mercoledì 29 febbraio 2012

E qual'è la differenza?

Un paio di commenti: "Le imposte dirette ci sono, sono salate e rimarranno lì, dove e come sono. Le indirette, esistono già pure loro (non abbiamo forse la benzina più cara del mondo?). I redditi da capitale hanno già subito il salasso del passaggio dal 12.5 al 20 per cento. La patrimoniale colpirà i risparmi (sacri) delle famiglie: 1 per mille quest'anno, 1,5 dal 2013. I fabbricati, le nostre case, (quelle censite e in regola con il catasto) frutto di risparmi e sacrifici ci verranno tassate ad un livello tale che sarà come pagare l'affitto al fisco. Ma cosa vuole ancora da noi Monti e la sua banda di cervelloni? Si rendono conto che stanno affossando l'economia? Non ne possiamo più! L'unica soluzione è abbandonare l'italia, prendere cittadinanza straniera e tanti saluti a tutti. Qui, vivere, sta diventando impossibile. Per noi e soprattutto per i nostri figli. Siano maledetti."

"a quando i tagli ai costi dello stato (per primi personale inutile)? Si riempiono la bocca con CRESCITA, ma stanno provocando una recessione che portebbe essere brutale. Se Monti non riformerà seriamente gli sprechi statali , non avrà  l'approvazione di coloro che sono stati tartassati e che tirano la cinghia a causa delle sue manovre."

"Questo e' un vero cacciaballe. Per ora ha solo massacrato i deboli, ha calato le braghe con le categorie, e continua a fare annunci di riduzione fiscale, subito rimangiati, per buttare fumo negli occhi degli idioti che ci credono. La sua unica missione, per la quale e' stato investito, e' mungere chi puo' ( i poveri) per garantire i pagamenti degli interessi dei titoli italiani alla feccia finanziaria e bce. E il fenomeno di Arcore lo sostiene pure e ci verra' di nuovo a chiedere il voto (magari promette di togliere l'imu). Ci si rivede alla elezioni.... "


"Sposteremo gradualmente l'asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette". Anche oggi Mario Monti ripete, nell’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2012-2014 , che il governo vuole mettere in atto provvedimenti diretti "al riequilibrio del sistema impositivo anche relativamente alla tassazione dei redditi finanziari". Riforma che avrà come obiettivo anche quello di ridurre "gli effetti distorsivi delle scelte degli operatori economici" e che riguarderà anche "il settore immobiliare e il sistema estimativo del catasto". Il governo, inoltre, assicura la "tempestiva liquidazione dei rimborsi fiscali richiesti fino all’anno precedente a quello di osservazione, assicurando sempre maggior efficienza nel processo di lavorazione". Nell'atto di indirizzo, poi, si accenna anche a un'ipotesi di riforma in materia di tassazione ambientale. In particolare si parla della costituzione di una banca dati integrata per analisi sulla fiscalità indiretta, sugli effetti di impatto e redistributivi, formata da una banca dati sui consumi e un’altra ambientale. Intanto il ministro del Welfare, Elsa Fornero, è arrivata a Palazzo Chigi dove ha incontrato il presidente del Consiglio per metter a punto la riforma del lavoro.

Sull'immigrazione e la fantomatica integrazione


Di questi tempi andare (o venir trascinati) a un evento di “Roma Incontra”, versione capitolina di “Cortina Incontra”, è come ritrovarsi in un circolo di lealisti napoleonici dopo il 1815. Sarà perché spesso gli incontri si tengono dentro l’involucro dell’Ara Pacis di Richard Meier, fatto sta che ci si ritrova parte di una certa Roma veltroniana e civile - del centro e non solo - quella che giustamente “cede il posto alle vecchiette sull’autobus”. Se si ha un penchant culturale e politico del genere, l’evento che ieri si è consumato in una saletta del discutibile “involucro” meieriano, era uno di quelli da non perdere. Parlavano il ministro per la cooperazione e l’integrazione Andrea Riccardi, arcinoto fondatore della Comunità di Sant’Egidio e Dominique La Pierre, l’ex- giornalista di 'Paris Match' e autore del bestseller “La Città della Gioia”, oggi filantropo in terra indiana.

Entrambi nel ‘business della povertà’ (cinico mondo), entrambi sul palco, entrambi presi in una tenzone a chi ha la buona coscienza più lunga. Il tutto moderato da un Maurizio Mannoni con gamba accavallata e pantalone senza risvolto. Tralasciando per un attimo il nervosismo che può generare la vista prolungata della bocca del ministro Riccardi – “quella di un fumetto giapponese”, dice qualcuno -, e le sparate in italo-spagnolo-francese di Lapierre in doppio-petto e cravatta dorata – “i francesi come i belgi hanno un gusto piuttosto discutibile a volte”, dice qualcun altro - andare a questo ‘incontro’ ha avuto almeno il merito d'offrire ai posteri il neo-logismo più incomprensibile e astruso mai udito in tempi ‘montiani’: lo ius culturae. I due intervistati parlano di poveri, di ultimi, di emigranti, e il passo è breve per finire sulla cittadinanza agli immigrati. Se questo è uno dei temi e sul palco c'è il ministro per “l’integrazione”, bisogna aprire bene le orecchie, a maggior ragione in tempi di norme per la semplificazione, di doppi cognomi e di nomi stranieri che vengono ‘allegramente’ inseriti nelle storia onomastica italiana senza alcun dibattito pubblico.

Come una cartella esattoriale, dicevamo, arriva puntuale la domanda di Mannoni sulla cittadinanza. Risponde Riccardi di fronte a una platea in ‘religioso’ (ma tanto laico) silenzio. Premette un po' sconfortato che il governo Monti non ha tra i propri compiti quello di occuparsi di cittadinanza (diciamo noi: al presidente Napolitano piacerebbe tanto). “Si parla tanto di ius soli da una parte e di ius sanguinis dall’altra. - dice Riccardi - Io [quando si parla di immigrazione] sono per lo ius culturae”. La platea, smarrita, lo guarda. “Quando si aderisce alla storia e alla cultura dell’Italia, bisogna poter avere il diritto di acquisire la cittadinanza italiana”, e giù con le storie dei bambini ucraini e marocchini che apprendono la lingua dei padri nella classi di una scuola campana recentemente visitata. Insomma lo ius culturae come sintesi tra ‘solisti’ e ‘sanguinisti’, superamento della fisica territorialità da una parte e della genetica dall'altra. Temiamo si tratti di una di quei neologismi dai quali saremo perseguitati nei prossimi mesi e anni. Qualche indizio che Riccardi appartenga a quella cultura politica dell’elargizione del passaporto a tutti i costi ce l’abbiamo, ma seguiamo per un attimo il ministro. Dunque, se si appartiene (o si aderisce, sig. ministro?) alla storia e alla cultura di un popolo, arriva la cittadinanza. Cultura? Problema della definizione a parte, come la si delimita? Forse Riccardi pensa che la cultura possa diventare un nuovo spazio etereo, immateriale, nel quale costringere, eh sì, una società multirazziale e multiculturale?

Sperando che in futuro il ministro torni sull’argomento, elargendo all’opinione pubblica qualche spiegazione in più sul come e quando - cittadinanza alla nascita (sarebbero allora i genitori a doversi impegnare ad aderire alla cultura italiana?), o alla maggiore età del ragazzo/a (dopo un percorso a punti?) -, Riccardi dimostra di muoversi dentro una visione del mondo incline a piegare la “cultura” dentro un processo d’ingegneria sociale a guida statale che obbligherebbe – facendo uso di qualche forma di coercizione se si fa sul serio - a far stare i nuovi italiani, gli immigrati naturalizzati, dentro un recinto ‘culturale’ definito a tavolino. Chiediamo: ma il mantra della sinistra, a cui il cattolicesimo post Concilio Vaticano II di Riccardi appartiene, non era che la cultura dovesse essere libera? E poi: chi sarà chiamato a decidere sulla maggiore e minore estensione di questo spazio culturale nel quale si definisce l'italianità? Chi ne definirà i simboli e i criteri d’inclusione? E chi, di riflesso, assumerà l'onere di definirne quelli d'esclusione? Si tratterebbe di un processo decisionale fatto alla luce del sole, dentro una sana e trasparente dialettica politico-parlamentare? Oppure qualche grigio burocrate deciderà per tutti noi? Domande legittime eppur senza risposta. Il tema della cittadinanza agli immigrati, anche alla luce dei fallimenti del multiculturalismo d'Olanda, Gran Bretagna e Scandinavia e dell'assimilazionismo anti-religioso francese, deve rimanere dentro una dimensione prettamente politico-partitica. Ma poi, a pensarci bene, non serve troppo farsene un cruccio. In fin dei conti, c'è da star certi che, giunti al momento di decidere se seguire una via piuttosto che un'altra anche su questa materia, qualche governo tecnico ci salverà dai mille dubbi e deciderà per - e malgrado - i cittadini italiani, quelli che già lo sono.

Come volevasi dimostrare

Qui, in un commento, Massimo scrisse che no, Bersani non è al governo. Gli risposi che forse, il problema peggiore non era Bersani. Il problema peggiore è questo governo di mondialisti e banchieri che odiano profondamente sia l'italia e ancor di più gli italiani. E in effetti... la signora Cancellieri  (che nessuno ha potuto votare ma che sta al governo col golpe di Napolitano e la complicità e compiacenza di Berlusconi) ci dice che "i permessi di soggiorno verranno allungati per due motivi; per motivi di lavoro e per motivi familiari"... quando in italia il lavoro manca in primis per gli italiani, ci si domanda, a che serve l'allungamento dei permessi di soggiorno lavorativi?

Se qualcosa non vi è ancora chiaro, bhe, ve lo dice in due parole una cogliona media italica, ci sostituiscono.

Italia

Evasione fiscale e mistificazione, dal blog Euroholocaust.

