso vale per i marocchini, che sono anche di meno rispetto ai romeni. Non è un discorso razzistico, ma culturale: a Sud e Est dell’Italia ci sono Paesi in cui la considerazione e il rispetto per le donne sono più bassi che da noi, dove del resto abbiamo ancora tanto da imparare. È un dato di fatto, non un’opinione e l’integrazione che tutti auspicano dovrebbe comprendere la crescente condivisione di comportamenti e valori. Ma a dispetto delle cifre, le autorità romene continuano a riversare sull’Italia accuse di xenofobia. E tuttavia precisano che il 40 per cento dei ricercati romeni colpiti da mandato di cattura valido a livello internazionale si trovano presumibilmente in Italia. Il nostro governo ha chiesto a Bucarest di segnalare alle autorità italiana di pubblica sicurezza i romeni con precedenti penali che si apprestano ad emigrare nel nostro Paese, ma il ministro degli Esteri romeno ha risposto che non intende ostacolare in alcun modo la libertà di movimento dei suoi connazionali. Il discorso è chiaro. Sul finire dell’Ottocento le autorità siciliane favorivano in ogni modo l’emigrazione dei cattivi soggetti e dei mafiosi, arrivando al punto di rilasciare certificati penali vergini a indicibili pezzi di malacarne. Quando il celebre poliziotto italoamericano Joseph Petrosino, nel 1912, intuì il giochetto e si recò in Sicilia per recuperare i certificati penali di certi mafiosi (che avrebbe voluto fare espellere come indesiderabili e falsari) fu ucciso in piazza Marina a Palermo. L’impressione è che le autorità romene facciano lo stesso gioco di quelle siciliane di tanto tempo fa. I nostri mafiosi andavano con piacere negli Stati uniti perché venivano a contatto con un società aperta, più libera della nostra di quel tempo, una società in cui «l’habeas corpus» e un politico di origine irlandese potevano battere la polizia. Ebbene, oggi i romeni dediti al malaffare vengono in Italia con lo stesso spirito e la stessa speranza. Contano sulle maglie larghe di un Paese per troppi anni sbracato, su un sistema giudiziario inefficiente, sulle lentezze e l’incomunicabilità degli apparati amministrativi e burocratici. Eugene Terteleac, presidente dei romeni in Italia, ha detto: «Da voi c'è poca severità, siete una calamita per i delinquenti». Riflettiamo.

Riprendiamo il post degli appunti di Aribandus.

Omicidi

Dramma nel trevigiano. il pm: probabile che l'assassino sia stato colpito da un raptus. Sgozzata in casa con la figlia di 2 anni. «Cerchiamo l'ex compagno marocchino». Una donna di 36 anni, infermiera in una casa di riposo, e la sua bambina uccise a Castagnole di Paese

