lunedì 28 febbraio 2011

Se Fli fallisce...

... peccato per lui che il Fli sia già fallito e fa finta di non accorgersene. E proprio a causa dell'antiberlusconismo che c'è all'interno.


MILANO - «Se fallisce il progetto del Fli lascio la politica». Lo ha detto Gianfranco Fini durante la trasmissione televisiva Otto e mezzo, su La7. «Ma sarebbero - ha aggiunto il presidente della Camera - gli italiani a dirmi di andare a casa. In questa partita politica mi gioco tutto, ma ho fiducia nella capacità degli italiani di valutare la mia scommessa». Ha poi parlato dell'ipotesi di una rinuncia all'incarico istituzionale ricoperto dall'inizio della legislatura: «Non credo che mi dimetterò perchè non c'è nessun conflitto». E ha precisato: «La terzietà del presidente della Camera va valutata come guida di Montecitorio quando rappresenta le istituzioni. Del resto non voglio uno scontro con Berlusconi ma vorrei che si ragionasse».

L'IMMUNITA' PARLAMENTARE - E' stato un Fini a tutto campo quello che ha risposto alle domande di Lilli Gruber e che ha affontato tutti i temi del dibattito politico, a cominciare dalla reintroduzione dell'immunità parlamentare, per la quale propone «una maggioranza di due terzi» per respingere l'autorizzazione» a procedere eventualmente chiesta da un magistrato. «È insopportabile - ha spiegato - una concezione della autorizzazione a procedere che garantisca impunità. Oggi comunque Bossi, che è il vero leader della maggioranza, dice che di immunità nemmeno a parlarne».

IL PROCESSO BREVE - Sempre in tema di giustizia, il processo breve: «Non mi preoccupa il principio contenuto nel processo breve che è sacrosanto, ma mi scandalizza la norma retroattiva che il governo vuole inserirvi». Secondo il presidente della Camera il governo si assume la responsabilità «dell'agenda politica che ha stabilito di portare avanti. Quando dice che la giustizia è la prima cosa da fare credo che gli italiani non siano d'accordo nel mettere questa materia al primo posto».

CASO RUBY E CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE - Fini ha poi affrontato un altro tema delicato come il conflitto d'attribuzioneche potrebbe essere sollevato sul caso Ruby. «Non ci sono precedenti. Sarà una decisione presa alla luce dei regolamenti. Sarà valutata dall'Ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento. Non ci sarà nessun conflitto istituzionale tra il mio ruolo di presidenza della Camera e il mio ruolo politico».

BERLUSCONI E LE ELEZIONI - Il discorso si sposta poi sul piano prettamente politico. «Non bisogna considerare Silvio Berlusconi uno sprovveduto - ha detto il numero uno di Montecitorio -. Se dice che bisogna andare a votare dopo aver minacciato di correre alle urne è perchè ora si rende conto di non godere della fiducia degli italiani». «È evidente che il presidente del Consiglio - ha aggiunto - esorcizza la nuova situazione dicendo che lui è il più amato dagli italiani. Sia comunque ben chiaro che lui ha tutto il diritto di non andare al voto». Lilli Gruber ha allora chiesto a Fini di fare un pronostico sulla sua quotazione elettorale. Il leader del Fli si è detto certo che in caso di elezioni raccoglierebbe un 7-8% di consensi nell'elettorato di centrodestra che non si riconosce in Berlusconi.

I RITORNI NEL PDL - Fini ha parlato anche dei deputati di Fli che tornano nella maggioranza e di quelli che vi sono approdati pur essendo stati eletti sotto le insegne di altri partiti: «Qualche volta nasce il fondato sospetto che non ci siano questioni di coscienza o altre questioni politiche» ha detto, richiamando il caso dell'on Bucchino che ha denunciato di aver ricevuto un'offerta in denaro in cambio di un suo eventuale passaggio al centrodestra.

Sinistri intellettuali... intanto continuano a perdere


Roma - Ci sono i Palasharp delle persone normali, di sana e robusta costituzione politica, e poi ci sono gli anormali, i pazzi, i minorati, se va bene gli «ingenui» che si fanno manipolare dagli «strumenti di Berlusconi», le note televisioni. Un popolo «antropologicamente diverso» da quello delle persone capaci di giudicare il bene e il male, una massa di stolti fondamentalmente. Ecco il manifesto della razza Vecchiona, il decalogo dell’homo sapiens girotondinus, cromosomicamente non paragonabile alla pecora che mette la croce su Pdl o Lega. La leader in casa Vecchioni (come da regolamento nelle famiglie dalle buone letture) è la moglie, la premiata scrittrice Daria Colombo, già presa in simpatia dal circolo letterario di Gad Lerner come icona del femmineo intelligente che riscatti il corpo delle donne. Meno abituata a pararsi dietro formule astratte rispetto ai politici scafati, la signora è caduta nel tranello della Zanzara su Radio24 e ha spiattellato urbi et orbi il pregiudizio razziale che condanna la sinistra italiana ad una torre d’avorio di inevitabili sconfitte elettorali. Secondo lady Vecchioni sì, è vero, il popolo della sinistra, quello dei girotondi da lei stessa inventati anni fa, quello dei Palasharp con l’Eco e delle firme su Repubblica, è proprio «antropologicamente diverso» dal popolo di centrodestra. Non è che siano proprio dei cretini quelli che votano il Mostro, diciamo che «purtroppo ci sono persone interessate, altre sono ingenue, altre sono cresciute con le sue tv, ma alcuni sono in assoluta buona fede». La signora Vecchioni riconosce che esistono anche elettori del Pdl-Lega che non sono delinquenti o analfabeti, e porta un esempio che ricorda il classico argomento (sconvolgente per la gente ben coltivata) per cui «non ho niente contro le checche, infatti ho molti amici che sono gay». Anche a Daria Colombo è successo di relazionarsi con berlusconiani in carne ed ossa, «mi è successo proprio questa estate - racconta in radio - presentando il mio libro, sono stata invitata da molti comuni gestiti da Forza Italia e devo dire che mi sono resa conto che ci sono persone in assoluta buona fede». Ecco, c’è una speranza di rinsavimento anche a destra, secondo lady Vecchioni, poiché alcuni già «si sono ravveduti» dall’essere elettore del centrodestra, e forse altri si ravvederanno. Guariti, tornati alla salute mentale, prossimi a passare in un gradino antropologicamente superiore, «in un modo di intendere la vita completamente diverso», quasi uno stato di coscienza illuminato dei testi ayurvedici. Come ben illuminata dev’essere anche la casa della compagna di Pisapia a Milano, amica della Colombo in Vecchioni, che però l’ha trovata (118 metri quadrati, in porta Romana) «molto modesta». La signora, cui deve la vittoria a Sanremo il marito, è l’immagine del preconcetto fissato 17 anni fa in un saggio per il Mulino da Giovanni Belardelli: «Se alla sinistra non piacciono gli italiani». Più di recente l’ha spiegato Luca Ricolfi: «La cultura di sinistra ha sviluppato un suo peculiare racconto dell’Italia, per cui chi vota a sinistra sarebbe “la parte migliore del Paese”, mentre la parte che sceglie il centrodestra sarebbe la parte peggiore, evidentemente maggioritaria». Una teoria che può far vincere a Sanremo, ma che già a Ventimiglia condanna al disastro.

SE fosse vero...


Milano - L’ordine è venuto direttamente da Ilda Boccassini, procuratore aggiunto della Repubblica e capo della Dda, la Direzione distrettuale antimafia milanese: «staccare» i telefoni, sospendere le intercettazioni. Nel mirino della Boccassini, una lunga serie di indagini per traffico di droga, alcune recenti, altre che si trascinavano da tempo. In questi casi, secondo la dottoressa, il gioco non vale la candela: il costo in termini di quattrini e di uomini non è giustificato dai risultati che si possono raggiungere. Meglio, dice Ilda Boccassini, alzare il tiro e concentrare gli sforzi sulla caccia alle grandi organizzazioni mafiose, Cosa Nostra e ’ndrangheta calabrese in testa. Se le inchieste in corso non hanno ancora raggiunto alcun obiettivo, ha deciso la Boccassini, bisogna chiuderle e dedicarsi ad altro. Così, uno dopo l’altro, gli orecchi elettronici che ascoltavano in diretta le chiacchierate di narcos veri o presunti sono stati disattivati.