Il caso dei Marò


KOCHI - Il tribunale di Kollam ha respinto mercoledì una richiesta per la presenza di esperti italiani alla perizia balistica sulle armi recuperate sulla «Enrica Lexie». I due periti balistici dell'Arma dei Carabinieri erano partiti mercoledì mattina alla volta di Trivandrum, capoluogo dello stato indiano meridionale del Kerala, dove avrà luogo l'esame sulle armi dei marò in servizio anti pirateria a bordo della petroliera. I due maggiori del Cis, Paolo Fratini e Luca Flebus, erano giunti in india quattro giorni fa per collaborare con la polizia indiana nel sequestro e nella perizia balistica sulle armi usate dai due militari italiani per sparare dei colpi di avvertimento dopo aver avvistato un peschereccio sospetto lo scorso 15 febbraio al largo della costa del Kerala. Martedì la prova, previsto in un laboratorio forense di Trivandrun, era slittato a causa di uno sciopero nazionale e potrebbe durare alcuni giorni.

LA REAZIONE - «Se i nostri esperti non ci sono, non abbiamo garanzie. Queste continue novità sul piano procedurale e legale non sono assolutamente un segnale positivo» risponde dall'Italia il ministro degli Esteri Giulio Terzi.

L'INDENNIZZO - L'Alta Corte ha anche respinto una causa di indennizzo presentata dal proprietario del peschereccio St.Antony al centro dell'inchiesta per l'uccisione di due pescatori indiani scambiati per pirati al largo delle coste del Kerala. Il padrone dell'imbarcazione, J.Freddy, aveva chiesto la somma di 7,5 milioni di rupie (circa 113 mila euro) per «danni» causati alla sua attività lavorativa. «Nessuno vorrà mai più lavorare su una barca dove è stato versato del sangue» aveva detto ai giudici. Come precisato all'Ansa da una fonte giudiziaria, l'avvocato V.J. Matthew (che rappresenta l'armatore italiano), ha sostenuto che «la richiesta l'indennizzo non può essere basata su credenze superstiziose» convincendo il giudice a non ammettere la causa. Il peschereccio, che si trova nel porto di Neendakara dopo le perizie balistiche, era stato acquistato da Freddy cinque anni fa per la somma di 2 milioni di rupie.

martedì 28 febbraio 2012

Schifo

Lui ci prova a puntare al quirinale e piegandosi a quel verme di Casini... e intanto a noi i tecnici, ci fottono ogni giorno di più... fino alla morte. Ma alla presidenza della repubblica, uno come B. non ci andrà mai e poi mai. Non è comunista.


Silvio Berlusconi annuncia che non si candiderà mai più per Palazzo Chigi e fa tremare alcuni deputati del Pdl affermando che non vuole carriere ultratrentennali in Parlamento. Ma la vita politica del Cavaliere potrebbe seguire altri percorsi: il primo atto della prossima Legislatura, dopo l'elezione dei presidenti dei due rami del Senato, sarà la scelta del nuovo presidente della Repubblica, del successore di Giorgio napolitano. Ed è anche partendo da questa prospettiva che si possono provare ad interpretare le ultime mosse di Berlusconi. Il presidente del Pdl non nasconde più l'appoggio al governo dei professori, e proprio questo appoggio lo potrebbe favorire in una ipotetica e futuribile corsa verso il Quirinale. La moneta di scambio sarebbe una sorta di appoggio alla grande coalizione a cui mira disperatamente Pier Ferdinando Casini per le elezioni 2013 (con Monti, oppure Corrado Passera in veste di candidato premier): Berlusconi potrebbe sostenere quell'esecutivo in cambio del via libera alla sua ascesa alla presidenza delle Repubblica, una circostanza che però al momento Casini ritiene inaccettabile. Ma non è tutto. Contro Berlusconi prosegue incessante l'assedio giudiziario. L'ultimo capitolo è stato vinto dal Cavaliere, come tutti quelli precedenti. Ma c'è in ballo anche un'altra questione, come l'esigenza di tutelare Mediaset (anche per quel che concerne l'asta delle frequenze tv). Un altro aspetto sul quale Berlusconi, in un eventuale rete di alleanze politiche, potrebbe spingere per offrire in cambio l'appoggio a una grossa coalzione e coronare il sogno di diventare presidente della Repubblica italiana.

Cazzeggio time

lunedì 27 febbraio 2012

Fuori dal parlamento

... perchè uno che straparla in questo modo, in primis non dovrebbe pesare sulle nostre spalle e poi, dovrebbe solo morire di fame e di stenti. E io glielo auguro di tutto cuore.


Gli italiani non sono poveri, basta contare il numero di obesi. La visione filosofico-gastronomica della crisi l'ha fornita il deputato Pdl Giorgio Stracquadanio, non nuovo a qualche uscita rumorosa (ultima in ordine di tempo quella su chi guadagna 500 euro, "uno sfigato incapace"). Intervistato da Klaus Davi a KlausCondicio, Stracquadanio spiega perché non farà la fame: "Tranne una infinitesimale percentuale di italiani che ha difficoltà ad accedere al mangiare, la stragrande maggioranza della popolazione può accedere a quantità di cibo più o meno illimitate. Basta vedere cosa accade in occasione delle feste comandate nei vari pranzi e cenoni che sono di una ricchezza spropositata per qualsiasi livello sociale. Il fatto che noi abbiamo ancora 6 milioni di obesi, a fronte di una crisi temporanea e contingente, non mi stupisce. Non siamo ancora a livelli da fame e i dati dei nutrizionisti lo dimostrano". Lo spunto sociologico lo hanno fornito i dati sui 5 milioni di adulti obesi, pari al 10% della popolazione italiana. "L'obesità - spiega Stracquandanio - è la malattia del benessere, conquistato dal dopoguerra ad oggi e ancora diffuso. Il vero problema oggi è la crescita del Paese perchè, siccome abbiamo un debito ingente a carico del settore pubblico che grava sulle prestazioni dello Stato, è evidente che, in queste condizioni, se non abbiamo una crescita economica che ci permetta di ripianarlo e operazioni di privatizzazione abbastanza ampie utili per tagliarlo, ci troveremo ad avere crescenti difficoltà per quanto riguarda il welfare, il sistema pensionistico, tutto quanto fa leva particolarmente sulla macchina pubblica. La crisi morde nel ridurre posti di lavoro, non certo nel portarci alla fame".

Monti e i favori alle banche


Altro che tagli alle tasse. Dopo aver fatto retromarcia sul fondo che avrebbe dovuto garantire un calo dell'aliquota fiscale per i redditi più bassi, il governo Monti si prepara a veder approvato oggi al Quirinale il decreto semplificazioni. Nel quale, al di là del nome che lascia intendere una semplificazione tributaria, viene aumentata la patrimoniale sui conti bancari, che andrà a colpire anche certificati di deposito e depositi vincolati. In pratica, un bollo proporzionale dell'uno per mille (cioè dello 0,1%), che comunque non colpirà i conti correnti. La norma stabilisce che vengano tassate le comunicazioni periodiche alla clientela relative ai prodotti finanziari "compresi i depositi bancari e postali anche se non rappresentati da certificati". L'imposta resta non dovuta per le comunicazioni ricevute e emesse da fondi pensione e fondi sanitari e si calcola sul valore del deposito o, nei casi dei certificati, sul valore nominale o di rimborso.

L'odio per l'italia


Il leader del Pd Pierluigi Bersani getta la maschera: "Fossimo stati noi al governo avremmo già fatto la norma e avremmo detto se questi bambini sono italiani o immigrati". Fermato, in strada a Palermo, da un immigrato che gli ha chiesto a che punto è la discussione sullo ius soli, il segretario democratico dice chiaramente che, se la sinistra dovesse andare al governo, i vertici del Pd sarebbero subito pronti a "regalare" la cittadinanza ai figli degli immigrati. La sinistra sta già premendo per ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia figli di extracomunitari. Già da tempo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano continua a esortare il governo Monti affinché legiferi quanto prima sulla cittadinanza ai figli degli stranieri. Per il momento l'esecutivo tecnico nicchia, sebbene il ministro per l'Integrazione Andrea Riccardi abbia già fatto sapere che al più presto il governo rivedrà le politiche migratorie. Il centrodestra ha già promesso barricate, mentre il Partito democratico su sta già sfregando le mani. Ad ogni modo, non dovesse andare in porto con il Professore, Bersani ha già assicurato che sarà sua premura fare in modo che lo ius soli diventi legge in Italia. D'altra parte il leader dei Democratici sa bene che può contare sul voto di un'ampia fetta del parlamento. In primis, i finiani che da tempo scalpitano per rivedere le leggi che regolano la cittadinanza italiana. Proprio oggi, Bersani è stato fermato da un immigrato mentre si trovava a Palermo per far partire l’iniziativa "Destinazione Italia", e sostenere la candidatura di Rita Borsellino alle primarie di domenica prossima per la carica di sindaco. "Stiamo facendo questa battaglia", ha assicurato Bersani rispondendo a uno straniero che lo incalzava e ricordando che il governo monti "si è pronunciato in parlamento dicendosi interessato a questo argomento". Il leader del Pd ha, infatti, già incontrato Riccardi che gli ha confermato "la volontà di intervenire con delle norme più umane e giuste". "Sappiamo che in Parlamento c’è una destra ricattata dal leghismo che non ha intenzione di procedere - ha puntualizzato Bersani - avessimo auto la maggioranza avremmo già fatto la norma".