MILANO — Una scena orribile, un duplice omicidio agghiacciante. A Castagnole di Paese, in provincia di Treviso, una donna e la sua figlioletta di due anni sono state trovate sgozzate all'interno della loro casa. La vittima si chiama Elisabetta Leder, aveva trentasei anni e viveva sola con la bambina, Arianna, avuta da un ragazzo di origine marocchina. Gli inquirenti lo stanno cercando, anche se al momento — dicono — non sarebbero emersi elementi concreti che possano portare a ritenerlo il colpevole della strage. A scoprire il delitto è stato il fratello di Elisabetta, che ha dato l'allarme intorno alle nove e mezzo di ieri sera. L'uomo ha trovato il corpo della sorella nella camera da letto, mentre la bambina era senza vita nel fasciatoio. Le gole squarciate da diversi colpi inferti con un coltello, che non è ancora stato ritrovato. Il medico legale Alberto Furlanetto ha riferito di «ferite da difesa sulle braccia della vittima». Secondo il pm Antonio Miggiani tutto «farebbe pensare non ad un omicidio premeditato, è assai più probabile che l'assassino sia stato colto da un raptus». Il cittadino marocchino ricercato è il padre di Arianna, che porta il cognome della madre. È più giovane di Elisabetta, meno di 30 anni, e la loro relazione è finita da qualche tempo. I vicini raccontano di non aver mai visto l'uomo entrare e uscire dall'appartamento al secondo piano del condominio di via Cal Morganella 23 in cui vivevano la donna e la figlia. Nessun precedente di urla o trambusto dovuto a litigate, dunque. Pare che l'immigrato, che non aveva un lavoro ed era sprovvisto del permesso di soggiorno, nei mesi scorsi fosse stato espulso dal-l'Italia e poi rientrato clandestinamente solo qualche giorno fa. Gli inquirenti lo stanno cercando per chiarire la sua posizione. Elisabetta lavorava come infermiera in una casa di riposo, l'Istituto Menegazzi a San Giuseppe, una frazione di Treviso. Era originaria di Castagnole, una cittadina di 20 mila persone, e abitava in uno dei sei appartamenti di una palazzina a due piani alle porte del paese. Una zona residenziale elegante, tutta tranquillità e villette. Per cena, secondo le prime ricostruzioni, era attesa a casa della madre. Non vedendola arrivare, la donna ha chiesto all'altro figlio di andare a controllare che cosa fosse successo. Il ragazzo ha pensato che la sorella fosse semplicemente uscita per qualche acquisto dell'ultimo momento: le luci dell'appartamento del secondo piano erano accese, così come il televisore. Ha pensato allora di attenderla per un po'. Poi, sempre più preoccupato, ha chiamato la madre e ha deciso di avvertire le forze dell'ordine. Dopo aver sfondato la porta di ingresso, i carabinieri si sono trovati di fronte una mattanza. Non appena sul posto è giunta la mamma di Elisabetta, è stata fatta salire su un'ambulanza, dove le è stato detto quello che era successo alla figlia e alla nipote. Un pianto disperato, le urla, quelle poche parole ripetute nella notte: «Non è vero, non è possibile, non è possibile». Concluso il primo sopralluogo, in nottata Miggiani ha spiegato che è ancora troppo presto per formulare qualsiasi ipotesi: «Siamo nelle prime fasi dell'inchiesta — ha ripetuto il magistrato —, al momento non c'è nessun indagato». Da sotto casa di Elisabetta è sparita la sua automobile e l'ex compagno era ancora irreperibile.

Fabio Cutri

martedì 24 febbraio 2009

La segreteria

«È un organismo snello e decisa n fretta, perché mancano solo 100 giorni alle europee». Pd, Franceschini vara la nuova segreteria. Chiamparino ed Errani tra i 9 membri. Entrano anche Martina e Melilli. Azzerati il governo-ombra e il coordinamento

ROMA
- Una segreteria snella, di nove persone, decisa «in solitudine» e «in fretta, perché mancano solo cento giorni alle europee». Azzerati i vecchi organismi dirigenti, dal coordinamento al governo ombra, il nuovo segretario del Pd, Dario Franceschini, presenta l'organismo che guiderà il partito, organismo scelto «senza trattare con nessuno», e attingendo dai territori in base alle funzioni istituzionali.

I 9 MEMBRI - Oltre che da Franceschini, la nuova segreteria sarà composta da Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna; Sergio Chiamparino, sindaco di Torino; Fabio Melilli, presidente della provincia di Rieti; Maurizio Martina, segretario regionale del Pd della Lombardia; Elisa Meloni, segretario provinciale del Pd a Siena; Federica Mogherini, parlamentare; Giuseppe Lupo, consigliere del Pd in Sicilia dove il partito è all'opposizione. A Maurizio Migliavacca va la direzione dell'area organizzazione. La segreteria, ha spiegato Franceschini, sarà l'organo politico del partito che «lavorerà a stretto contatto con i venti segretari regionali del Pd» in riunioni che si terranno a scadenza settimanale. Il primo di questi incontri avverrà già mercoledì pomeriggio.

AZZERATO IL GOVERNO OMBRA - Franceschini ha poi spiegato che dopo l'azzeramento del governo ombra verranno scelti dei responsabili di aree tematiche: «Per queste funzioni - ha detto il segretario del Pd - ricorrerò soprattutto all'esperienza e ai parlamentari, perché queste problematiche vengono affrontate in Parlamento». Nessun cambio, invece, per i capigruppo alla Camera e al Senato: «Su questo argomento - ha sottolineato Franceschini - i gruppi sono sovrani ma la mia opinione è che è bene non inserire elementi di instabilità in questo momento. E poi Antonello Soro e Anna Finocchiaro hanno lavorato bene. Tra l'altro - ha concluso - nessuno mi ha mai posto il problema dei capigruppo».