La scelta voluta dal procuratore aggiunto è figlia della scarsità di risorse, sia umane che economiche, in cui da tempo si dibattono gli uffici giudiziari. Il costo delle intercettazioni, in particolare, è uno dei versanti su cui il ministero della Giustizia preme da tempo perché si vada ad una politica di contenimento. La coperta è troppo corta, e da qualche parte dunque bisogna scegliere di tagliare. A fronte di questa emergenza, il pensiero della dottoressa, in sintesi, è: noi siamo il pool antimafia e dobbiamo occuparci di mafia. Occupare il nostro tempo dando la caccia a piccole bande di trafficanti ci fa sprecare soldi e fatica, e ci distoglie dall’obiettivo principale, cioè fare terra bruciata intorno al Gotha del crimine organizzato.

Si tratta di una scelta che non tutti gli «addetti ai lavori» hanno digerito volentieri. Anche perché arriva in un momento in cui il narcotraffico sta tornando prepotentemente a fare sentire la sua voce a Milano. Degli ultimi mesi è un fenomeno inatteso: il ritorno in scena dell’eroina, la droga che tra gli anni Ottanta e Novanta riempiva Milano di morti, e che sembrava definitivamente uscita di scena. La diffusione massiccia, in tutte le fasce sociali, della cocaina aveva assorbito per intero gli interessi della malavita organizzata. Invece la «roba» è tornata a Milano. Le rotte che in passato portavano in Lombardia l’eroina prodotta tra Pakistan e Afghanistan sono state riattivate, e sono tornati a operare gli spacciatori al dettaglio. I tre morti per overdose registrati a Milano la scorsa settimana ne sono la drammatica conferma. Interrompere o ridurre le attività di intercettazione, in questa situazione, potrebbe sembrare una decisione ardita. Ma i vertici della Procura sembrano convinti di avere fatto la scelta giusta. Bisogna, ritengono, ridurre i «73 e i 74», come vengono chiamate in gergo le indagini per traffico di droga e per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, «che sono come svuotare il mare col cucchiaio», e alzare il tiro contro i signori del crimine organizzato.

Nell’ultima relazione del procuratore generale Manlio Minale, in realtà, si può notare come le inchieste per associazione mafiosa siano lievemente diminuite come numeri assoluti (32 contro le 38 dell’anno precedente), ma tra di esse ci sono inchieste gigantesche come quella chiamata «Infinito», che ha spedito in cella centinaia di appartenenti alle «famiglie» calabresi di tutta la regione. Mancano invece, nella relazione di Minale, i dati sulle inchieste per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, e quelle per semplice traffico di droga. Ma la linea di Ilda Boccassini è chiara: degli spacciatori e dei piccoli trafficanti si occupino gli altri colleghi della Procura, noi dobbiamo aggredire i vertici dei clan, individuandone i canali di riciclaggio nell’economia «pulita» e i legami con la politica. Sono i «livelli superiori», in definitiva - ritiene la dottoressa - a governare indirettamente anche la miriade di organizzazioni minori. Se colpiamo i piani alti, è il pensiero della Boccassini, le conseguenze si faranno sentire anche sui marciapiedi.

domenica 27 febbraio 2011

6 Nazioni


ROMA - Pochi minuti prima di cominciare, il Flaminio è monocolore: rosso. I gallesi, magari approfittando della primavera romana, sono arrivati in tanti per sostenere la loro Nazionale (si dice 5.000 ma sembrano assai di più). Magari ci credono un po' di più rispetto ai loro omologhi italiani che, ancora sotto choc per le sberle degli inglesi a Twickenham, non se la sono sentita di accorrere a fiumi allo stadio di Roma dove i loro (comunque) beniamini affrontano i Dragoni nel terzo match del 6 Nazioni. Non c'è il pienone. Ma un grande boato ha dato il benvenuto alle due squadre sul verde perfetto del campo. Una sola voce canta l'inno gallese ascoltato in religioso silenzio. Poi tocca a Mameli. E «Fratelli d'Italia» riempie il Flaminio. Tutti in piedi poi: un minuto di silenzio ricorda le vittime neozelandesi del terremoto di Christchurch. Un omaggio del rugby ad una delle patrie della palla ovale. Sciolte le righe. Si può cominciare.

PRIMA META- Azzurri contro rossi. Si parte e già si trattiene il fiato. Il Galles parte agguerrito. Non intende regalare nulla all'Italia. E infatti i primi 3 punti gallesi arrivano al terzo minuto. Ma gli azzurri sono altrettanto agguerriti. Tre minuti e Gonzalo Canale sguiscia via con l'ovale in mano: corre, corre, corre. Urla il Flaminio! Meta! La prima meta azzurra è al sesto minuto: 5-3 perché Mirco Bergamasco non realizza. Va bene lo stesso. Londra è lontana.

LA REAZIONE- Ma siamo solo all'inizio e il Galles non si abbatte facilmente. E infatti al nono minuto ecco la prima meta dei Dragoni: 5-8 e Stephen Jones non realizza. Un calcio piazzato del Bergamasco biondo riporta alla parità, 8-8. Non è facile il Galles. Lo sapevano gli azzurri. Tredicesimo minuto: ecco un'altra meta rossa, stavolta trasformata: 8-15 per il Galles. Si soffre. Come sempre.

LA (QUASI) META - In campo non c'è tregua, ma pure sugli spalti l'atmosfera si scalda, nonostante la gelida giornata di sole. E partono gli «ohhh», gli applausi, gli «I-ta-lia I-ta-lia». Ma pure le contestazioni agli errori (gratuiti) degli azzurri di Nick Mallett. Ma è intorno al 20' che si scatenano i tricolori e le urla di incitamento, quando l'Italia conquista campo e si avvicina alla linea dei 22. E tutti schizzano in piedi. E l'11 Bergamasco sembra volare. E tutti i Dragoni lo inseguono senza pietà. E il Flaminio ci crede e si sgola. Meta! O forse no. Dubbio. L'arbitro inglese Wayne Barnes si consulta. In campo tirano un po' il fiato. Sugli spalti no. Barnes ci pensa e poi: no, niente meta. Delusione su tutti i volti. Ma Bergamasco calcia la punizione e porta l'Italia a 11-15.

A RIPOSO - Due punizioni gallesi (e molti errori azzurri) mandano negli spogliatoi le due squadre con il punteggio 11-21. C'è poco tempo per riflettere.

IN CAMPO - Al ritorno in campo, i gallesi neanche danno il tempo agli azzurri di entrare che già sono nella loro linea dei 22. E attaccano. E l'Italia rischia. Intanto Lo Cicero c'è, come ricordano gli striscioni sugli spalti. Non è giornata per Mirco Bergamasco che al 46' sbaglia un calcio piazzato. Si supera il centrocampo. L'Italia attacca, va avanti. E funzionano i passaggi, finalmente. Sbagliano anche i gallesi. L'ovale arriva a capitan Parisse che sorprende i Dragoni e vola in meta. Ma niente è facile per gli azzurri. Nuovo dubbio per l'arbitro Barnes. Attesa. Ma per il Flaminio è meta. E tutti gridano all'arbitro. La decisione: ok, è meta. Al 12' del secondo tempo Italia-Galles 16-21. Bergamasco non trasforma. Ma non era facile dalla linea di touche. Dragoni confusi. Azzurri più fiduciosi della propria forza.

CHE FATICA - Ormai, a 26 minuti dall'inizio del secondo tempo, l'Italia è più cattiva. Il Galles sembra intontito. Ne deve approfittare il XV azzurro che purtroppo continua a sbagliare molto. Come l'arbitro d'altronde. Molto contestato dal Flaminio. Fischi e buuu quando interrompe una mischia e concede una punizione al Galles, che pero i Dragoni sbagliano. Capitan Parisse va verso mr Barnes e ride. La (sbagliata) decisione arbitrale non piace proprio a nessuno. Ma l'Italia non combina un granché. Mallett continua a cambiare. Escono Castro, Semenzato (molto applaudito), Barbieri, Masi. Entrano Perugini, Canavosio, Vosavai, Benvenuti. Gli azzurri non concludono. Sbagliano. I gallesi riprendono fiato, ripartono verso la linea di meta e un drop di Hook porta il punteggio a 16-24.