Punti di vista su Monti


Appena fu dato l’incarico a Monti io, da queste colonne, gli detti fiducia. Non avevo pregiudizi. Ma mi ricredetti quasi subito. E avvertii che per molti la luna di miele con i «tecnici» sarebbe diventata una luna di fiele (come già mostrano i fischi a Napolitano). In effetti a cento giorni dalla sua nascita tutti i sostenitori del governo (a partire da Pd e Pdl) si accorgono di aver ottenuto l’opposto esatto di quanto avevano sempre voluto o promesso agli italiani. Comincio dai cattolici che si fecero usare, col convegno di Todi, per instaurare il nuovo potere: ora si beccano la reintroduzione dell’Imu, forse perfino per asili e scuole («è il tracollo dell’istruzione cattolica», dicono i salesiani). Eppure il giornale della Cei, Avvenire, che è stato il più entusiasta nel sostenere Monti, aveva sempre negato che vi fossero motivi per rivedere le norme (la Chiesa già pagava dove non c’erano attività di culto o assistenziali). Adesso il governo allarga i casi di tassazione con la scusa di dover eliminare gli «aiuti di Stato». L’asilo parrocchiale deve pagare l’Imu altrimenti è aiuto di Stato. Però non sono ritenuti «aiuto di Stato» quelli di cui hanno scritto Alesina e Giavazzi, «i circa 30 miliardi di sussidi pubblici alle imprese» (Corriere della sera, 11 dicembre 2011). Perché - chiedono i due economisti - tutti quei miliardi «sono intoccabili» e nessuno ne parla? Ancor più curiosa è stata, venerdì 24 febbraio, la nota furbesca della Presidenza del Consiglio con cui si annunciava che le maggiori entrate dall’Imu della Chiesa sarebbero state destinate ad alleggerire la pressione fiscale.

Promessa odiosetta perché alimenta lo sciocco sospetto che se siamo tartassati è colpa della Chiesa. La trovata serviva a coprire la vera notizia di quelle ore: infatti il governo si stava rimangiando la promessa di abbassare le tasse col gettito recuperato dalla lotta all’evasione. Quindi per la Chiesa c’è un doppio danno e la beffa. Ma a parte l’Imu e le scuole cattoliche c’è molto altro nelle politiche di questo governo che va contro i cattolici. C’è il bombardamento delle famiglie (con la reintroduzione dell’Imu sulla prima casa, l’aumento di Iva, affitti, tasse e benzina) e c’è l’insensibilità verso gli ultimi e la solidarietà dimostratafra l’altro dalla cancellazione dell’Agenzia per il terzo settore, dall’inserimento delle donazioni alle onlus nel redditometro e dalla politica verso i disabili (lo slogan della loro manifestazione del 21 febbraio era: «No allo sterminio dei nostri diritti»). La scure che si abbatte sulla solidarietà e l’assistenza ai più poveri e bisognosi lascia invece indisturbato, in gran parte, l’enorme spreco dell’acquisto dei cacciabombardieri F35 a cui la Chiesa è contraria.

Il bilancio insomma per i cattolici è disastroso. Oltretutto per loro, che si fecero usare a Todi come liquidatori del governo di centrodestra, è finito il dialogo privilegiato con quest’area sui temi eticamente sensibili: ne sono un segno il blocco della legge sulle dat e il varo alla Camera del divorzio breve. E già, certe dichiarazioni ministeriali sui cosiddetti «diritti civili» hanno fatto suonare un campanello di allarme sui media cattolici. Anche il Pd è rimasto «fregato» dal governo Monti. Per anni - in odio a Berlusconi - hanno invocato «una destra normale, europea, moderna». Eccoli accontentati: una vera destra moderna, di banchieri e tecnocrati che se ne infischiano sia degli elettori che dei lavoratori e dei sindacati, che spazzano via le «intoccabili» pensioni di anzianità, alzano l’età della pensione e diminuiscono i soldi. Tecnocrati che vogliono spazzar via il «sacro» articolo 18 sui licenziamenti e perfino sostituire la cassa integrazione straordinaria con un temporaneo sussidio di disoccupazione. Bastava uno solo di questi provvedimenti, fino a ottobre, per scatenare la rivolta di piazza. E oggi la sinistra non solo deve digerirli, ma perfino votarli e applaudirli. Con un governo che irride la speranza del posto fisso dei giovani precari. Addirittura Draghi - uno dei sostenitori, con Napolitano, del governo Monti - proclama trionfante la necessità di superare il «modello sociale europeo». Ecco «la destra» che volevano. È arrivata e sta spazzando via il famoso «Stato sociale», con trent’anni di conquiste sociali. Grazie ai voti del centrosinistra.

Dieci anni fa gli apprendisti stregoni - dagli Usa all’Europa - spalancarono le porte del commercio mondiale alla Cina, fregandosene della concorrenza sleale di quel sistema semischiavistico: dicevano che così avrebbero «occidentalizzato» la Cina, invece hanno «cinesizzato» l’Occidente e ora tutti rischiamo di diventare sudditi senza diritti. Stessa sorte del Pd è toccata al Pdl. Il centrodestra da sempre si è identificato con una precisa mission politica: meno tasse per tutti e meno Stato, meno dirigismo, meno leggi e burocrazie asfissianti (ovvero più libertà). Bene. Stanno dandoci l’esatto opposto. Stiamo diventando il popolo più tartassato d’Europa e stiamo diventando così sudditi che non solo il popolo ha perso la sovranità (elettorale e politica), ma è ormai in libertà vigilata perfino quando va a prelevare i suoi risparmi dal proprio conto corrente, dovendo giustificare allo Stato poliziesco come intende spenderli. E non si venga a dire che questo serve a combattere l’evasione, perché è una balla ridicola. Non serve che a vessare. Se davvero volessero eliminare di colpo l’evasione fiscale - abbassando per tutti le tasse - basterebbe rendere detraibile per tutti l’Iva per ciascun acquisto.

Perfino le cosiddette liberalizzazioni - come ha dimostrato Piero Ostellino - sono il contrario esatto: un caso di dirigismo. E - a proposito di sistema liberaldemocratico - con un premier che frequenta più le Borse che le Camere ormai il Parlamento pare ridotto a un orpello inutile, tanto che Napolitano può intimargli di smetterla con gli emendamenti. Votino e zitti. Perfino Repubblica sta suonando l’allarme. Ieri è stata pubblicata un’intervista a Zagrebelsky che arriva a preoccuparsi per la nostra perdita di sovranità nazionale. Era ora. Ormai qualunque organizzazione internazionale pretende di dare ordini all’Italia: l’ultima arrivata è l’Ocse, dopo che l’hanno fatto la Bce, il Fmi, la Bundesbank, Obama, la Merkel, Sarkozy e i famosi mercati. Si dirà che però nel 2013 avremo il pareggio di bilancio. In realtà il 70 per cento dei provvedimenti che portano a questo risultato è dovuto alle stangate del precedente governo. Inoltre conseguiamo questo risultato a prezzo di una dura recessione (col Pil a –1 per cento), di una disoccupazione che cresce, di tre declassamenti (da parte delle famose agenzie di rating) e di un aumento generale della povertà.

Da professori che si presentavano come sapientoni ci aspettavamo che finalmente costituissero la tanto studiata società per mettere a reddito l’enorme patrimonio immobiliare pubblico (anche se - come dice oscar Giannino - la cosa non farebbe piacere alle banche). È quella la chiave per abbattere il debito pubblico, le tasse e rilanciare la crescita. Ma non si è visto niente del genere. Solo aumento delle tasse, della benzina e dell’Iva, con la diminuzione di stipendi, assistenza e pensioni: il solito, eterno, insopportabile tartassamento del cittadino che vorrebbero pure di «rieducare» col ditino alzato. Come nella ex Germania comunista è al potere una casta che pretende di cambiare il popolo, invece di avere un popolo sovrano cui si riconosce il diritto di cambiare chi comanda e le sue politiche. In Italia oggi gli unici soddisfatti sono i banchieri. La gente si rassegna a subire Monti solo perché i partiti sarebbero perfino peggio. Non si parli dunque di consenso: è disperazione. Naturalmente Monti ha fatto pure qualcosa di buono: ha bocciato le Olimpiadi. Ma per questo non era necessario sospendere la vita democratica e fare un governo di scienziati, bastava il buon senso di mia nonna.

di Antonio Socci

La casta aumenta


C’è una nuova supercasta che da ieri è nata in Italia: quella dei borgomastri. Le ha dato i natali Mario Monti, che evidentemente sta parlando troppo al telefono con Angela Merkel, ed è al centro del disegno di legge governativo sulle province approvato dopo ore di discussione nella tarda serata di venerdì. Il premier ha scelto di tenere in vita tutti i consigli provinciali, e ha pure innestato una robusta retromarcia rispetto a dicembre scorso, facendo rivivere molte delle poltrone che aveva appena tagliato. Ma per dare un senso al clamoroso voltafaccia, Monti se ne è inventata una nuova: i consigli provinciali saranno interamente occupati da sindaci e consiglieri comunali della zona, gli unici a potersi presentare d’ora in avanti a quel tipo di elezioni.

Una volta scelti - ha spiegato in un comunicato stampa la presidenza del Consiglio nella notte di venerdì - «gli eletti mantengono la carica di sindaco e consigliere comunale per tutta la durata del quinquennio provinciale di carica». Come minimo dunque i consigli provinciali oltre ad offrire una nuova ribalta politica (e nuove spese, al di là dei loro emolumenti) alla casta dei borgomastri, allungherà loro la vita: perché finchè saranno in consiglio provinciale non decadranno dalla carica in Comune, con l’effetto di allungare quel mandato oltre il termine previsto. Probabilmente nella testa del governo c’è l’idea di elezioni comunali che precedono solo di qualche settimana quelle provinciali, ma la scadenza dei consigli di comuni e province solo in qualche raro caso è contemporanea. Quasi sempre hanno legislature incrociate, con scadenze ad anni di distanza gli uni dagli altri. Con questa idea un po’ fantasiosa ora il governo rischia di dovere intervenire per allungare (come sembra) legislature al di là dei termini di legge, o al contrario accorciarle bruscamente per fare partire quasi in contemporanea i mandati di comuni e nuove province. Nell’uno e nell’altro caso un bel pateracchio istituzionale. Perché con la prima ipotesi si potrebbe verificare l’assurdo di un sindaco che grazie all’elezione nel consiglio provinciale, potrebbe raddoppiare il proprio mandato in Comune senza nemmeno chiedere il permesso ai suoi elettori. Nella seconda ipotesi avverrebbe invece il contrario: sarebbe il governo ad accorciare il mandato popolare di un sindaco per allineare la legislatura comunale con quella della nuova provincia.

