venerdì 24 marzo 2023

Sulla politica e la sicurezza

Sapete cosa mi sconcerta in questa diatriba sulle borseggiatrici in metropolitana? No, non è l’isterica riprovazione su chi intralcia il loro operato filmandone e pubblicandone le gesta. Quando penso ai cittadini che per difendersi dalla continue aggressioni sono costretti a ricorrere a tali stratagemmi, quando penso a coloro che, vivendo in certi quartieri, la sera non possono uscire di casa, barricati dietro robuste grate, quando scorgo negli occhi dei delinquenti la spavalderia dell’impunità, in quelli degli abitanti la rabbiosa rassegnazione e in quelli dei poliziotti la consapevolezza di non poter offrire un intervento risolutore, allora sapete cosa mi chiedo? Ma a cosa è servito? A cosa è servito stare oltre 30 anni sulla strada a combattere il crimine se poi è questo il risultato? In cosa abbiamo sbagliato? Quando è stato il momento in cui abbiamo perso la guerra?


In tutta onestà non riesco a farmene una colpa. I dinosauri della mia generazione hanno lottato e vinto guerre spietate e sanguinose contro nemici potenti ed efferati, e l’hanno fatto senza armi, senza tecnologia e senza neanche grande cultura, ma con una passione illimitata.Tantomeno ne faccio una colpa agli attuali tutori delle forze dell’ordine che pattugliano strade sempre più impazzite, sempre più soli. La devianza criminale e le questioni di ordine e sicurezza pubblica non sono mai state un problema di polizia, bensì sociale, giuridico e politico. Ed è lì, su quel campo, che la disfatta si mostra in tutto il suo squallore. Nel volgere di un decennio il degrado ha raggiunto vette che ritenevo impensabili. Certo, nella sfortuna di agire in quegli anni in cui imperava la criminalità organizzata (e non certo le baby gang), c’era la fortuna di poter utilizzare metodi operativi che attualmente sarebbero definiti criminali. Oggi finirei nei guai solo se pronunciassi termini sbirreschi che prima erano di uso comune, del tipo: "retata", "rastrellamento", "perquisizioni per blocchi di edifici", “cinturazione di un’area urbana”. Tali orrende parole, ormai desuete, sarebbero talmente scorrette da essere ritenute forme di incitamento all'odio o istigazione a delinquere. Certo, prima se un malfattore si permetteva di oltraggiare un pubblico ufficiale ne pagava le conseguenze, oggi invece ci sono magistrati che li assolvono se gli sputano in faccia, gli pisciano sulla macchina o intonano latrate rap in cui li definiscono “figli di cane”.


Certo, prima si irrompeva nelle roccaforti della mafia in qualunque ora del giorno e della notte, oggi paradossalmente è fatto divieto per le pattuglie di accedere nei campi rom. Qualcuno potrebbe obiettare che il triste “caso Cucchi” (che ha segnato uno spartiacque sociale notevole) è figlio di quei metodi. Io invece ritengo che quel caso sia figlio di ufficiali eunuchi più preoccupati a nascondere l’immondizia sanguinolenta sotto al tappeto, per proteggere la loro carriera, che a far emergere la verità. Perché anche il carrierismo sfrenato è una della concause che ci ha portato alla situazione attuale. Ma non voglio vivere nel passato e so perfettamente che la società muta. Chiamatela pure “evoluzione”, però che attualmente nei grandi centri urbani la situazione della pubblica sicurezza sia fuori controllo non potete negarlo. E’ allora sul campo giuridico che la politica deve assolutamente intervenire con norme stringenti repressive e preventive che permettano agli operatori di polizia di operare in maniera risolutiva. E non si dica che la politica non è capace! Sui cosiddetti “no-vax” ognuno può pensarla come vuole, però è innegabile che in tale frangente è stata messa in campo la “tolleranza zero”. Sono stati schierati droni, idranti, reparti antisommossa con potenze ondulatorie, poliziotti – baywatch, controlli a tappeto. Un vero pugno di ferro! 


Ora, se è stato fatto su persone (che tra l’altro non avevano commesso reati), se è stata resa impossibile la loro vita, per quale motivo non è possibile fare la stessa cosa nei confronti di ladri, spacciatori, rapinatori e tagliagole vari che si sono impadroniti impunemente di intere aree delle nostre città? Mi rendo conto che il nostro Stato ha una limitata capacità gestionale. Questo non possiamo farlo perché l’Europa non vuole, quest’altro l’America non lo gradisce… Ma quel minino di sovranità nazionale che ancora ci rimane la vogliamo esercitare?