UN'ALTRA SCONFITTA - «Non sanno cosa fare della palla». È il commento più esaustivo sugli spalti del Flaminio. L'Italia perde ancora: 16-24 contro il Galles. In un secondo tempo in cui i Dragoni praticamente non si sono visti e l'ovale è sempre stato in mano agli azzurri. Inutilmente. Molti fischi dal Flaminio che, forse, mette più passione dei propri (ex?) beniamini. E al giro finale in campo dei ragazzi di Mallett per una volta i fischi sono più forti degli applausi. Terza sconfitta consecutiva e zero punti. E tra due settimane c'è la Francia. Stavolta il cucchiaio di legno non ce lo toglie nessuno.

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Obiettivamente, da profana dico la mia. Non so esattamente che partita abbia visto il tizio che ha scritto l'articolo... ma io c'ero e non mi pare d'aver sentito tutti quei fischi contro i nostri giocatori. Io ho sentito e ho urlato buuu ad un paio di decisioni... contorte prese dall'arbitro. I nostri sono lenti e i draghetti più veloci, si, i draghetti sembravano il doppio (in campo) e i nostri sembravano uno sparuto gruppetto, vero. I nostri hanno mancato ad un paio di occasioni, Berga ha sbagliato a lanciare. Vero anche questo. Ma nessuno di noi in quello stadio s'è sognato di fischiare ai giocatori. Vanno sempre e comunque incoraggiati a combattere e a continuare. E a menare pure, se necessario. E stavolta se le sono date di brutto. Ma lo spettacolo è senza dubbio impagabile. Ah, e lo stadio era pieno. Più o meno come per la partita contro l'irlanda.

venerdì 25 febbraio 2011

Italia-Galles

Io, domani torno al Flaminio...


ROMA - Prima di tutto ci sarà un minuto di silenzio. In omaggio alla Nuova Zelanda e alle vittime del terremoto di Christchurch che nei giorni scorsi ha colpito la popolazione. Un messaggio di solidarietà del mondo del rugby italiano ad una delle nazioni più forti nel gioco della palla ovale. Il silenzio calerà anche su tutti gli altri campi che nel weekend ospiteranno gli incontri del 6 Nazioni. Poi la partita: Italia-Galles. Azzurri contro Dragoni. E stavolta, promette Nick Mallett, «giocheremo al massimo per evitare un altro ko».

«TENERE DI PIU' LA PALLA» - E il ct dell'Italrugby dà la sua ricetta, dopo il tradizionale Captain's Run della vigilia sul prato verde del Flaminio: «Dovremo tenere palla, migliorare le fasi di conquista e mettere sotto pressione il loro pacchetto di mischia: non possiamo fare duecento placcaggi come a Londra, vuol dire aver il pallone per troppo poco tempo». II Galles, ha ricordato Mallett, «ha dei grandi trequarti, quasi tutti reduci dell'ultimo tour sudafricano dei British and Irish Lions, quindi se li metteremo nella condizione di giocare come hanno fatto i trequarti inglesi ci aspetta un pomeriggio molto difficile». Perciò, «la realtà è che noi non possiamo permetterci, a questo livello, di non essere sempre al massimo: a Londra abbiamo affrontato la partita con troppa fiducia». Infine il ct azzurro ha parlato di Semenzato: «Sono contento della sua prova a Twickenham: era al suo esordio ma ha svolto al meglio il proprio compito placcando, passando e dando il massimo, cosa che non a tutti è riuscita dopo la partita contro l'Irlanda. Non voglio parlare dei singoli ma è una buona cosa per noi avere oggi quattro giocatori in grado di lottare per la maglia numero nove».

IL CAPITANO: REAGIRE ALLA SCONFITTA DI LONDRA - Per il capitano Sergio Parisse quella di sabato sarà la 27ma volta da capitano dell'Italrugby: «Vogliamo reagire alla sconfitta di Londra, ci ha fatto male e vogliamo riscattarci. Dobbiamo tenere duro mentalmente, essere più precisi dal punto di vista tecnico, non ripetere gli errori in rimessa laterale di due settimane fa: abbiamo lavorato tanto su questo aspetto, dobbiamo avere più palloni anche perché dare palla al Galles vuol dire mettere i loro trequarti, che sono molto forti palla in mano, di crearci difficoltà». Fa autocritica il capitano: «Abbiamo sempre fatto fatica a giocare due partite di fila con la stessa qualità, dobbiamo ancora maturare del tutto a livello mentale: per essere competitivi. Per noi la partita di Londra era un esame importante per la tenuta mentale della squadra ed è stata una prova disastrosa, anche in passato abbiamo spesso faticato a fare due partite di alto livello di seguito e dobbiamo forse ancora maturare pienamente a livello mentale. Dovevamo confermarci e non ci siamo riusciti, dobbiamo avere sempre aver paura di perdere di trenta-quaranta punti, è l’unico modo che abbiamo per essere competitivi».

I PRECEDENTI - Questi i 17 precedenti tra Italia Galles (2 vittorie azzurre, 1 pareggio e 14 successi dei Verdi): Galles-Italia 33-10 - Cardiff, 20.03.2009 (6N) Italia-Galles 15-20 - Roma, 14.03.2009 (6N) Galles-Italia 47-8 - Cardiff, 23.02.2008 (6N) Italia-Galles 23-20 - Roma, 10.03.2007 (6N) Galles-Italia 18-18 - Cardiff, 11.03.2006 (6N) Italia-Galles 8-38 - Roma, 12.02.2005 (6N) Galles-Italia 44-10 - Cardiff, 27.03.2004 (6N) Italia-Galles 15-27 - Canberra, 25.10.2003 (RWC) Italia-Galles 30-22 - Roma, 12.02.2003 (6N) Galles-Italia 44-20 - Cardiff, 02.03.2002 (6N) Italia-Galles 23-33 - Roma, 08.04.2001 (6N) Galles-Italia 47-16 - Cardiff, 19.02.2000 (6N) Italia-Galles 21-60 - Treviso, 20.03.1999 (TM) Galles-Italia 23-20 - Llanelli, 07.02.1998 (TM) Italia-Galles 22-31 - Roma, 05.10.1996 (TM) Galles-Italia 31-26 - Cardiff, 16.01.1996 (TM) Galles-Italia 29-19 - Cardiff, 12.10.1994 (RWC Qual.)

C. Vol.

No allarmismi...

... e mi pare ovvio che quel tizio ne parli così dell'ondata migratoria nordafricana. Infondo lui auspica l'attecchimento e il perfetto funzionamento del nuovo ordine mondiale... tanto che, Orwell col suo libercolo gli fa una pippa. Perchè, per quel vecchio signore lì, quelli che arriveranno saranno tutti santi... liberati dalle patrie galere, però. Magari non tutti, no... Oltretutto, con la differenza che, chi è giovane dovrà convivere e sopperire con tutto lo schifo che ne conseguirà (vedi anche islamizzazione dell'europa), invece, gente della sua veneranda età potrà vederne sono l'inizio. Per certi versi, un vero peccato che non debba subirne le conseguenze anche lui.


MILANO - Niente isterie. Sull'emergenza immigrazione determinata dalla crisi nel Maghreb «bisogna non cedere a vittimismi e allarmismi»: lo dice il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, prima di lasciare Berlino.

FORTE SOLIDARIETA' - Il capo dello Stato ribadisce «l'esigenza di una forte solidarietà per far fronte a questa emergenza, un'esigenza che non è solo dell'Italia o della Germania, paesi a cui non si chiede un particolare ruolo, ma di tutti. La dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri Frattini e Westerwelle va nella giusta direzione».