Tanto per capire cosa significa, a dicembre proprio il governo Monti aveva ipotizzato di fare troncare la legislatura degli attuali consigli provinciali entro la fine del mese di marzo 2012. Erano insorti subito i diretti interessati, ma anche gli addetti ai lavori, così emerso che la norma aveva evidenti profili di incostituzionalità e piuttosto di affrontare bracci di ferro e continui ricorsi alla Corte Costituzionale, Monti aveva preferito ritirare il testo che aveva approvato in consiglio dei ministri. Con il decreto salva- Italia già si era abbandonata l’idea di abolire o per lo meno ridurre le province italiane, scegliendo solo di trasformale in enti di secondo livello intermedi fra i comuni e le Regioni (idea che viene confermata dal nuovo disegno di legge) e di ridurne sensibilmente gli apparati, grazie a un robusto taglio di poltrone. La norma entrata in vigore a fine 2011 (perché approvata con il decreto salva-Italia) stabilisce la riduzione dei consigli provinciali a dieci consiglieri più il presidente della provincia.

La ragioneria generale dello Stato aveva ipotizzato nella relazione tecnica un risparmio medio di 65 milioni di euro: i consiglieri provinciali non avrebbero ricevuto indennità, ma il personale che oggi li assiste nelle segreterie e negli organi di direzione della provincia sarebbe stato in prospettiva dimezzato come quelle poltrone. Era il solo taglio ai costi della politica davvero deciso dal governo dei tecnici, dopo tante parole restate senza conseguenza. Monti deve essersene pentito, perché magicamente nel nuovo disegno di legge governativo quei 10 consiglieri diventano 16 per le province con più di 700 mila abitanti (sono 24) e 12 per quelle fra 300 e 700 mila abitanti (sono 51). Restano immutati solo per province più piccole (38). Questo significa che gli attuali 1.100 consiglieri provinciali stabiliti dal decreto salva-Italia di dicembre diventeranno ora 1.376, con aumento dei costi della politica di circa 16 milioni di euro (facendo gli stessi calcoli della ragioneria generale dello Stato). Il governo tecnico in soli due mesi si è già ammalato di politichite acuta, e diventa sempre più comprensivo con la casta. Non lo ammette chiaro e tondo, lo dice con le stesse parole che avrebbe usato un politico di lungo corso: l’aumento dei consiglieri provinciali è stato pensato “per consentire l’accesso in consiglio di tutto l’arco delle forze politiche, garantendo la rappresentatività di tutte le opinioni e la tutela delle minoranze”. Forse la verità è che Monti sta davvero pensando al suo futuro politico, e per quello ha bisogno dei partiti. Che è tornato ad accarezzare così.

di Fosca Bincher

domenica 26 febbraio 2012

Suicidi italiani


MILANO - La crisi economica continua a generare tragedie. Un sessantaquattrenne residente in un comune vicino a Firenze si è impiccato all'interno del capannone della sua azienda. Il corpo è stato trovato da alcuni familiari che hanno avvertito il 118 e i carabinieri. All'origine del gesto ci sarebbero motivi economici e finanziari: l'uomo vi avrebbe fatto riferimento in un biglietto trovato vicino al suo corpo. L'uomo sarebbe andato nell'azienda dove ha preso una corda e l'ha attaccata a una trave del soffitto. Poi si è lasciato andare nel vuoto. Quando il medico del 118 è arrivato sul posto per l'imprenditore non c'era più niente da fare.

ALTRO SUICIDIO - Altro tragico gesto in Liguria dove un elettricista sanremese di 47 anni si è suicidato sabato sera sparandosi al capo con una pistola. L'uomo potrebbe essersi ucciso a causa della depressione in cui era caduto dopo il licenziamento. Alessandro F. era stato infatti licenziato qualche settimana fa dalla ditta nella quale lavorava da molti anni. Ieri sera ha cenato con la sua compagna poi è sceso in cantina e si è sparato con una Smith and Wesson calibro 28 di sua proprietà. L'uomo non ha lasciato lettere ma ai carabinieri i familiari hanno riferito della profonda depressione in cui l'elettricista era caduto dopo il licenziamento.

E la lobby bancaria


MILANO - E dire che l'esecutivo tecnico di Mario Monti era stato subito appellato dai più critici come il governo delle banche: proprio gli istituti di credito si sentono oggi particolarmente colpiti da alcuni obblighi introdotti da Salva Italia e liberalizzazioni. Obblighi che, viene sottolineato, si sommano già a quelli su rafforzamenti patrimoniali e liquidità che provengono da Basilea 3 o dai «calcoli» dell'Eba, l'authority europea sul settore. Motivo di fondo sottostante del «malumore» è in verità rintracciabile nella difficile interpretazione di ciò che viene a essere approvato. Negli ultimi mesi fra decreti, modifiche, emendamenti vari si è perso in certi casi il filo delle normative, con un diffuso senso di difficoltà a calcolarne le possibili implicazioni operative e gli effetti economici. Ma sono in particolare tre i punti che sembrano sollevare le maggiori «perplessità» fra i banchieri.

Il primo riguarda il provvedimento in teoria con maggiore impatto sociale: il conto corrente a zero spese di apertura e gestione per i pensionati con assegni inferiori ai 1.500 euro. Non sembra risultare ancora chiaro se la cifra da considerare sia lorda o netta (cambia parecchio il perimetro di applicazione), se i conti siano diretti anche a chi magari riceve una simile pensione ma ha a disposizione anche cifre consistenti per svariati altri motivi, e ancora se a questo punto si parli di zero costi su tutti i servizi oppure no. Per le banche, che comunque in molti casi non condividono l'obbligo perché lo considerano un «retaggio» di quando l'impresa creditizia era pubblica e quindi vista come servizio pubblico, sembra difficile fare il calcolo di cosa tutto ciò possa significare in termini di minori introiti. Considerato un costo medio per ogni conto di circa 110 euro l'anno (cifre Bankitalia), inizialmente si è parlato di circa 1 miliardo. I pensionati in Italia sono 16,7 milioni, dei quali 9 percepiscono l'assegno sul conto corrente bancario, 2 sul Banco posta, 4,7 su libretto postale, e 850 mila cash, cioè sono teoricamente non bancarizzati: il conto zero spese è diretto a questi ultimi o a tutti coloro che percepiscono 1.500 euro (2 mila in caso di cifra lorda)? Un rebus non da poco, visto che il 71% dei pensionati ha redditi complessivi fino a 20 mila euro.

Il secondo punto è la polizza vita collegata al mutuo: l'ultima previsione sembra prescriva alla banca che condiziona il mutuo alla sottoscrizione di una polizza vita l'offerta al cliente di due contratti di compagnie non appartenenti al proprio gruppo, oltre alla propria. Ciò significa che l'istituto, oltre a un contratto collettivo standardizzato, deve proporre altri due individuali e quindi soggetti a visita medica e altre modalità varie. Inoltre la banca è obbligata ad accettare l'eventuale polizza che il cliente può scegliere sul mercato. Secondo gli istituti l'abbinamento al mutuo di una polizza vita o perdita posto di lavoro funziona già bene (visto che il 40% dei mutui ha un contratto assicurativo associato), se ne sono già visti gli effetti (nel 2008-2010, anni di difficoltà crescenti, gli indennizzi sono aumentati del 400%) ed è opportuna dato che la clientela oggi ha in media 40 anni (con finanziamenti ventennali). Ebbene, la difficile praticabilità di tutte le condizioni previste può ottenere secondo gli istituti l'effetto contrario, cioè deprimere l'erogazione dei mutui anche allungandone i tempi. Un terzo «obbligo» riguarda l'assenza di commissioni ai distributori di benzina per pagamenti con carta di credito fino a 100 euro, onere oggi a carico dell'esercente e che verrebbe dunque trasferito a banche e circuiti internazionali. Un provvedimento introdotto già dal precedente governo, poi cancellato e reinserito. Difficile capire quanto possa significare per gli istituti (non c'è visibilità sulla specifica tipologia di transazione) ma che secondo le banche solleva interrogativi su cifre (100 euro?) e obiettivi. Tracciabilità a parte, fine sempre condiviso.

Sergio Bocconi

La lobby cattolica


ROMA - Sarà votata domani in Commissione Industria al Senato. E forse se ne saprà di più. Oggi le uniche certezze sono quella paginetta-emendamento a firma di Mario Monti che affronta la questione dell'Imu (la nuova Ici) per gli immobili della Chiesa in base alla loro «modalità commerciale»; gli interventi di Napolitano, Schifani e Fini che riconoscono alla Chiesa cattolica un «contributo rilevante»: soprattutto il capo dello Stato ha ricordato che il contributo dei cattolici «nei campi della cooperazione, educazione, istruzione e assistenza sanitaria e sociale a favore di quanti vivevano in condizione di povertà e precarietà sociale ed economica» è stato «rilevante» negli anni; il dibattito nel mondo politico e soprattutto in quello cattolico che ha continuato ad animarsi e non si placherà fino a quando Monti non dirà parole più chiare.

Chi pagherà questa Imu? Anche le scuole cattoliche? Che significa «modalità commerciale», o meglio fin dove porterà la norma? Il premier deve risolvere la questione Imu-Chiesa anche per fermare la procedura di infrazione dell'Unione Europea contro l'Italia per il trattamento fiscale di favore sulle proprietà ecclesiastiche. E questo è ormai talmente assodato che tutti, anche i cattolici, ne sono consapevoli. La questione che resta completamente aperta è quella del «no profit». È dentro o fuori dall'esenzione? Dove, in concreto, lo Stato andrà a prendere i soldi? Centrodestra, Terzo Polo e mondo cattolico, in primo luogo i salesiani, sono molto preoccupati. Le scuole cattoliche, dicono, non si toccano. Don Alberto Lorenzelli, presidente della Conferenza italiana dei Superiori maggiori, nonché capo dei salesiani dell'Italia centrale, dice che «così le scuole cattoliche chiuderebbero, a migliaia. Noi non lavoriamo per i ricchi ma per quelli che hanno di meno. Mi auguro che l'Imu riguardi solo gli spazi in cui ci sono vere realtà commerciali».