Salvino Paternò 

lunedì 20 marzo 2023

Del quando siamo stupidi

Il generale Bertolini: “Ci stiamo facendo male da soli: così sabotiamo la pace, addio sovranità”. GIÀ COMANDANTE DEL COMANDO OPERATIVO INTERFORZE - “Le scelte dell’esecutivo alimentano l’incendio con altra benzina, come i missili”


“Ci stiamo facendo del male da soli, da più di un anno, intromettendoci in una guerra che non è nostra”. Il generale Marco Bertolini, ha appreso dal Fatto Quotidiano la notizia dell’addestramento presso la sede di Sabaudia (Latina) del Comando artiglieria contraerei dell’Esercito italiano, di un gruppo di militari ucraini all’utilizzo del sistema missilistico terra-aria Samp-T. Già a capo del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore, Bertolini è convinto che i rischi di tale comportamento siano “molteplici” e che schierarsi in maniera così netta non faccia altro che ostacolare qualsiasi tipo di trattativa di pace.


Generale, dopo la fornitura delle armi anche l’addestramento dei soldati ucraini su suolo italiano. Come legge questa strategia da parte del nostro governo?


Ci stiamo facendo ancora una volta del male da soli, intromettendoci in un conflitto che non è nostro. Stiamo prendendo sempre più le parti di uno dei due belligeranti, riducendo lo spazio per una trattativa di pace. Le prove di dialogo hanno già subito un duro colpo con l’incriminazione di Vladimir Putin, da parte della corte penale internazionale dell’Aja. Da parte nostra, alimentando l’incendio con altra benzina, le armi, non facciamo niente per circoscriverlo. Anzi. Era chiaro che dopo aver ceduto sistemi Samp-T all’Ucraina avremmo anche dovuto provvedere all’addestramento degli interessati, ma ciò non toglie che stiamo procedendo su una strada che renderà difficile, se non impossibile, riprendere le fila di una trattativa o recitare ruoli nella partita di pace.


Quali sono i rischi per il nostro Paese?


Il rischio è duplice. Innanzitutto continuiamo a gettare benzina sul fuoco fornendo armi ed energie a un altro Stato impegnato in guerra che rischia di diventare una never ending war, come l’Afghanistan, mentre dall’altro sottraiamo risorse preziose alla nostra difesa, un comparto già colpevolmente trascurato per decenni da un finto pacifismo che ora sembra essersi trasformato in un ultra-bellicismo trasversale a tutti i partiti. Poi c’è la progressiva erosione della nostra sovranità. Le armi e gli eserciti, infatti, sono prima ancora che strumenti di difesa presidi di indipendenza. Questa non può non soffrire se le nostre esigenze di difesa vengono subordinate a quelle di altri Paesi, non appartenenti alle nostre alleanze e impegnati per classiche rivendicazioni territoriali, come quelle di tutte le guerre, estranee agli interessi nazionali.


Il sostegno all’Ucraina viene letto come la necessità di aiutare Kiev a resistere ad una guerra di aggressione da parte della Russia, ai danni di uno Stato sovrano.


Ma quante guerre di aggressione ci sono state in questo “pacifico” dopoguerra? E quante ce ne sono tuttora nel mondo? Non mi sembra che siamo intervenuti in tutte le guerre a difesa degli aggrediti, o sbaglio? È la grande ipocrisia di questo conflitto del quale ci siamo accorti solo all’ultimo momento, mentre il fuoco ha covato sotto la cenere per almeno otto anni, dal 2014, nella nostra indifferenza. E qui si torna al problema della sovranità: stiamo sottraendo risorse, nemmeno il “virtuoso occidente.” L’abbiamo già visto con la Libia dove per “disciplina di alleanza” abbiamo lasciato che venisse distrutto un paese col quale avevamo ottimi rapporti, ricevendone in cambio quell’immigrazione clandestina che addirittura si è trasformata in un ulteriore e paradossale terreno di scontro tra le nostre forze politiche. Mentre amici ed alleati ci lasciano bollire nel nostro brodo.


Da telegram di Giorgio Bianchi

giovedì 2 marzo 2023

Ipocrisia

Meno della metà dei migranti morti a Crotone  è stata identificata. Tra essi si contano 25 afgani, 1 siriano, 1 palestinese e 1 pachistano. Provenivano tutti da paesi martoriati dalle guerre americane.  Si può ragionevolmente ipotizzare che, senza queste guerre, nessuno di loro avrebbe  lasciato la sua terra . Alla luce di questo fatto, è necessario dire poche parole di verità. I veri responsabili della morte di questi sventurati sono coloro che hanno materialmente distrutto i loro paesi e coloro che, con le parole e le omissioni, hanno permesso che venissero distrutti. Tra costoro si contano tutte le più alte cariche dello stato  e tutti i leader dei principali partiti italiani. La retorica e i lamenti che escono dalle loro bocche sono solo esercizi di ipocrisia


Silvio dalla Torre