POLITICA EUROMEDITERRANEA - «Credo che sulla volontà di portare avanti una politica euromediterranea anche in tema di immigrazione ed asilo, che ha scarseggiato, quanto sta accadendo rappresenta una scossa talmente forte e brusca da permettere di superare le situazioni, attendismi, elusività ed ambiguità del passato»: afferma ancora il presidente della Repubblica. Il capo dello Stato puntualizza: «L'importante è che dall'Ue arrivi un forte messaggio politico di disponibilità ed impegno a cooperare per lo sviluppo dell'area del Mediterraneo, ed anche un forte rinnovato impegno per una politica comune in tema di immigrazione ed asilo».

VIMINALE - Nonostante Napolitano inviti le forze politiche a non lanciare allarmi il ministero dell'Interno si prepara al peggio. Con i Centri di accoglienza pieni ed il rischio esodo dalla Libia in rivolta, il Viminale - secondo quanto si apprende - punta a cercare strutture in tutta Italia per ospitare fino a 50mila migranti che potrebbero sbarcare nel giro di un mese. È lo scenario peggiore ipotizzato dagli esperti del ministero. «Non possiamo farci trovare impreparati in caso di emergenza», aveva detto giovedì a Bruxelles il ministro dell'Interno Roberto Maroni.

LA RUSSA - Il governo intanto rende note le prossime mosse sul fronte del recupero dei nostri connazionali in Libia: «Abbiamo notizia che nel sud est della Libia ci sono italiani che hanno finito i viveri: li recupereremo» ha detto a Sky tg 24 il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «Abbiamo già predisposto l'intervento militare per raggiungere i nostri connazionali - ha proseguito il ministro - e attendo solo il via libera della Farnesina. Non voglio, infatti, decidere da solo. La mia prima preoccupazione - ha concluso - è il recupero di tutti gli italiani che si trovano in quelle zone».

RIMPATRI - Intanto altri tre C-130 dell'Aeronautica militare, con a bordo un numero ancora imprecisato di cittadini italiani e stranieri prelevati in diverse località della Libia, torneranno nel pomeriggio e in serata all'aeroporto di Pratica di Mare (Roma). Secondo quanto si è appreso, il primo velivolo dovrebbe atterrare in Italia intorno alle 16.40, proveniente da Tripoli; il secondo, da Sheba, dovrebbe arrivare intorno alle 17 e il terzo, da Amal, verso le 21-22.

La Ue se ne frega, è ufficiale

E ieri sera, la siorina Serracchiani a porta a porta blaterava che la Ue sta facendo tutto il possibile e che la colpa principale è del governo Berlusconi che s'è accorto troppo tardi dell'emergenza... Io dico che sarebbe ora di uscirne da quell'associazione a delinquere creata al solo scopo di rapinarci soldi su soldi.


Roma - Molti Paesi europei non vogliono condividere con l’Italia e gli altri Stati del Mediterraneo l’emergenza profughi. Il grande esodo che nelle prossime settimane potrebbe partire dalle coste libiche sarà un’affare dell’Italia, e in seconda battuta, degli altri cinque Paesi rivieraschi, ossia Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro. Nessuna solidarietà, il sud dell’Europa deve gestire senza aiuto una delle più grandi catastrofi umanitarie annunciate degli ultimi decenni. Arriveranno soldi, ma pochissimi rispetto a quelli richiesti. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha proposto 100 milioni di euro, cifra ridimensionata a 25 milioni. Ma, sospresa, la commissaria agli Affari Interni Cecilia Malmstrom ha chiarito ieri meravigliata: «Venticinque milioni di euro? Deve essere stato un malinteso. Questi soldi non sono per l’Italia». Si tratta semplicemente del fondo emergenze stanziato per il 2011, a disposizione di tutti gli Stati. La gestione dei profughi, un’emergenza potenzialmente complicatissima da amministrare, e sui cui anche la Chiesa invoca un intervento europeo, non sarà poi distribuita. L’Italia è sola, e l’amicizia delle 5 Nazioni che due giorni fa hanno stretto un patto di aiuto con Roma non basta.

Era piuttosto deluso ieri sera Maroni a conclusione del vertice dei ministri dell’Interno europei a Bruxelles. I sei Stati di primo approdo per gli immigrati africani hanno chiesto la «definizione di un sistema europeo per l’asilo». Secondo la legislazione comunitaria vigente, i profughi devono rimanere nel Paese nel quale presentano domanda di ospitalità, rifugio. Ma di fronte a numeri che che secondo la Lega Araba potrebbero sfiorare i 300mila possibili arrivi via mare, in gran parte in Italia, le sei Nazioni del Mediterraneo avevano chiesto una solidarietà di tutti e 27 i Paesi dell’Unione. I confini del sud Italia sono anche confini europei, ma contro la proposta «oggi si sono espressi alcuni ministri - ha informato Maroni - Ciò mi ha meravigliato perché significa che ognuno deve fare da sè». La chiusura, soprattutto dei Paesi scandinavi, e del nord Europa, sarebbe stata «totale»: «Non è solidarietà - si è sfogato il ministro - dire all’Italia e agli altri paesi mediterranei che sono affari vostri». E la stessa Commissione non sembra assumere una posizione definita, sebbene «luci», come le ha chiamate Maroni, siano arrivate dalla Malmstrom, la quale «si è riservata di valutare il documento comune» dei sei Paesi. Ma senza accordo, e senza un atteggiamento forte della Commissione, la solidarietà è utopia. Alla fine, ha commentato Maroni, «mi sono illuso, pensavo che questa emergenza umanitaria potesse convincerli. Mi sono scoperto più europeista di certi europeisti». Tutto è rimandato al 24 marzo, quando si riuniranno i capi di Stato e di governo. La novità, per ora, è che la Ue non escluderebbe un intervento militare in Libia per fini umanitari.

Ieri anche il Vaticano si è schierato con decisione per un intervento di Bruxelles. Quello che sta avvenendo in Libia è «una grande tragedia sotto gli occhi di tutti, sotto gli occhi dell’Europa - ha sottolineato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco - e tutta l’Europa deve intervenire in modo efficace per aiutare i Paesi di primo approdo». La crisi libica «porterà molte persone a lasciare il proprio Paese». Direzione Italia: «Uno dei Paesi più vicini, per cercare libertà sufficiente, una vita migliore». Anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini ha chiesto che l’Europa «non lasci sola l’Italia» e ha assicurato: «Io voglio collaborare con il governo». I controlli sulle coste libiche in questo momento «sono azzerati», ha chiarito Maroni. L’attuazione del trattato Italia-Libia era affidato «al mio collega Al Obeidi di cui ora si sono perse le tracce: non si sa se sia vivo o morto o in mano ai ribelli». La situazione è talmente fuori controllo che anche le organizzazioni criminali potrebbero essere non operative, ma «prevediamo che appena saranno riattivate potranno riprendere le partenze», il grande flusso via mare.

All’aeroporto di Tripoli la situazione è «difficilissima», ha spiegato ieri il capo dell’Unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano, che coordina il rientro degli italiani, ora affidato ai C130 della Difesa. Le compagnie aree, compresa l’Alitalia, hanno interrotto i collegamenti con Tripoli. Altri 150 connazionali sono tornati. Raccontano di «gente ammassata l’una sull’altra» in aeroporto, come «mille persone in cinquanta metri quadrati».
 
Quanto ci potrebbe costare il presunto esodo di massa dei nordafricani; qui, le crifre. E, ovviamente, paga pantalone.

giovedì 24 febbraio 2011

L'ipocrita


MILANO - «Un delirio: frutto di allucinazione collettiva, o di malafede». Questa è la considerazione che il leader di Fli e presidente della Camera, Gianfranco Fini, fa di chi sta abbandonando Futuro e Libertà. In un'intervista sul settimanale «L'Espresso» Fini considera ora il progetto politico nato a Bastia Umbra all'inizio di un lungo camino, di «una traversata nel deserto a piedi» di cui «l'esito è tutt'altro che scontato». «In gioco - spiega Fini - c'è molto di più di un gruppo parlamentare: c'è un progetto politico ambizioso e, banalità, il futuro della persona che anima il progetto. Comunque Fli - aggiunge - non vuole partecipare allo scontro quotidiano tra berlusconiani e anti-berlusconiani: sono due facce della stessa medaglia».