Anche L' Avvenire scrive che «il governo non ha ancora chiarito tutto» e suggerisce di lasciar perdere le scuole, sarebbe «un autogol, una forma di autolesionismo». Molte piccole scuole «già oggi vivono di stenti - ha scritto il giornale della Cei - pur essendo in molti piccoli centri l'unica realtà a disposizione delle comunità locali». Il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl), che proviene da Comunione e Liberazione, chiede chiarimenti al governo: «Saranno tassate anche solidarietà e sussidiarietà? Sarebbe inaccettabile che un asilo nido parrocchiale, che svolge da sempre funzione pubblica, pagasse l'Imu». «Sarebbe sbagliato - gli fa eco Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl -, penalizzare chi si occupa di poveri o di educazione». Più morbido, ma sulla stessa linea Pier Ferdinando Casini: «La norma è chiara. Gli edifici della Chiesa adibiti ad attività commerciali è giusto che paghino come tutti gli altri. Molto diverso è il caso degli enti assistenziali, delle scuole, di un servizio straordinario che c'è nei piccoli centri».

Il centrosinistra, ovviamente, apprezza la scelta di far pagare l'Ici alla Chiesa ma non polemizza sulle scuole. Il cattolico Stefano Ceccanti, costituzionalista del Pd, ha invitato tutti a «non inventare problemi che non esistono perché la norma è chiara e risolutiva. Sulle scuole andranno commisurati i contributi richiesti agli utenti con il costo effettivo del servizio per valutare se si tratti di attività commerciale o meno, a prescindere dalla qualifica formale dell'istituto». Inoltre, ha detto Ceccanti, «ad una norma di legge non si possono chiedere dettagli, per questo l'emendamento chiede opportunamente sessanta giorni per un apposito decreto del ministero dell'Economia». Il leader di Sel, Nichi Vendola, non pensa che la norma Monti sia dovuta ad un «coraggio laico» del governo. Applicare l'Ici alla Chiesa è solo «l'adempimento di un dovere perché siamo a rischio di procedura e multa per infrazione comunitaria. E poi che anche la Chiesa paghi l'Imu è un fatto di decenza e corrisponde al principio evangelico "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"».

Mariolina Iossa

sabato 25 febbraio 2012

L'atto dovuto


La Procura di Roma ha deciso di procedere nei confronti dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per il reato di omicidio. I due fucilieri del battaglione S.Marco erano in servizio sulla petroliera italiana Enrica Lexie e sono stati arrestati in India perchè accusati di aver ucciso il 15 febbraio due pescatori scambiandoli per pirati. L'iscrizione dei due marò per omicidio volontario sarebbe una sorta di atto dovuto legato alle risultanze dei fatti che emergono dall'informativa che la Farnesina ha messo a disposizione della magistratura nelle ultime ore. Giovedì 23 febbraio la magistratura indiana aveva deciso di tenere i due italiani per altri sette giorni in stato di fermo . Il presidente del Consiglio Mario Monti ha rassicurato le famiglie sull'impegno del governo italiano per la liberazione.

INDAGINI - Venerdì mattina la petroliera italiana Enrica Lexie è tornata nel porto di Kochi, nello stato indiano meridionale del Kerala, per permettere ulteriori indagini da parte della polizia sull'uccisione di due pescatori indiani. In particolare gli investigatori, guidati dal commissario Ajit Kumar, devono salire a bordo per visionare le armi utilizzare dai due marò. Come concordato durante la visita del sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, l'intera operazione sarà effettuata alla presenza dei diplomatici italiani, per garantire la massima trasparenza. La delegazione italiana sarà presente al momento in cui saranno posti i sigilli sul materiale bellico che appartiene allo Stato italiano.

Quello che non dicono...


Le celebrazioni per i primi cento giorni del governo Monti hanno raggiunto l’apice. All’unisono, stampa e tv raccontano le meraviglie di un Paese cambiato. Sappiamo che il premier ha il sostegno sincero e leale dell’ex premier Berlusconi che volontariamente gli ha lasciato il posto. E sappiamo che Monti gode anche di stima di una larga fetta di notabili ed elettori del Pdl ai quali non dispiacerebbe averlo come nuovo leader. Tutto questo ci è chiaro, ma non per questo dobbiamo nascondere sotto lo zerbino alcune verità. Per esempio. Durante i mirabolanti cento giorni l’Italia è entrata tecnicamente in recessione, la disoccupazione è cresciuta, quella giovanile ha superato la soglia del 30 per cento, le agenzie internazionali ci hanno declassato e spediti addirittura in serie B. Ancora. Le tasse sono aumentate raggiungendo un nuovo record di pressione fiscale, la benzina sfiora i due euro al litro, le liberalizzazioni, quelle vere, non ci sono e non ci saranno. La Rai è diventata un pollaio fuori controllo, la Protezione civile un buco nero. Lo spread è sceso ma resta a livelli che quattro mesi fa venivano giudicati insostenibili e pericolosi.

Tutto questo è accaduto in presenza di una maggioranza politica innaturale e bulgara, di un Parlamento commissariato dal presidente della Repubblica, di un governo che va avanti a colpi di decreti-legge e voti di fiducia. Insomma, ci mancava soltanto che in una situazione di potere così unica e forse irripetibile non tornasse almeno un po’ di fiducia, che peraltro è gratis, nell’esecutivo. Ma onestamente, non vediamo proprio che cosa ci sia da gioire o celebrare. Il miracolo, annunciato e atteso, non c’è stato e non poteva esserci. Perché con le regole blindate dalla nostra Costituzione neppure il governo dei migliori, o come in questo caso dei non eletti, della non casta, è in grado di liberare il Paese dalle incrostazioni. E per cambiare la Costituzione, che ci piaccia o no, c’è una sola strada: ridare parola e potere alla politica. I cento giorni sono quindi sì importanti ma nel senso che sono cento giorni in meno che mancano alle elezioni. Nel frattempo sono certo che il governo Monti farà cose apprezzabili e tutti gliene saremo grati. Se poi strada facendo ci portiamo avanti con qualche riforma che vada oltrel’allargamento della base di taxisti e farmacisti, be’, credo che la cosa non guasterebbe. Il Parlamento, se volesse, ne avrebbe facoltà.

venerdì 24 febbraio 2012

Immigrazione e comunisti


Fermo - La provincia di Fermo istituisce la consulta dell’immigrazione. A darne l’annuncio è l’assessore Giuseppe Buondonno: “Il prossimo martedì 28 febbraio, nel corso del consiglio provinciale, sarà discussa la proposta ufficiale con successiva delibera”. Un organo atteso da tempo e fortemente richiesto dai tanti immigrati che vivono e lavorano nel territorio fermano.. Un processo d’integrazione ormai strutturato che parte dalle scuole per arrivare alle più svariate attività lavorative e alla vita di tutti i giorni. Immigrati che nella provincia di Fermo rappresentano quasi il 10 per cento della popolazione. Le varie associazioni di extracomunitari si dichiarano soddisfatte per la costituzione della nuova consulta. Un’attesa che è stata premiata. Assessore Buondonno che spiega come questa realtà: “Sarà composta da alcuni membri di diritto scelti secondo il regolamento consiliare delle consulte. Ne faranno parte le istituzioni, i rappresentati delle realtà sindacali, delle associazioni d’immigrati, del settore volontariato e della Prefettura di Fermo”. La varie organizzazioni di extracomunitari saranno invitate a presentare una dichiarazione d’interesse di cui la nuova consulta terrà conto. Buondonno che spiega come: “La provincia ha anche istituito un tavolo tecnico per quel che riguarda il progetto sperimentale denominato ‘Pon’ avviato con la Regione Marche e con Italia Lavoro. L’obiettivo è quello di creare un raccordo per l’inserimento e il reinserimento degli immigrati nel mercato del lavoro”. Subito dopo l’approvazione in consiglio provinciale di martedì prossimo, ci sarà una fase di lavoro preparatorio. La composizione della nuova consulta avverrà anche tenendo conto delle varie etnie presenti sul territorio Fermano. Novità anche sul fronte del comune di Fermo. Dopo la scadenza del termine di sei mesi per la nomina del consigliere comunale aggiunto, segnalata nei giorni scorsi dal Corriere Adriatico, il presidente del consiglio Giovanni Lanciotti spiega il lavoro svolto. Lo scorso 21 febbraio la terza commissione consiliare (Cultura, Politiche Socio Sanitarie, Partecipazione) presieduta da Patrizio Cardinali ha convocato una seduta per lunedì prossimo, 27 febbraio, con un unico punto all’ordine del giorno: l’incontro con i rappresentanti delle varie etnie di cittadini extracomunitari presenti nel territorio della città di Fermo, in vista dell’elezione del loro rappresentante in Consiglio Comunale. Della questione si è occupata anche la conferenza dei capigruppo. “È importante – ha spiegato Lanciotti - che si concluda rapidamente il percorso avviato”.

Ulteriori rapine

Class action vs Rai di Davide Giacalone

Ci sono gli estremi per una class action contro la pretesa del canone speciale Rai. Questione niente affatto superata dalla retromarcia di ieri, che, anzi, rende ancor più grottesca la situazione. Se lo spirito delle liberalizzazioni avesse già attecchito dovremmo leggere gli annunci pubblicitari degli studi legali, tesi ad offrire il servizio a molti cittadini, indebitamente aggrediti da ingiunzioni minacciose e, soprattutto, fuori legge. Mettiamo ordine fra gli schiamazzi. Accantono, ma solo per un momento, la soluzione più corretta: vendere la Rai e cancellare il balzello del secolo scorso. Restiamo (con dolore) dentro il sistema attuale: la pretesa del canone anche per terminali diversi dal televisore, come il computer, il tablet o lo smart phone non è nuova, tanto è vero che l’abbiamo raccontata diverse volte e tempo addietro. Tutti gli indignati caduti dal pero prendano la collezione di Libero e facciano ammenda della sorpresa. Chi ora tira un sospiro di sollievo sbaglia. Aggiungo che tale pretesa non è affatto limitata, come qualcuno ha erroneamente scritto, alle sole aziende, ma riguarda anche le famiglie: non hai il televisore ma il computer? Devi pagare lo stesso. Fino a ieri sostenevano che bastava il possesso di un sistema adattabile alla ricezione, ora vogliono i soldi solo se è stato effettivamente adattato. Peccato che tutti quei terminali sono già adattati.