Appunti

... dal blog di Aribandus.

Franceschini chi?

Effetto Franceschini: il Pd crolla al 22% Centrodestra al 53,5%

L'elezione di Dario Franceschini non rivitalizza il Partito democratico che è ancora in calo nelle intenzioni di voto dopo la sconfitta alle regionali in Sardegna. Lo testimonia un sondaggio pubblicato dal quotidiano online Affaritaliani.it realizzato da Crespi Ricerche. Il Pd paga "in modo pesantissimo - sostiene Crespi - l’effetto del combinato disposto delle elezioni sarde" e il trauma causato dalle improvvise dimissioni di Walter Veltroni. Infatti il partito guidato ora da Dario Franceschini, si avvicina a quota 20%, ottenendo il 21,8%, perdendo quindi ben 4,5 punti, in parte avvantaggiando l’Idv di Antonio Di Pietro che ottiene l’8%. Di conseguenza è in crescita anche la Lista Pannella-Bonino che raggiunge il 2%. La coalizione teoricamente totalizza il 31,8%, ma tutta insieme non raggiunge il dato che il solo Pd ha ottenuto alle politiche.

Il centro destra fa il pieno. Con il 53,5% la coalizione di centrodestra ottiene il maggiore consenso dalle elezioni politiche ad oggi. Il Pdl con il 42% raggiunge i suoi massimi storici, bene la Lega che si conferma al 10% e l’Mpa sostanzialmente stabile all’1,5%. La differenza tra i due schieramenti raggiunge il 21,7%. Bene l’Udc di Casini, che ottiene il suo massimo dopo le politiche con il 6,2%. Il Prc staziona al 2,5%, al palo i Comunisti Italiani con l’1,2%, 0,8% ai Verdi e l’1,5% al Partito Socialista. Per chiudere La Destra di Francesco Storace si attesta al 2%.

Capezzone: "Sondaggio choc". "Il Pd al 22%, cioè a livelli da incubo per Franceschini... eppure dalle parti del Nazareno non dovrebbero stupirsi: e non mi riferisco ai tragici errori di questi mesi, ma anche solo al tafazziano weekend d’esordio del neosegretario", commenta il portavoce di Fi, Daniele Capezzone. "Non si tratta solo dell’ormai parossistico livore antiberlusconiano che trasuda da ogni battuta televisiva di Franceschini, ma anche della scelta di tempo, del contesto in cui questo biglietto da visita viene presentato. Sono i giorni in cui la crisi mondiale si fa più minacciosa, in cui i grandi del mondo immaginano soluzioni difficili e rischiose, in cui - dispiacerà alla vecchia sinistra italiana - Silvio Berlusconi siede ascoltato e rispettato in quei consessi, riscuotendo anche il plauso della stampa internazionale". "E il Pd che fa? Propone qualcosa? Fa intravvedere una strategia, un’analisi, uno straccio di risposta? Nulla di nulla: solo una litania biascicata e cacofonica sull’autoritarismo e sulla perfidia di Berlusconi. Questa drammatica inadeguatezza rispetto alla crisi mondiale e questa distanza dal sentire comune di tanti cittadini -conclude Capezzone - sembrano ormai un fatto sempre più consolidato. Non si vede come il Pd possa (e voglia) tentare di smentirlo".

Premetto che comunque io non credo ai sondaggi. Però il crollo c'è e si vede, sondaggi a parte.

Evviva

Il multiculturalismo!

Guantanamo

Nemici combattenti. Guantanamo, il detenuto liberato da Obama fu addestrato da Al Qaeda di Bernardino Ferrero