POTERE FINANZIARIO - Fini, nel corso dell'intervista, ha poi corretto il tiro sulla denuncia che fece contro le «armi seduttive del potere finanziario e mediatico» puntando il dito contro quei deputati disposti alla campagna acquisti. «Mi sono meravigliato a vedere le mie frasi così tradotte: deputati comprati. Il mio ragionamento è più ampio: il conflitto di interessi esiste, lo sa bene anche la sinistra che quando ha governato ha ignorato la questione, in una fase in cui la messa all'indice di chi si oppone diventa il tratto distintivo, contrastare il gigante comporta gravi rischi. Ma la nuova anima del berlusconismo - conclude - non è il conflitto di interessi, è l'oggettivo interesse al conflitto».

ATTACCO AL PREMIER - Fini però non risparmia attacchi al premier Silvio Berlusconi. «Berlusconi - spiega il presidente della Camera - alza muri per far dimenticare i suoi fallimenti, scava fossati contro i nemici: i comunisti, i giornalisti, i magistrati, gli alleati infedeli, Santoro, Fini... Va ben oltre il conflitto politico: come ha sottolineato il capo dello Stato, il pericolo è scatenare un conflitto istituzionale. Berlusconi ha delle istituzioni la stessa idea che ha del Pdl: una concezione proprietaria che lo porta ad attaccare i giudici, la Consulta, la Camera, fino a lambire il Quirinale».

GIUSTIZIA E IMMUNITA' - Altro punto di stretta attualità toccato da Fini è la questione relativa alla riforma della giustizia e al tentativo della maggioranza di voler riproporre l'immunità parlamentare. «Nulla di eretico» a discutere di immunità parlamentare, «i padri costituenti l'avevano prevista, in assemblee come il Parlamento europeo ci sono prerogative analoghe. Ma oggi in Italia parlare di ritorno all'immunità significa garantire l'impunitá. Non è così? E allora sfido il Pdl: prevediamo per l'autorizzazione a procedere una maggioranza qualificata, i due terzi dei votanti della Camera, in modo che siano bloccate solo quelle inchieste dove è evidente il fumus persecutionis e non ci sia invece il rischio di garantire l'impunitá a colpi di maggioranza».

CASO RUBY - Sul caso Ruby ribadisce la sua posizione di sempre: «È un'ipocrisia dire: il giudice naturale è il Tribunale dei ministri. Se fosse davvero così basterebbe che il Pdl chiedesse alla Camera l'autorizzazione a procedere in tal senso. Altrimenti è tutto un infingimento. Un gioco degli specchi. Non è nè saggio nè giusto - continua Fini - auspicare che Berlusconi possa essere costretto a rassegnare le dimissioni per via giudiziaria. Berlusconi va sconfitto politicamente, con le elezioni». E ripete quello che dichiarò a vicenda appena scoppiata, quattro mesi fa: «Se quella telefonata c'è stata, c'è stato un uso privato di incarico pubblicò. Nulla da aggiungere oggi, se non che sottoscrivo in pieno quanto ha detto il capo dello Stato: l'imputato ha diritto di difendersi nel processo, non dal processo».

Manipolazioni


Nei giorni scorsi ho sostenuto che le rivolte in Egitto e in Tunisia sono state ispirate e indirizzate da Washington. La mia, più che una tesi, è una constatazione. La stampa inglese e americana ha pubblicato, in ordine sparso, dei documenti, dai quali emerge il ruolo svolto dal governo americano, in particolare nei moti anti Mubarak. Si è scoperto che nell’autunno 2008 oppositori e blogger si sono riuniti al Dipartimento di Stato per promuovere un’Alleanza democratica allo scopo di rovesciare il regime di Mubarak proprio… nel 2011 e uno dei movimenti più attivi era quello del 6 aprile. Poi si è saputo che nel corso del 2010 Obama, in gran segreto, ha esaminato il ricorso alla piazza per imporre la democrazia in Egitto. E gene Sharp, un accademico di Harvard, che da anni teorizza il ruolo delle rivoluzioni pacifiche per rovesciare regimi autoritari ha ammesso di aver ispirato le rivolte nel mondo arabo, come aveva già fatto in Serbia, con gli studenti serbi del movimento Optor che rovesciarono Milosevic. Ieri mattina il Riformista ha messo a segno un bel colpo giornalistico, pubblicando un'intervista a Ahmed Maher, uno dei fondatori proprio del movimento 6 aprile. Uno scoop, anzi no. Uno scoop mancato, perché l’intervistatrice, del Riformista, Azzurra Meringolo, non ha posto le domande più significative. Sarebbe stata interessante, anzi doverosa, almeno una domanda sulla riunione di Washington del 2008, del tipo: lei partecipò? Chi prese l'iniziativa? Chi erano vostri referenti? Da allora qualcuno vi ha finanziato?

Nell’intervista Maher sostiene di aver partecipato, assieme a un altro attivista di Facebook, Wahel Ghonim, a "un seminario nel quale abbiamo studiato programmazione strategica". Come? Un seminario di programmazione strategica? Notizia strepitosa, la blogosfera e i social network sono popolati da molti internauti brillanti, spesso idealisti, ma difficilmente – tanto più in Egitto – esperti di programmazione strategica. Sarebbe stato interessante saperne di più. Ad esempio: chi ha organizzato quel seminario? Chi lo ha finanziato da chi? Ma nell’intervista l’affermazione fila via come un fatto banale e senza contraddittorio. E ancora: Maher rivela che lo scorso 18 gennaio si è incontrato a Doha con lo stesso Ghonim durante hanno “messo nero su bianco le nostre rivendicazioni”. A Doha? Perché lì? Come hanno fatto a pianificare e a pagare viaggio e soggiorno fino a lì? Comportamento anomalo per dei blogger presentati dalla stampa internazionale come giovani, idealisti e spontanei.

Insomma, il Riformista ha perso una bella occasione, eppure nessuno se ne è accorto semplicemente perché la stragrande maggioranza dei giornalisti si sarebbe comportata allo stesso modo. Non per incompetenza, ma perché i retroscena sul ruolo americano non sono stati strillati dalla grande stampa, ma andavano ricostruiti pezzo dopo pezzo. E' uscito quasi tutto, eppure i giornali, sono rimasti ancorati alle versioni più evidenti dei fatti e, anche avendo la possibilità di incontrare i protagonisti della rivolta, finiscono per ripetere la versione convenzionale dei fatti. L’intervista a Maher è significativa non per il suo valore giornalistico, ma perché testimonia come sia facile manipolare i media in occasioni di grandi avvenimenti. Basta che gli spin doctor al servizio di governi e istituzioni riescano a stabilire un "frame" ovvero una verità incorniciata nella coscienza collettiva. Quel “frame” funziona come un filtro che porta i giornalisti a recepire e trasmettere soltanto le notizie che confortano e riaffermano il giudizio già maturato nella nostra mente. Quelle discordanti vengono o non capite, o minimizzate e comunque rapidamente accantonate dall’opinione pubblica.

In questo modo la stampa, anche quando è libera come in Occidente, sprofonda sistematicamente nel conformismo. E i media finiscono per comportarsi come una mandria o – se preferite – un gregge che si muove sempre nella stessa direzione. E il paradosso è che i giornalisti non ne sono nemmeno consapevoli: ripetono verità acquisite ma sono convinti di essere originali, analitici, e preveggenti. Che disastro, la stampa...

Umberto Eco, la stupidità


«Berlusconi è paragonabile a Gheddafi e Mubarak?»: le domande di attualità tengono banco alla Fiera di Gerusalemme, dove la star è Umberto Eco. «No, il paragone, intellettualmente parlando, potrebbe essere fatto con Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni», risponde l'autore del "Cimitero di Praga". Dichiarazioni che rimbalzano in Italia e provocano l'immediata reazione del Pdl. Su tutti, il coordinatore del partito e ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, che accusa l'autore di «faziosità delirante». «Berlusconi - precisa Eco incalzato dalle domande dei giornalisti - non è un dittatore come Mubarak e Gheddafi, perché lui ha vinto le elezioni con il supporto di una grande maggioranza degli italiani. In Italia non c'è lo stesso regime dei paesi del Nord Africa e non va dimenticato il fatto che c'è un elettorato pronto a supportare Berlusconi. È piuttosto triste - conclude - ma è così».