Il fatto è che questa demenziale pretesa, figlia di una lettura strumentale e da analfabeti del combinato disposto di una norma del 1938 e dei barocchismi successivi, era destinata a restare lettera morta, semmai occasione per cori di pernacchie e fischi, ma le cose cambiano a causa di un errore commesso dall’attuale governo, che s’è fatto inserire, dalla lobby Rai, un articolo 17 nel decreto “Salva Italia”. Sicché ora si deve salvarla da quello, né il salvataggio può consistere nel mettersi d’accordo nell’ignorarlo, giacché questo è un misero trucco. Tale articolo dice che “le imprese e le società” devono inserire nella dichiarazione dei redditi il numero dell’abbonamento speciale. Madornale svarione, anche questo non corretto ieri, perché in quei luoghi il canone non è dovuto neanche se c’è un televisore, figuriamoci se c’è solo un computer. Forte di quella legge l’ufficio abbonamenti della Rai ha mandato lettere a pioggia, battendo cassa anche laddove non ha alcun diritto. La gran parte di quelle lettere sono fuori legge, anche dopo che se le sono rimangiate, perché è fuorilegge il presupposto. Spiego: l’abbonamento speciale è dovuto da tutti quegli esercizi che attirano clienti anche fornendo l’accesso alla televisione. Esempi: alberghi, bar, ristoranti, ma anche negozi con schermi che rimandano immagini diffuse dai canali televisivi. La Rai, invece, ha delle pretese su architetti, dentisti, professionisti di vario tipo, gente che, come me (sono una partita iva) di certo non desidera che qualcuno passi a sedersi per vedere una partita. Tutti noi siamo abbondantemente coperti dalla legge, che stabilisce il diritto di vedere la tv ovunque sia di nostra pertinenza, una volta pagato il canone normale. Perché la tv non fa parte della nostra attività. Chiaro? La Rai (s)ragiona diversamente: come cittadino hai pagato, ma come partita iva devi fare lo stesso (il precario che lavora a casa paga due volte per lo stesso apparecchio). Se lo scordino. E, come si vede, il discorso non cambia ora che gli hanno ricacciato in gola la pretesa di tassare ogni terminale digitale.

Quando Libero invitò a non pagare il canone dissentii. Non perché mi piaccia, ma perché non condivido l’incitazione ad evadere il dovuto, semmai se ne deve chiedere la soppressione. Ma quel che oggi la Rai chiede non è dovuto. Il che vale non solo per i computer e gli altri sistemi digitali, ma anche per quegli schermi, rivolti al pubblico, con cui si trasmettono, ad esempio, le estrazioni dei concorsi a premi. Se la Rai insiste otterrà il solo risultato di far disattivare quegli schermi, quindi di far scendere il gettito fiscale legato al gioco. Se c’è ancora un cervello, all’amministrazione delle finanze, fermi chi lo ha perso! Ecco perché dico che ci sono gli estremi per una class action: un’azienda dello Stato chiede ai cittadini e alle imprese quel che non è dovuto. Aggiungo che non a caso ho sempre considerato farlocchi i dati sull’evasione del canone (certamente evaso), perché calcolati dalle menti ottenebrate che ritengono di avere un diritto che non hanno. Senza contare che la classifica degli evasori è giudata dalla Rai stessa. Ecco un suggerimento: visto che il governo deve porre rimedio all’imbucato articolo 17, invece di praticar sotterfugi colga la palla al balzo e cancelli il canone, del tutto, spostando il finanziamento della Rai a carico della fiscalità generale. Il gettito sia compensato dai profitti dei fornitori di contenuti (beneficiari economici dell’esistenza degli spettatori). Ma non è la soluzione che preferisco, quella sana è sempre la stessa: vendetela.

Incompetenti santoni


Allarme rosso nelle casse dello stato: nei prossimi due mesi si prevede un deficit di 18-20 miliardi. Tanto, troppo: per ripianarlo non basta riformare il Tesoro: ecco perché, secondo Repubblica, prende forza l'ipotesi di un anticipo delle scadenze dell'Irap pagata dalle imprese. Come detto, la Tesoreria unica non basta: l'escamotage permetterebbe di accentrare tutte le somme depositate nelle casse degli enti locali e immetterle nella cassaforte della Banca d'Italia. Sono 8-9 miliardi di euro di fatto sottratti a Comuni, Province e Regioni. Che infatti protestano e annunciano ricorsi alla Corte Costituzionale. La beffa è che quei soldi non coprono il fabbisogno dei prossimi mesi, già annunciato in rialzo alla faccia dei tagli alla pubblica amministrazione. L'altra mossa, sconsigliata, è aumentare le emissioni dei titoli pubblici che però aumenterebbe di riflesso i tassi, con effetti nefasti sullo spread. Ecco perché dal decreto fiscale già oggi potrebbe spuntare quella vocina che tanto dispiace alle imprese: Irap anticipata, visto che la tassa si paga sul valore di produzione e non sugli utili. Un'altra cattiva notizia per gli italiani, dunque. Il premier negli ultimi giorni ha più volte smentito la necessità di una manovra bis, ma questo non significa che non si dovranno tirare fuori altri soldi. L'ultima occasione dovrebbe essere la tassa sulla casa prevista nel decreto semplificazioni oggi al vaglio del Consiglio dei ministri, mentre stando alle indiscrezioni dovrebbero essere esentate le proprietà del Vaticano.

Civili risorse


Rischiava di finire come Hina Saleem, la ragazza pachistana uccisa dal padre nel 2006 perché fidanzata con un italiano. Così nonostante le proteste una 23enne da 12 anni residente nell'hinterland milanese ha accettato di sposare un connazionale, figlio di un amico del padre, che aveva visto solo in foto. Il ragazzo, 25 anni, dopo il matrimonio si è trasferito in Italia e la coppia è rimasta per cinque anni nella casa dei suoceri. Eppure si era lamentato perché doveva costringerla ad avere rapporti sessuali, tanto che il padre l’ha ripetutamente picchiata e chiusa in casa per impedirle di avere contatti gli amici italiani. Per questo i due (marito e padre della giovane) sono stati arrestati con l’accusa di violenza. A salvarla dalla segregazione sarebbe stato un 23enne italiano che il 31 ottobre 2011 ha raccolto sotto casa sua un bigliettino con una richiesta d’aiuto. Il ragazzo ha così aiutato l’amica a fuggire e l'ha accompagnata a sporgere denuncia. Delle violenze, inoltre, sarebbero a conoscenza tutta la famiglia pachistana.

Appecoronamento continuo

E hai voglia a pubblicare in home (sui maggiori quotidiani asserviti) queste notizie che sicuramente sono bufale belle e buone ma... pur di restare piegati a 90°, si pubblica tutto. E per una notizia irrilevante come quella di cui sopra, una notizia davvero importante finisce quasi a fondo pagina... forse per non voler mostrare che il governo italiano non eletto, è completamente incapace su tutti gli argomenti? E dire che prima avevamo frattini, il peggior ministro degli esteri della storia... ma c'è sempre qualcosa di peggio, appunto.

Due pesi due misure contro la sola italia


Tre anni fa. A Roma c’era Berlusconi, a Tripoli Gheddafi. Dopo estenuanti trattative i due leader avevano raggiunto un accordo: respingimento per i clandestini che tentavano di raggiungere le nostre coste. Un’operazione dura e cruda, ma anche un modo per mettere un argine all’avanzata incontrollabile dei disperati che dall’Africa cercavano il grande salto verso l’Occidente. Una vicenda che, se misurata col metro del diritto, presentava molti aspetti quantomeno discutibili. E oggi, puntuale, arriva la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo. La sentenza di Strasburgo, all’unanimità, punisce l’Italia per il primo respingendo, del 6 maggio 2009. Due motovedette italiane intercettarono un barcone alla deriva a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali. A bordo erano in duecento: giovani, vecchi, donne, bambini. Furono riportati in Libia e lì finirono nelle fauci del regime di cui nessuno, ma proprio nessuno, immaginava la fine imminente. La polizia li caricò sui camion, come bestiame, e li deportò in varie regioni del Paese. Umiliazioni. Privazioni. Botte. Oggi la Corte (nulla a che fare con la Ue) dice che l’Italia «riportando i migranti in Libia senza esaminare i loro casi li ha esposti al rischio di maltrattamenti» con un trattamento che si è risolto in «un’espulsione collettiva».

La Corte naturalmente fa il suo mestiere e valuta la violazione dei diritti umani. Peccato che si decida in punta di diritto un problema che riguarda l’Europa intera, scaricandolo sulle spalle di Roma. Ad ogni ondata migratoria parte la gara a spostarsi e a lasciare il cerino nelle mani del nostro governo. Malta, che pure si trova da quelle parti, scansa, anzi dribbla tutti i barconi e il massimo che fa è avvisare le nostre navi. Malta non si fa scrupoli e non interviene nemmeno quando le carcasse del mare sono sul punto di rovesciarsi e le vite di quei poveracci sono un azzardo senza futuro. E Parigi? E Madrid? Parigi, quando la Tunisia scossa dalla crisi del regime di Ben Alì era diventata un trampolino verso l’Europa, ha scelto una soluzione spiccia che assomiglia ad una scorciatoia furbastra: molti fuggitivi venivano agguantati dai poliziotti in Costa Azzurra e scoprivano nelle tasche bucate scontrini dei bar di Ventimiglia e Sanremo. Dunque, in base alle solite leggi dello scaricabarile europeo, venivano rispediti in Italia e l’Italia si ritrovava con il solito cerino acceso fra le dita. Per non parlare del defunto leader della destra carinziana e austriaca Jorg Haider. In un’intervista al Giornale spiegò e risolse così il problema dei clandestini: «Quando li acciuffiamo in Carinzia, li mettiamo sui treni e li rimandiamo in Italia perchè è sicuramente da lì che sono arrivati in Europa». L’Europa ha pure un’agenzia che dovrebbe sbrogliare la matassa, Frontex, ma alla fine la palla finisce sempre sullo stivale.