Tutti parlano di Binyam Mohamed, il primo detenuto di Guantanamo che sarà riconsegnato al governo inglese in ossequio al nuovo corso legalista del presidente Obama. Mohamed ha detto che in questi anni è stato torturato con “metodi medievali”. Non è nostra intenzione minimizzare la serietà degli abusi che il cittadino di origine etiopica può aver ricevuto durante la sua detenzione. Se è stato sottoposto al trattamento che descrive dobbiamo chiamarla con il suo nome. Tortura. Il “Weekly Standard” scrive che Mohamed è stato tagliuzzato con rasoi e coltelli in “aree sensibili” del corpo. La rivista americana avrebbe potuto risparmiarsi questo giro di parole per chiamare la parte ‘sensibile’ con il suo nome e cognome: il pene, il petto, lo stomaco. Ed è anche un po' meschino addossare tutta la colpa delle torture al Marocco, visto che gli avvocati del prigioniero hanno fatto sapere che il momento peggiore – per il loro assistito – fu quando si accorse che i suoi carceriere avevano ricevuto documenti e richieste precise dal governo inglese e da quello americano. Non possiamo verificare quanto siano fantasiose le memorie del prigioniero. Mohamed considera “tortura” anche l’essere stato costretto ad ascoltare musica rap ed heavy metal sparate ad alto volume. Probabilmente per un musulmano ortodosso sentire Bon Jovi è la cosa peggiore al mondo e, anche in questo caso, non è giusto scadere in uno spietato cinismo. In fondo anche per molti occidentali l’heavy metal è una tortura. Ma il punto è un altro. Dobbiamo ricordare perché Mohamed è stato arrestato, trasportato da un carcere all’altro, sottoposto a pressioni, interrogatori ed eventuali torture. Ci sono buone ragioni per ritenere che, prima della cattura, stava preparando un attacco sul suolo americano. Adesso sarà libero di fare propaganda a Londra, ma fino a qualche anno fa si aggirava al confine tra Pakistan e Afghanistan, preparandosi al Jihad. E chissà che in futuro non ci ripensi. Apprendiamo che Mohamed, nell’estate del 2001, raggiunse l’Afghanistan per disintossicarsi dalla scimmia di eroina. Questo l’alibi fornito in un primo momento agli investigatori. Quanto sia verosimile che un drogato scelga di recarsi nella patria dell’oppio per disintossicarsi è un mistero. In realtà, come ha ammesso sotto interrogatorio, era andato in Afghanistan per essere addestrato nei campi di Al Qaeda. Non era partito con l’intenzione di uccidere americani ma per ricevere un’istruzione militare per la guerra in Cecenia. Un suo avvocato ha detto che “Mohamed desiderava vedere con i suoi occhi i campi dei Talebani”. Il campo di al Farouq era uno dei centri di smistamento del terrorismo quaedista. Qui venivano educati i martiri per gli attacchi contro l’Occidente ed è da qui che passarono alcuni membri della cellula di Amburgo prima dell’attacco alle Torri Gemelle. Bin Laden visitava spesso il campo insieme a Khaled Sheik Mohammed che si occupava del reclutamento e di finanziare le missioni dei kamikaze all’estero, fornendogli qualche migliaio di dollari. Khaled Sheik Mohammed non è stato rilasciato. E’ ancora rinchiuso a Guantanamo. Qualche settimana fa ha dichiarato di voler essere condannato a morte: “Il mio sarà il primo Jihad giudiziario contro l’America”. Tornando al Mohamed che sarà liberato, è chiaro che nel campo non si veniva addestrati soltanto alla guerriglia in Cecenia ma anche, e soprattutto, a condurre operazioni contro gli Stati Uniti e i loro alleati. Lo stesso Bin Laden avrebbe avvertito Mohamed nell’estate del 2001: “Sta per succedere qualcosa di grosso”. Lasciato il campo, il giovane continuò a fare esperienza in Afghanistan combattendo a fianco dei Taliban contro l’Alleanza del Nord guidata dal generale Massud. Al suo ritorno a Kabul, avrebbe frequentato una scuola di perfezionamento sull’uso degli esplosivi, incrociandosi con Richard Reid, altra firma storica del terrorismo bombarolo. Infine, l’incontro con Abu Zubaydah. Secondo il governo americano, il gruppo di fuoco messo in piedi da Zubaydah – di cui faceva anche parte Mohamed – aveva come obiettivo di colpire per la seconda volta gli Usa dopo l’11/9. L’accusa parla di una “bomba sporca”, fatta di esplosivo e radiazioni, destinata al popolo americano. Durante il training, Mohamed avrebbe proposto l’idea di “attaccare le stazioni delle metropolitane americane”. Pensiamoci un attimo. La gravità di questi piani viene riportata difficilmente dai media, dai giornali e dalle agenzie stampa che stanno seguendo la notizia della liberazione di Mohamed. Ovviamente i suoi difensori controbattono che la confessione è stata estorta sotto tortura e quindi non vale niente. Eppure Mohamed ha conosciuto Khaled Sheik. Non era capitato per caso in Afganistan. Sottoposto ad interrogatorio tramite waterboarding, Khaled Sheik ha ammesso che esisteva un piano per colpire le metropolitane degli Usa e che ne aveva discusso proprio con Zubaydah e lo stesso Mohamed.