LE REAZIONI - «È desolante che un uomo di cultura come Umberto Eco abbia voluto stabilire un raffronto tanto provocatorio quanto offensivo per la verità e per la sensibilità di milioni di italiani, e che abbia voluto farlo in una città come Gerusalemme», replica da Roma Bondi. «Quello che a Eco, e alla cerchia di intellettuali che condividono le sue battaglie politiche all'insegna di una faziosità delirante, sfugge totalmente - rivendica il ministro - è che la ragione per la quale la maggioranza degli italiani accorda un consenso sempre più ampio e una fiducia incondizionata al presidente Berlusconi è proprio per difendere le ragioni della libertà e della democrazia». Bondi, attacca dal Pd Emilia De Biase, spieghi piuttosto «il suo totale silenzio sullo scempio della cultura». Ma dal Pdl è un coro di critiche allo scrittore: dal presidente della commissione Trasporti della Camera Mario Valducci («È imbarazzante sentire uno scrittore illustre come Umberto Eco paragonare Berlusconi a Hitler», tanto più «in una manifestazione internazionale»), dal vicepresidente dei deputati Osvaldo Napoli (Eco «è riuscito a offendere gli italiani, gli israeliani, che conservano sulle loro carni e nella memoria il ricordo del nazismo, e la comunità ebraica italiana»), dal presidente del comitato Schenghen Margherita Boniver, che inserisce il parallelo tra il premier e Hitler nella «grande tradizione della commedia all'italiana».

LO SCRITTORE - Nel suo intervento alla Fiera di Gerusalemme, Eco intanto si sofferma sulle proteste in Nord Africa, che lo hanno «stupefatto. Le nuove generazioni - sottolinea - sono riuscite con Twitter e Facebook, ed io non ho una pagina, ad organizzare una rivoluzione in cinque paesi diversi, in una maniera che i loro padri non sarebbero stati in grado non solo di fare ma neppure di immaginare». Poi, da semiologo, conclude: «Lo hanno fatto con un pessimo linguaggio. Ma lo hanno fatto. È qualcosa di assolutamente nuovo che fa rimettere in discussione tutte le nostre teorie».

Un più che buon motivo per non comprare MAI i suoi libri. E un altro motivo per continuare a votare per il centrodestra.

mercoledì 23 febbraio 2011

Rimpatri difficili e notizie confuse...


Roma - Sono 6.300 gli immigati arrivati in Italia dall’inizio della crisi in Nord Africa. Al termine della riunione con i colleghi di Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha spiegato che "in pochi hanno presentato domande di asilo e quelli che non lo hanno fatto saranno ospitati nei Cie fino a quando non arriverà il nullaosta per il rimpatrio e poi verranno rimpatriati". I cinque ministri hanno poi chiesto un fondo speciale di solidarietà da destinare ai Paesi che sopportano i maggiori flussi migratori per la crisi nordafricana. Ma le stime di Frontex sono tutt'altro che rosee: le rivolte nel Nord Africa potrebbero spingere in Europa tra 500mila e 1,5 milioni di immigrati che "si dirigeranno principalmente in Italia, Malta e Grecia".

Al lavoro nei centri di accoglienza. Il titolare dell'Interno ha fatto fare una ricognizione in tutte le regioni, tramite i prefetti, per individuare luoghi e aree da utilizzare per l’emergenza flussi migratori. Stime fatte da rappresentanti della Lega araba, ha spiegato Maroni, parlano di 2-300mila immigati pronti a partire dalla Libia e noi ci stiamo preparando per sopportare l’impatto. "Possiamo farlo - ha sottolineato Maroni - ma non per lungo tempo, l’Unione europea ci deve aiutare". Ad ogni modo il ministro leghista ha fatto sapere che i clandestini saranno tenuti nei Cie fino a sei mesi dal momento che la direttiva europea prevede anche un tempo fino a 18 mesi. Per i rimpatri, invece, sono fondamentali i rapporti bilaterali con la Tunisia e con gli altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo. "L’accordo con l’Egitto continua a funzionare bene - ha assicurato Maroni - quello con la Tunisia è più complicato, ci sono procedure lente per il riconoscimento e ci hanno imposti numeri bassi per i rimpatri, ma domani c’è una riunione a Palazzo Chigi per chiedere al nuovo governo tunisino di rinegoziare gli accordi". I 6.200 tunisini giunti in Italia sono stati tutti identificati ed attendiamo dalla Tunisia il nullaosta per i rimpatri: "Naturalmente, se ci dicono che ne possono accettare tre al giorno è un problema".

Le norme europee

Immigrati: Ue, no smistamento automatico. 'Solidarieta' fra Stati membri solo su base volontaria'

BRUXELLES, 23 FEB - Le norme europee non prevedono un 'meccanismo di redistribuzione' tra gli Stati membri dei migranti che chiedono asilo: 'la solidarieta' tra gli Stati e' solo su base volontaria'. Lo ha precisato il portavoce di Cecilia Malmstrom, Commissaria europea per gli affari interni. Possibile, invece, approvare un'assistenza finanziaria per gli Stati membri dell'Ue che si trovano a far fronte a un flusso migratorio eccezionale.

Boldrini in action

In precedenza avevo pubblicato questo, ora, torno sul luogo del delitto, scartabello quel tanto che basta, trovo, ovviamente, altri posts strappalacrime e di nuovo il commento di Enrico:

le scrivo dalla Tunisia dove vivo da 14 anni, considero questo Paese la mia seconda patria, ho partecipato alla Rivoluzione ed ora sono qui a lavorare per il futuro. senza nessuna sfumatura razzista vorrei informarla che tutti quei giovani fra i 18 e i 30 anni non sono dei poveri profughi, anche perche’ questa rivoluzione e’ partita proprio dai giovani, che chiedevano dignita’ democratica ed ora, grazie all’impegno della lora nazione, qui la dignita’ c’e’. allora perche’ scappano? da cosa scappano? per quello che io vedo tutti i santi giorni quelli scappano dalla fatica, dall’impegno sociale, in un’alta percentuale scappano dalle patrie galere. Moltissimi scappano dalle loro responsabilita’ di piccoli tirapiedi del clan Trabelsi, si tratta di esattori del pizzo, mafiosetti che hanno alzato la cresta nei loro quartieri e che ora hanno paura che la cresta gli venga lisciata. Qui non ci sono pericoli, la gente lavora, i mercati sono aperti, i bambini vanno a scuola… ma questi “poveri ragazzi” i tremila dinari per il “passaggio” dove li hanno trovati? io lo so benissimo, voi in italia fate finta di non saperlo. A lampedusa non sono state prove di “convivenza” ma esternazioni di buonismo qualunquista, se i ragazzi di lampedusa si permettessero di andare a organizzare una partitella a Borj Louzir, Kabaria, Melhassine, i sobborghi malfamati di Tunisi da dove viene questa gente, si vedrebbero scacciati a coltellate al grido ” mrawwa barrani” (vattene straniero) Cosa farne di questi “bravi ragazzi”? noi qui nelle strade non ne abbiamo certo bisogno, peraltro ci farebbe fastidio vederli tornare fra 3 anni pieni di soldi e ben rodati allo spaccio: rimandateceli che abbiamo undicimila posti liberi in galera.

PS: alla signora Boldrini consiglierei di svolgere una “missione” atipica: non incontrare ministri, sottosegretari, istituzioni ecc ecc, venga in Tunisia da semplice cittadina, faccia un giro in citta’, magari nella periferia o in campagna, e veda se davvero ci sono “caos e instabilita”. Vada a verificare se agli indirizzi delle famiglie di quei ragazzi c’e’ miseria o se invece c’e’ un gruppo familiare ben noto alla polizia che vive da decenni di delinquenza. signora Boldrini, per sapere dove, come e chi gestisce una barca e per avere i 3000 dinari, qui in Tunisia, dove io vivo, bisogna essere “del giro” ! le brave persone non sanno neanche a chi devono darli i soldi! dite che ora e’ tutto alla luce del sole? fesserie, i mediatori sanno da chi andare, sanno a chi far credito, sanno chi e’ disposto a far lavori sporchi.