L’Italia oggi viene condannata. Gli spagnoli, i socialisti di Zapatero, sparavano sui migranti che tentavano di entrare in un modo o nell’altro nelle enclave del Marocco spagnolo. O, più sottilmente, lasciavano fare la polizia locale. Si potrebbe proseguire a lungo e parlare anche della Grecia, ma il concetto è chiaro: l’Europa dovrebbe battere un colpo. Per ora il nostro Governo dovrà dare un indennizzo di 15 mila euro a testa a 22 dei 24 profughi africani - 11 somali e 13 eritrei -che avevano fatto ricorso e si erano affidati a due avvocati di grande esperienza: Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci. I 24, come tutti gli altri, non furono nemmeno identificati e non furono ascoltate le loro ragioni: fu un’operazione a scatola chiusa, come sono i respingimenti, e questo non andava bene. Particolarmente per i somali che provenivano da un Paese disintegrato e avrebbero potuto chiedere protezione a Roma. «Questa sentenza - spiega il premier Mario Monti - sarà esaminata con la massima attenzione dal governo», anche se il capo dell’esecutivo sottolinea che «si riferisce a casi del passato». Ma anche il futuro è incerto e il ministro della cooperazione Andrea Riccardi si spinge in là: il verdetto «ci farà ripensare la nostra politica nei confronti dell’immigrazione». D’altra parte Gheddafi non c’è più e la primavera araba ha cambiato la faccia della sponda meridionale del mar Mediterraneo. Secco, infine, Umberto Bossi: «Quando arriverà l’Europa delle regioni la musica cambierà».

Buffoni in sauna


BRUXELLES - Notevole imbarazzo sta creando nella Commissione europea un colloquio riservato «per soli uomini» organizzato dal vicepresidente finlandese, Olli Rehn, con sei giornalisti di importanti media. È avvenuto infatti nella sauna interna dell'istituzione di Bruxelles, ottenuta come benefit dagli euroburocrati per rilassarsi e riprendersi dalle fatiche quotidiane. Rehn aveva concordato con i reporter invitati che l'incontro e i suoi contenuti restassero riservati, in quanto solo di contesto sulla crisi finanziaria. Ma la sala stampa di Bruxelles, con un migliaio di giornalisti accreditati, è considerata la più grande del mondo. Un segreto del genere non poteva durare. E ieri Rehn, già nella presentazione delle previsioni economiche, si è visto chiedere da una giornalista tedesca se intendesse estendere alle donne i suoi colloqui riservati con i media. Il vicepresidente, molto imbarazzato, se l'è cavata esprimendo la sua ampia disponibilità verso la stampa e concentrandosi poi a parlare solo delle previsioni economiche. Il Corriere ha allora utilizzato il «Briefing di mezzogiorno» della Commissione per chiedere se l'ultimo di quegli incontri riservati con i giornalisti fosse avvenuto nella sauna e se per i partecipanti fosse previsto un dress code (regole di abbigliamento). Il portavoce spagnolo di Rehn, imbarazzatissimo, si è limitato a dire che non era il caso di fornire particolari sull'argomento perché tutti conoscono i «costumi finlandesi».

giovedì 23 febbraio 2012

Vecchie bestie... assassine di popoli


MILANO - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato una lettera ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio in relazione agli emendamenti al decreto cosiddetto Milleproroghe nella quale si richiama l'attenzione sulla sentenza della Corte Costituzionale n.22 del 2012 che ha, per la prima volta, annullato disposizioni inserite dalle Camere in un decreto nel corso dell'esame del relativo ddl di conversione. Napolitano nella lettera fa anche riferimento ai precedenti richiami fatti sul tema e, pur notando che la Costituzione non gli permette di non firmare leggi solo per obiezioni su parti specifiche senza considerare la necessità e l'urgenza in via generale del provvedimento, richiama Renato Schifani e Gianfranco Fini a far sì che le Camere rispettino le indicazioni a comportarsi correttamente.

LA LETTERA - «Anche in occasione del recente decreto-legge Milleproroghe 29 dicembre 2011, n. 216 sono stati ammessi e approvati emendamenti che hanno introdotto disposizioni in nessun modo ricollegabili alle specifiche proroghe contenute nel decreto-legge, e neppure alla finalità indicata nelle premesse di garantire l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa» si legge nella lettera. «Come è noto, il Capo dello Stato non dispone di un potere di rinvio parziale dei disegni di legge e non può quindi esimersi dall'effettuare, nei casi di leggi di conversione, una valutazione delle criticità riscontrabili in relazione al contenuto complessivo del decreto-legge, evitando una decadenza di tutte le disposizioni, comprese quelle condivisibili e urgenti, qualora la rilevanza e la portata di queste risultino prevalenti». Per questo il Capo dello Stato si rivolge ai presidenti dei due rami del Parlamento, chiedendo loro di evitare per il futuro l'ammissione di modifiche incongruenti. «Sottopongo alla vostra attenzione la necessità di attenersi, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti riferiti a decreti legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità». Questo «anche adottando - se ritenuto necessario - le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari».

Le colpe (inesistenti) dell'italia


STRASBURGO - La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia per i respingimenti verso la Libia. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, non è stato in particolare rispettato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.

IL RISARCIMENTO - La Corte ha inoltre stabilito che l'Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani. L'Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili. I legali dei ricorrenti hanno, invece, rinunciato alla refusione delle spese di lite, chiedendo soltanto il rimborso dei costi sostenuti per partecipare all'udienza che si è svolta a Strasburgo il 22 giugno 2011.

LA VICENDA - Come ha ricordato nei giorni scorsi il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir), il 6 maggio 2009 a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. I migranti non hanno avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di questi 200 migranti, 24 persone (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir. È stato lo stesso Consiglio ad incaricare gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Si tratta della più importante sentenza della Corte di Strasburgo riguardante i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglati dal Governo Berlusconi.

I TRE PRINCIPI - La Corte ha ricordato che i diritti dei migranti africani in transito per raggiungere l'Europa sono in Libia sistematicamente violati. Inoltre, la Libia non ha offerto ai richiedenti asilo un'adeguata protezione contro il rischio di essere rimpatriati nei paesi di origine dove possono essere perseguitati o uccisi. A causa di questa politica, secondo le stime dell'Unhcr circa 1.000 migranti, incluse donne e bambini, sono stati intercettati dalla Guardia costiera italiana e forzatamente respinti in Libia senza che prima fossero verificati i loro bisogni di protezione.

REAZIONI - «Quello della Corte europea dei diritti umani era un pronunciamento che ci aspettavamo», afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei. «Getta un macigno sulle politiche immigratorie del governo Berlusconi, che ha ceduto alle pulsioni anti immigrati della Lega». Sulla stessa linea Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci - Fds: «Bene la condanna della Corte europea, anche se non ridarà la vita a chi è morto nel dramma del 2009». Per Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, si tratta di «una censura gravissima per il governo che commise quell'errore e per quelle forze politiche che non solo difesero ma si fecero vanto di quei respingimenti, condannati immediatamente da tutte le organizzazioni umanitarie». «La tragica conferma che la demagogia al potere non è mai innocua ma produce errori ed orrori, come in questo caso».

Cineserie che nessuno vede


Sono tra le prime immagini dei laboratori clandestini gestiti dai cinesi in Italia. La città è Prato e il filmato mostra il risultato di un’indagine della Guardia di finanza tesa a stroncare il lavoro nero e l’attività illegale dei money transfer. A mostrarle sarà giovedì sera Sirene, il nuovo programma con Margherita Granbassi che andrà in onda su Rai Tre ogni giovedì alle 23,15. E che utilizzerà filmati inediti e servizi girati in esclusiva dalle forze dell’ordine. Le immagini più crude della fabbrica clandestina di Prato sono quelle che riguardano i bambini. La vita delle donne che cuciono, delle moderne schiave, si svolge tutta dentro uno stanzone, lì si dorme, si mangia, si lavora e lì si fanno vivere i figli. Che dormono tra le macchine e la sporcizia. Donne, bimbi e topi sono coinquilini. I finanzieri mostrano alle telecamere la colla che i padroni del laboratorio hanno steso sul ripiano di un frigorifero per tentare di immobilizzare i ratti. Anche in questo caso cibo ed escrementi sono contigui.  Edoardo Nesi, lo scrittore pratese premiato quest’anno con lo Strega, aveva raccontato con grande efficacia nel suo ultimo libro la cronaca di un blitz delle forze dell’ordine in un sottoscala. Ma la forza delle immagini aggiunge qualcosa in più e ci si domanda se nell’Italia culla dei diritti sindacali, per di più nella civilissima Toscana, si possa tollerare il risorgere dello schiavismo. Quello sfruttamento crudele e inumano - non va dimenticato – serve ad alimenta un perverso modello di business come quello creato dai cinesi nel distretto parallelo di Prato. E illegalità dopo illegalità si passa successivamente ai money trasfer e al denaro sporco e globalizzato.

Dario Di Vico

mercoledì 22 febbraio 2012

Il sacrificio dei Marò...

... gli affari in india e altre incapacità.


I marò possono aspettare: di mezzo ci sono i contratti. A quasi una settimana dall’incidente dell’Enrica Lexie, il governo Monti compie finalmente il primo passo tangibile. La Farnesina ha inviato un’informativa alla Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo e valuta l’invio di rogatorie. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Santagata, inoltre, ha spedito in India il sottosegretario con delega agli affari asiatici Staffan De Mistura. Una scelta, quest’ultima, che sulle prime poteva destare qualche perplessità: la faccenda è delicata oltre ogni immaginazione e, specie dopo avere dimostrato riflessi non prontissimi a botta calda, molti si sarebbero aspettati da Monti e dal suo governo un gesto più eclatante, come ad esempio l’invio del ministro in persona.