Terrorismo islamico e USA

War on Terror. Gli Usa rinunciano a capirecos’è la guerra islamista di Raymond Ibrahim

Nella conferenza iniziale della Association for the Study of the Middle East and Africa (ASMEA) dello scorso aprile, il tenente colonnello Joseph Myers – che presentava l'evento –, ha messo in evidenza un punto interessante che merita un ulteriore approfondimento. Sebbene gli studi militari abbiano assorbito e dato tradizionalmente valore ai testi della dottrina classica sulla guerra – come il trattato Della guerra di von Clausewitz, L'arte della guerra di Sun Tzu, e persino le imprese di Alessandro il Grande come documentate da Arriano e da Plutarco – , la dottrina islamica sulla guerra, anch'essa fondata su altrettanti testi, è stata totalmente ignorata. Com’è avvenuto di recente nel 2006, William Gawthrop - un ex alto ufficiale del Pentagono -, lamentava che "gli istituti che svolgono il programma Senior Service del Dipartimento della Difesa non hanno incluso nei loro curricula uno studio sistematico su Maometto come leader politico o militare. Di conseguenza, continuiamo a non avere una comprensione approfondita sulla dottrina militare prescritta da Maometto, di come potrebbe essere applicata oggi da un numero di gruppi islamici in continuo aumento, o di come potrebbe essere contrastata [enfasi dell'autore, Ndt]". Oggigiorno, sette anni dopo l'11 settembre, la nostra comprensione della condotta islamica in guerra è migliorata ben poco. Tutto ciò è ancora più ironico se consideriamo che, mentre le teorie militari classiche (von Clausewitz, Sun Tzu, Machiavelli, e altri) sono ancora incluse nei programmi dei corsi universitari sulla guerra, si può argomentare che queste teorie e questi corsi ormai abbiano poco valore pratico nell’attuale e molto diverso paesaggio di guerra e diplomazia. Facciamo un paragone con le dottrine sulla guerra tipiche dell'Islam: la loro qualità "teologica" – visto che sono basate su una religione i cui precetti "divini" trascendono il tempo e lo spazio, e vengono considerati immutabili – fa sì che i principi militari islamici passino difficilmente alla moda. Se qualcuno potrebbe anche sostenere che studiare come fece Alessandro Magno a manovrare la sua cavalleria nella Battaglia di Gargamela nel 331 a.C. sia un esercizio accademico oltre che anacronistico, le imprese e gli stratagemmi del profeta Maometto – e la sua "sunna sulla guerra" – sono ancora di esempio per i moderni jihadisti. Per esempio, la maggioranza delle scuole di diritto islamico – basandosi sulle parole e gli scritti di Maometto – concordano sulla legittimità delle seguenti tecniche di guerra contro l'Infedele: l'uso indiscriminato di armamenti missilistici, anche in presenza di donne e bambini (nel contesto del VII secolo, l’epoca di Maometto, si trattava di catapulte; oggi abbiamo a che fare con aerei dirottati o armi di distruzione di massa); il bisogno di ingannare sempre il nemico, che sottintende anche la rottura di accordi formali non appena si presenta l’occasione di farlo (basta vedere Sahih Muslim 15: 4057); e che l'unica funzione di un accordo di pace – la hudna – è quella di offrire agli eserciti islamici il tempo per riorganizzarsi per una nuova offensiva, considerando che gli accordi o le tregue in teoria non dovrebbero durare più di un decennio. I versetti coranici 3:28 e 16:106, come nella celebre asserzione di Maometto "La guerra è inganno" hanno spinto alla formulazione di una serie di dottrine sulla dissimulazione – la più famosa quella della Taqiyya, che permette ai musulmani di mentire e di mimetizzarsi nel caso in cui si trovino sotto l'autorità degli Infedeli. L'inganno ha un ruolo di così grande rilievo nella dottrina militare islamica, che il famoso studioso musulmano Ibn al-Arabi ha dichiarato: "Negli Hadith la pratica dell'inganno durante la guerra è ben dimostrata. Infatti, viene posta più insistenza sulla necessità dell’inganno