Dell'attentato al terminal


MALPENSA (Varese) - La fatwa di Sadallah Ganouni aveva colpito la Coca Cola e McDonald's e immancabilmente anche Israele, tutti accomunati sotto il marchio di nemici dell'Islam. Però, per dire quanta confusione regnasse nella testa dell'immigrato che lunedì si è lanciato con l'auto contro il terminal 1 di Malpensa, l'uomo aveva in simpatia la Lega Nord, perché sventola bandiere verdi, che sono il colore preferito dai fedeli del Corano. Le prime traduzioni dei fogli trovati nella casa di Ceriano Laghetto dove Ganouni viveva con moglie e tre figli confermano che questa caricatura di kamikaze era ossessionato dalla civiltà occidentale ma che - per fortuna di tutti - ha finito col suo gesto per fare danni più che altri a se stesso.

Sarà anche malato e corrotto, l'Occidente, ma se non altro ha regalato anche a un poveraccio come l'operaio tunisino il proverbiale quarto d'ora di celebrità. Matto deve essere matto per davvero, Ganouni, ma dovendo scegliere come rappresentare e dare sfogo alla sua follia, si è improvvisato vendicatore. Mercoledì l'uomo verrà sottoposto all'interrogatorio di garanzia dopo che il pm Roberto Pirro ne ha formalmente chiesto l'arresto per tentato omicidio e danneggiamento. Ma l'avvocato difensore non ha potuto ancora parlare col suo assistito perché il tunisino nel carcere di Busto Arsizio ha avuto una nuova crisi di nervi e ieri era ancora molto agitato. Il quadro combacia perfettamente con gli scritti sequestrati nella casa di Ceriano Laghetto. In quei fogli vergati a mano in arabo, l'uomo che ha seminato il panico a Malpensa se la prende furiosamente con i simboli del consumismo.

«Non bisogna bere Coca Cola e non bisogna mangiare i panini di McDonald's perché fanno male», recita uno dei suoi fogli. La personalissima maledizione di Ganouni colpisce anche la frutta e la verdura dei supermercati che lui ritiene «avvelenata». Le frasi mescolano salutismo e fondamentalismo, andandosela a prendere con Israele (a cui è ad esempio ricondotta la produzione della Coca Cola) nemico dell'Islam e degli arabi. «Il verde è un bel colore - proclama il tunisino in un altro foglio - perché rappresenta l'Islam e mi piace la Lega Nord perché lo mette nelle sue bandiere». Non è escluso che il fermato venga sottoposto anche a perizia psichiatrica. La furia distruttrice del tunisino, intanto, un effetto l'ha già provocato: ieri la polizia ha deciso di rinforzare tutte le «difese passive» all'aeroporto di Malpensa. Ogni ingresso del terminal 1 verrà protetto con panettoni e barriere di cemento collocate all'esterno delle porte.

Claudio Del Frate

L'aiuto concreto della Ue: 3 funzionari


Tre anime in pena mandate da Bru­xelles a Lampedusa. Si aggirano per l’isola e chiedono: «Va tutto bene con i riconoscimenti degli immigrati?». So­no i funzionari dell’Agenzia Frontex, inviati dopo le pressioni di Maroni e il rimprovero fatto all’Italia dal commis­sario europeo Cecilia Malmstroem, che accusava il nostro Paese di non aver avanzato richieste per l’emergen­za sbarchi, «in caso contrario, la Com­missione avrebbe attivato una missio­ne europea, che in poche ore avrebbe portato a Lampedusa uomini e mez­zi». Ma l’Ue, sul piano operativo, sta sfiorando il ridicolo. Sono arrivati solo tre funzionari. Lunedì. Senza mezzi, né propositi. Tanto che a mettere a punto un pia­no di intervento è il Viminale, che cura i contatti con i responsabili Affari Inter­nazionali di Bruxelles. Ancora ieri il portavoce della Malmstroem spiega­va che la missione «Hermes» si basa su 30 esperti provenienti da mezza Euro­pa, 4 aerei e 2 elicotteri per il pattuglia­mento. Ma dove sono? Sulla carta. Per­ché l’attivazione della missione euro­pea, lanciata due giorni fa dall’ Agen­zia Frontex, fa registrare alla Capitane­ria di porto «nessun mezzo inviato per le ricognizioni marittime». Intanto dal­la Guardia Costiera fanno sapere che neppure i tre si sono visti, dunque «la missione non è affatto iniziata come dicono». Un’amara constatazione che compatta gli operatori italiani a Lam­pedusa, impegnati invece al massimo. E che trova conferme anche allo Stato Maggiore della Difesa, dove si ironiz­za: «A meno che l’invio non sia immi­nente senza averci informato...». Non esiste dunque alcun piano “europeo” d’intervento,capace di muoversi subi­to; come comunicato con stizza dalla Commissione.

Ieri un’altra voce tutt’altro che soli­dale. Secondo una fonte diplomatica, i governi del Nord Europa sarebbero pronti a sostenere che il rimpatrio de­gli illegali, e la valutazione delle do­mande d’asilo, spetta solo al Paese in cui approdano. Dunque: «l’Italia non conti sullo smistamento in Europa». Ma su tre funzionari. Appiedati. Che al momento rappresentano i potenti mezzi dell’Ue. L’Italia si trova dunque a fronteggiare l’emergenza da sola. Lo ha chiarito ieri il portavoce della Malm­stroem, dicendo che la missione Her­mes «è ancora in corso di definizione». In mare ci sono solo mezzi italiani. Guardia Costiera, Marina, Finanza, ae­rei. Da Bruxelles un annuncio. Fumo­so. Tutt’altro che in grado di frenare l’ondata libica pronosticata. Il gover­no chiede assistenza soprattutto per le frontiere. Mezzi e denaro da impiega­re in operazione. Finora in acqua c’è solo l’Italia. E il supporto comunitario sembra ridimensionarsi sempre più. Ieri il centro di Lampedusa ospitava 1.001 migranti, quando potrebbe acco­gliere solo 700. E i tre funzionari Fron­tex non si sono neppure visti. La mio­pia europea non fa previsioni. Non ascolta gli allarmi dell’intelligence gi­rati a Bruxelles. E se da 48 ore la rottura del confine libico dove sono saltati i collegamenti con le autorità referenti è già una realtà, risponde con uno stand by. Perché alla Commissione «non risultano arrivi dalla Libia». Gli sbarchi complessivi sono stati circa 5.400. Sulle spiagge tunisine sono tor­nati i carri armati e le reti per impedire le partenze. Ma sulle coste libiche non ci sono più controlli. La Finanza parla di mancanza di interlocutori e la Cro­ce Rossa in Sicilia si prepara al peggio. Il suo Nucleo di Valutazione esamina le necessità di assistere i migranti del Residence degli Aranci di Mineo, nel Catanese. Dove potrebbero giungere centinaia di persone.

Tutti gli attori concordano con il mi­nistro Maroni: da soli non siamo in gra­do di fronteggiare l’emergenza umani­taria libica. Dal confine del sud, Niger-Ciad-Sudan, in migliaia premono per raggiungere il Vecchio Continente. Maroni ha chiesto all’Europa 100 mi­lioni. Cifra per cui si cerca almeno il sostegno di Spagna, Francia, Grecia, Cipro e Malta in una riunione prevista per oggi a Villa Doria Pamphili. Per convincere Bruxelles con le armi della politica, viste le prese di posizione di Germania e Finlandia, tutt’altro che solidali.
 

Roma - Occorre prepararsi a tutti i possibili scenari, apprestare piani di intervento e di emergenza, per essere pronti a un eventuale "flusso importante" di immigrati dalla Libia, ma senza alzare troppo i toni, per evitare che l’opinione pubblica abbia l’impressione di essere invasa. È quanto sostiene Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), commentando le parole del ministro degli Esteri Franco Frattini, che in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato oggi che il crollo del regime libico potrebbe portare in Italia 2-300 mila immigrati. Boldrini precisa di non sapere quali siano le fonti del ministro, ma sottolinea come in situazioni simili le stime vengano fatte "sulla base di fonti diverse, quali osservatori locali, intelligence e ambasciate". Quindi ricorda che in Libia "ci sono rifugiati e richiedenti asilo provenienti da diversi Paesi del Corno d’Africa, che in questo momento si trovano in grandissima difficoltà, sia perchè i dimostranti sostengono che siano stati reclutati dei mercenari africani per sparare sulla folla, sia perchè lo stesso figlio di Gheddafi ha detto in televisione che dietro la rivolta ci sarebbero gli stranieri".