Curriculum Onu - A motivare la decisione della Farnesina ci sono essenzialmente due fattori. Il primo è che, se nella squadra ai vertici della nostra diplomazia esiste qualcuno col know how per affrontare una situazione del genere, questi è proprio De Mistura: diplomatico tra i più capaci e conosciuti d’Italia, De Mistura è particolarmente esperto di diritto internazionale e questioni militari, ossia i due temi che si incrociano nella vicenda dei marò. All’Onu dal ’71, il sottosegretario negli anni si è occupato per il Palazzo di vetro della gestione delle crisi in Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Iraq, Somalia e Afghanistan: quando è stato chiamato a fare parte della squadra di governo, ricopriva il ruolo di inviato speciale a Kabul. Per cui, quando sottolinea che De Mistura «ha una particolare esperienza di Nazioni unite», il ministro Terzi dice una sacrosanta verità. Il numero uno della Farnesina - che ha peraltro comunicato di essere «collegato continuamente con i ministri della Difesa e della Giustizia» e di «riferire costantemente al presidente del Consiglio» - oggi nel primo pomeriggio riferirà alle commissioni Esteri riunite di Camera e Senato (l’audizione era stata programmata sulla Somalia, ma l’ordine del giorno è stato aggiornato in corsa). Dopodiché, martedì prossima raggiungerà il sottosegretario De Mistura a Nuova Delhi. E qui si arriva al secondo fattore. Perché, come se non fosse già abbastanza tragico di per sé, l’incidente dell’Enrica Lexie è avvenuto con la peggiore tempistica possibile. Da parecchio tempo, infatti, è in calendario per la prossima settimana una importantissima missione diplomatico-commerciale proprio in India: ministri (il consueto tandem Esteri-Sviluppo economico), imprenditori, investitori, giornalisti. Tutti da caricare sull’aereo e portare a contatto con un mercato che per l’Italia ha grandissimo valore.

Il giro d’affari - Per rendersi conto dell’entità della cosa, basta mettere in fila qualche numero: nel 2011 l’interscambio commerciale tra Italia e India ha superato i 7,5 miliardi di euro, con un aumento sul 2010 stimato attorno al 25%. Il governo Berlusconi - che coi ministri Frattini e Romani aveva già avviato iniziative simili - stimava una crescita del volume d’affari tra i due Paesi del 100% in un quinquennio, prevedendo 15 miliardi di interscambio entro il 2015. Le imprese interessate - principalmente nei settori di automotive, energia, moda ed elettronica - sono circa quattrocento. Per dire, una delle svariate partite in ballo è il lancio della Vespa in India, che ieri il numero uno di Piaggio Roberto Colaninno ha promesso per maggio. Tanti e tanto grandi gli interessi in gioco, insomma, da rendere assai onerosa una cancellazione della missione per sopraggiunta frizione diplomatica. E a ieri sera, infatti, non si avevano notizie di eventuali sconvocazioni o ritardi di sorta. La missione di De Mistura, pertanto, appare essere quella di preparare il campo all’arrivo del ministro sciogliendo in via preliminare i nodi diplomatici - tanti e, come ha detto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - «ingarbugliati» - con le autorità indiane. Qui l’Italia potrebbe trovare una inattesa sponda nel cardinale George Alencherry, arcivescovo della Chiesa Syro-malabarese che si è offerto per un’opera di «mediazione con i ministri cattolici del governo del Kerala» onde evitare strumentalizzazioni politiche, viste le elezioni imminenti in quello Stato.

di Marco Gorra

martedì 21 febbraio 2012

Gli ometti in loden e i Marò


La vicenda dei due fanti del reggimento San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, di fatto prigionieri delle autorità indiane con l’accusa di aver ucciso due pescatori ritenuti dei pirati che stavano per abbordare la petroliera Enrica Lexie, sta mettendo in luce i limiti dell’azione politica, diplomatica e militare italiana nella gestione della crisi. Tutti gli esperti in diritto internazionale hanno sottolineato gli abusi delle autorità indiane che a nessun titolo potevano “dirottare” nel porto di Kochi una petroliera italiana per un incidente tutto da chiarire e in ogni caso avvenuto in acque internazionali così come la magistratura indiana non aveva nessuno diritto di disporre, come ha fatto oggi, tre giorni di fermo per gli uomini del San Marco implicati nella morte di due pescatori indiani.

I riscontri sull’accaduto per altro non combaciano. L’incidente denunciato dagli indiani è avvenuto in un luogo e in momento diverso da quello registrato dalla Enrica Lexie che riguarda un peschereccio di forma, colore e stazza diverse come dimostrano i filmati ripresi dall’equipaggio della petroliera. Le stesse ragioni giuridiche avrebbero dovuto impedire alle autorità di Nuova Delhi di far sbarcare due militari italiani da un mercantile che batte il tricolore (e quindi è territorio italiano) e di portare in tribunale due soldati come fossero criminali quando la giurisdizione sui militari è strettamente attribuita alle autorità del loro Paese. L’india sta violando non solo il diritto ma anche le pratiche procedurali negando l’autopsia sui due pescatori uccisi (i funerali si sono svolti sabato) e gli esami balistici che chiarirebbero in modo inconfutabile se sono stati proiettili italiani a colpire i due uomini. Ad aiutare la disinvoltura degli indiani hanno però contribuito molti errori madornali compiuti dalle autorità italiane (gli omini “tecnici che vestono il loden). A cominciare dal fronte mediatico (sempre pronto a stracciarsi le vesti per qualsiasi cazzata, vedi le mutande di Belen).

Nessun ministro o vertice militare si è pronunciato sulla vicenda lasciando di fatto ai media e alle autorità indiane il monopolio della comunicazione con evidenti riflessi negativi per la posizione italiana quasi del tutto assente dalle pagine dei giornali internazionali e presente spesso solo marginalmente persino sui media italiani (se non addirittura accettando per buona la versione dei fatti indiana). Inoltre non c’era nessun motivo per autorizzare la Enrica Lexie ad entrare nel porto di Kochi. Gira vice che la Marina si sia opposta ma l’armatore e la Farnesina avrebbero acconsentito a soddisfare la richiesta dell’India (tipico calabraghe ormai entrato nel DNA italiota). Nessun motivo neppure per acconsentire che due militari italiani lasciassero il “territorio nazionale”, cioè la nave, per venire interrogati da un tribunale indiano. Un arbitrio che non doveva essere tollerato né tanto meno autorizzato dalla nostra ambasciata a Nuova Delhi. L’evidente tentativo di non irritare gli indiani si è trasformato così in un autogoal spaventoso per la Farnesina, a una settimana dal viaggio del Ministro Giulio Terzi a Nuova Delhi.

Nonostante il rude e provocatorio atteggiamento indiano non si registra finora nessuna reazione forte di Roma che a questo punto si trova a corto di opzioni. Il sequestro di una nave commerciale e di sei militari sono un motivo più che sufficiente per forzare i toni diplomatici e assumere anche iniziative militari simboliche. (io avrei immediatamente mobilitato gli incursori per radere al suolo il porto indiano) Se si fosse trattato di cittadini o militari statunitensi o britannici o francesi ci sarebbero già portaerei e flotte da guerra di fronte al porto di Kochi. L’Italia schiera una fregata nell’Oceano Indiano nell’ambito della missione Nato anti-pirateria. Non sarebbe il caso di mandarla al limite delle acque nazionali indiane e ordinare ad altre navi di salpare da Taranto? Non certo per fare la guerra all’India ma quanto meno per dimostrare con un po’ di “diplomazia navale” che l’Italia non accetta senza reagire che vengano detenuti arbitrariamente sue navi e suoi militari. A differenza dei casi di pirateria, nei quali navi ed equipaggi catturati sono civili, in questo caso in pericolo (rischiano la pena di morte in base alle leggi indiana) ci sono dei militari imbarcati secondo le leggi dello Stato sui mercantili per proteggerli. Una considerazione che rende ancora più assordante il silenzio dei vertici militari dal Ministro della Difesa (che tra l’altro è un ammiraglio) Giampaolo Di Paola al Capo di stato maggiore della Difesa, il generale Biagio Abrate al Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Bruno Branciforte. Dovè finito l’onore degli uomini della Decima?

... ma non è razzismo


VICENZA - Candidamente, e lo scrive anche nel cartello, dice di non essere mossa da intenti razzisti, ma non è passato inosservato il foglio arancione esposto, a Vicenza, da una commessa di origini marocchine in vetrina con la scritta «vietato entrare agli zingari». Il divieto è accompagnato da una lunga spiegazione preliminare: «Siamo spiacenti: ma per maleducazione e non rispetto delle regole, e numerosi furti..» - e una postilla: «non per razzismo». Il piccolo cartello è stato sistemato in una delle vetrine di un piccolo bazar appena sopra un enorme manifesto con la classica scritta «svendita totale».  «L'ho messo io quel cartello, qualche giorno fa», dice la commessa al Giornale di Vicenza, indicando che il titolare che passa raramente «mi ha consigliato di toglierlo, perchè dice che così rischio solo guai». Poi la spiegazione: «gli zingari passano sempre di qua, entrano in otto o dieci o anche di più: sono sempre gli stessi e hanno sempre dei bambini con loro, che vanno in giro per il bazar. Io non riesco a controllarli e poi, ogni volta, è sempre la stessa storia: rubano. So che questo è un luogo aperto al pubblico e so cosa può pensare la gente. Ma no - rileva -, non sono razzista; l'ho anche scritto. Sono marocchina, vivo qui da 12 anni e so che esistono le regole e io le rispetto. Non sono razzista ma le regole devono valere per tutti. Sennò non dite a me che tratto qualcuno in maniera diversa». A fine marzo, intanto, vista la crisi, il piccolo bazar dovrebbe chiudere.