che su quella di avere coraggio". In aggiunta al fatto di ignorare queste strategie islamiste, che sono ben documentate, appare ancora più problematico il continuo fallimento del Dipartimento della Difesa nel non riuscire a valutare alcune precise dottrine "eterne" dell'Islam – come la dicotomia tra la "Casa della Guerra" versus la "Casa dell'Islam", per cui l'Islam deve mantenersi sempre in uno stato di ostilità rispetto al mondo degli Infedeli e, non appena possibile, deve dichiarargli guerra fino a quando l’intero territorio degli Infedeli non sarà portato sotto la dominazione islamica. Di fatto, la dicotomia dell'ostilità è codificata senza alcuna ambiguità nella visione del mondo islamico ed è ritenuta una fard kifaya, ossia un obbligo imposto a tutta la comunità musulmana e che può realizzarsi soltanto quando alcuni musulmani, detti "jihadisti", lo sostengono attivamente. Malgrado queste dottrine problematiche – anche se rivelatrici –, e nonostante il fatto che una veloce ricerca sui libri e sui siti islamisti dimostra senza ombra di dubbio che gli attuali e gli aspiranti jihadisti citano costantemente questi aspetti dottrinali della guerra – e quindi li prendono sul serio –, gli alti ufficiali del governo americano e i responsabili della difesa dell'America, in realtà non la difendono affatto. Perché? Perché i Whisperers (‘quelli che bisbigliano’, Ndt) – secondo l'appropriato epiteto coniato da Walid Phares per indicare la maggioranza degli studiosi islamici e del Medio Oriente e i loro disponibili apologeti sulla stampa – hanno gridato all'eresia quando qualcuno ha osato far notare che esiste una connessione tra la dottrina islamica e il terrorismo islamista attuale, come testimonia la debacle di Steven Coughlin. E’ una storia fin troppo familiare per coloro che si muovono in questo campo (si veda per esempio l'opera di Martin Kramer, Ivory Towers on Sand: the Failure of Middle Eastern Studies in America). Se è pur vero che oggi esistono molti dipartimenti di studi sul Medio Oriente, una persona potrebbe essere seriamente in difficoltà se volesse trovare un qualsiasi corso relativo ai temi più cruciali e rilevanti di oggi (soprattutto nelle università più "prestigiose"), ad esempio corsi sulla giurisprudenza islamica e su che cosa ne pensano i giuristi del jihad oppure del concetto di "Casa dell'Islam" versus la "Casa della Guerra". Siamo stati rassicurati sul fatto che questi argomenti hanno delle problematiche implicazioni internazionali e quindi è meglio se vengono tenuti nascosti. In compenso l'aspirante studente viene inondato di corsi che si occupano dei mali del cosiddetto "Orientalismo" e del colonialismo, di studi sul gender e sulla società civile. Ma la cosa più ironica – e quando si parla del rapporto tra Islam e Occidente spesso l’ironia abbonda – è che lo stesso giorno della conferenza dell' ASMEA (che, tra l'altro, includeva uno schietto discorso del primo e più autorevole studioso di islamistica, il professor Bernard Lewis: "Mi sembra una situazione pericolosa quella in cui ogni tipo di discussione degli studiosi sull'Islam viene considerata, come minimo, pericolosa…"), il Dipartimento di Stato americano annunciava che non avrebbe più chiamato il radicale-tipo di al-Qaeda "jihadista", né "mujahadin", né avrebbe incorporato nessun'altra parola araba di connotazione islamica (quindi sono escluse anche parole tipo "califfato", "islamo-fascismo", "Salafita", "Wahhabita" e "Ummah"). Ahimè, il governo americano non solo ha difficoltà nell’accettare il più essenziale e semplice consiglio sulla guerra – come dice una vecchia massima di Sun Tzu, "Conosci il tuo nemico" – ma si trova anche in difficoltà nel riconoscere il suo stesso nemico.

Raymond Ibrahim è il direttore associato del Middle East Forum e l’editor/traduttore di The Al Qaeda Reader. Scrive per il Jihad Watch. Tratto da "National Review Online". Traduzione di Fabrizia B. Maggi