Le preoccupazioni della Boldrini. "La posizione dei rifugiati africani è particolarmente a rischio - sottolinea il portavoce dell’Unhcr - nel nostro ufficio sono registrati circa 11.000 tra rifugiati e richiedenti asilo, ma ci sono molte altre persone bisognose di protezione che non sono registrate presso di noi. E queste persone non hanno alcun riferimento nel Paese, da quando nello scorso giugno non possiamo più registrare nuovi richiedenti asilo". Di fronte a quanto sta accadendo in Libia, afferma, "ritengo sia giusto e importante apprestare piani di intervento, prepararsi a vari scenari, ma anche non alzare troppo i toni, per non generare ansia nell’opinone pubblica". Boldrini evidenzia anche come "in una situazione simile, a prescindere da quale sarà l’esito delle proteste, è prevedibile che ci saranno anche libici che non si sentiranno più al sicuro e cercheranno di uscire dal Paese". Un fatto "mai accaduto in passato". Boldrini ricorda infine come l’Italia abbia già vissuto in passato situazioni in cui "arrivavano via mare decine di migliaia di persone in fuga o da un crollo di regime, come nel caso dell’Albania, o da conflitti, come nei Balcani e nel Kosovo. Nel 1999 arrivarono 36.000 persone".

L'allarme della ricercatrice: 2 milioni di profughi. Oggi, dalle pagine del Messaggero, lancia l'allarme la ricercatrice dell'università di Oxford Emanuela Paoletti, suona la campanella d'allarme: "Due milioni di immigrati clandestini potrebbero riversarsi alle nostre frontiere".

martedì 22 febbraio 2011

La smisurata utilità della Ue


Roma - Dalla Libia è allarme rifugiati. Con 11mila persone a rischio di fuga verso l'Italia e l'Europa. L’alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato un appello all’Europa e ai Paesi del Nord Africa vicini alla Libia a non respingere le persone in fuga dagli scontri. L’Italia è tra i Paesi "che potrebbero ricevere un maggior flusso di persone in fuga dalla Libia" sia cittadini libici sia rifugiati da altri Paesi, ha detto Melissa Fleming, portavoce dell’Alto Commissario per i rifugiati. "Noi chiediamo: per favore, non li respingete. Questo è il momento di mostrare il vostro spirito umanitario e la vostra generosità nei confronti delle persone che stanno attraversando un grave trauma" ha detto la portavoce a Ginevra, spiegando che "questa è la principale rotta per i migranti e per le persone che scappano dalle guerre e dalle violenze in Africa. A molti di loro è stato impedito di raggiungere l’Europa e sono stati catturati in Libia". In Libia ci sono circa 8mila rifugiati registrati dall’Unhcr e altri 3mila con richieste di asilo ancora pendenti da Sudan, Iraq, Eritrea, Somalia, Ciad e Territori palestinesi.

No di Bossi. Gli immigrati in fuga dal Nord Africa "intanto non sono arrivati e speriamo che non arrivino. Se arrivano li mandiamo in Francia e Germania...". Umberto Bossi risponde così ai cronisti a Montecitorio che gli chiedono se la Lega Nord "è preoccupata per l’arrivo di immigrati in fuga dal Nord Africa". Quanto alla Libia "aspettiamo ordini dall’Unione Europea" è la risposta del leader del Carroccio.

Ma l'Europa se ne lava le mani. "Solidarietà" con il governo italiano, "disponibilità a fornire materiale umano e mezzi finanziari", ma non ci sarà alcuna apertura nei confronti di una distribuzione del fardello dell’immigrazione proveniente dai Paesi del Nord Africa. È quanto si apprende da fonti diplomatiche europee.

Difesa pronta. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa non si lascia spaventare e per il rimpatrio o l’eventuale evacuazione degli italiani dalla Libia assicura che l'Italia è pronta "a mettere in campo quattro o cinque aerei C-130, alcune navi e, se necessario, qualche centinaio di militari". La Russa ha anche sottolineato che di tutto ciò si parlerà nella riunione ministeriale in programma questa sera.

Ora, chi paga?

... perchè è successo altre volte e può ancora succedere. A chiunque.


PALERMO - In primo grado era stato condannato a 10 anni e 8 mesi e marchiato come mafioso. Il gip che lo mandò in carcere, accogliendo in pieno le tesi della procura, lo definì tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di «una Cosa sua», più che di Cosa Nostra. Un’espressione forte che doveva rendere l’idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, 61 anni, radiologo con la passione per la politica, eletto all’Ars nelle fila di Forza Italia. Dopo quasi sei anni di custodia cautelare - tra carcere e arresti domiciliari - e una condanna per associazione mafiosa, la corte d’appello di Palermo - presidente Biagio Insacco - riscrive la storia dell’ex deputato regionale, mandandolo assolto e ordinando la revoca dei domiciliari a cui era sottoposto.

IL PM: SONO SORPRESO - Una sentenza destinata a far discutere, che sconfessa il primo verdetto. «Sono veramente sorpreso», commenta il pm della Dda Nino Di Matteo che ha istruito il processo di primo grado. «Il quadro probatorio a carico dell’imputato - aggiunge - era stato ritenuto molto solido sia dal tribunale, al termine di una istruttoria dibattimentale molto accurata e complessa, sia in sede cautelare da più collegi del Riesame e dalla stessa Suprema Corte».

L'EX DEPUTATO: RINGRAZIO DIO E LA MIA FAMIGLIA - "Emozionato e felice, non so che altro dire", sussurra Mercadante, che affida a uno dei suoi legali, l’avvocato Grazia Volo, il commento, anche perché ha perso la voce per la gioia. «Ringrazio i miei difensori - dice quando gli viene comunicata la sentenza - Dio e la mia famiglia». Parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, l’ex parlamentare era accusato di essere stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione viene archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell’inchiesta. A carico dell’ex deputato, alle accuse dei pentiti, si aggiungono le intercettazioni ambientali effettuate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante emerge più volte. Per l’accusa, l’ex parlamentare azzurro sarebbe stato «pienamente inserito nel sodalizio criminoso».

I PENTITI - Una conclusione riscontrata anche dalle testimonianze di collaboratori di giustizia: da Nino Giuffrè ad Angelo Siino e Giovanni Brusca. Giuffrè ad esempio racconta di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi. Prove non sufficienti, secondo i giudici, che nella formula assolutoria usano il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale, stabilendo che «il fatto non sussiste».

CONDANNATI I COIMPUTATI - Invariata, invece, la pena per tre dei coimputati. A 16 anni viene condannato Nino Cinà, l’uomo dei misteri della trattativa tra Stato e mafia. Reggente del mandamento di Resuttana, sarebbe stato «mediatore e pacificatore», a lui Totò Riina avrebbe dato il papello con le richieste del padrino allo Stato per interrompere le stragi. Medico di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, Cinà è già stato condannato due volte per associazione mafiosa. Confermate anche le pene inflitte a Provenzano (sei anni), accusato di estorsione, e al commerciante Paolo Buscemi (sei mesi), imputato di favoreggiamento. Solo una lieve riduzione di pena è stata accordata allo storico boss di Torretta Lorenzo Di Maggio. Il tribunale gli aveva dato 9 anni e 4 mesi, diventati ora 7 anni.

L'ARRESTO NEL 2006 - L'ex politico azzurro fu arrestato nel 2006 al termine di un blitz antimafia denominato “Gotha” . Nel luglio 2009, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio, i giudici della seconda sezione penale di Palermo condannarono il radiologo a 10 anni e otto mesi di carcere per associazione mafiosa. Il medico era stato accusato dai pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci (che avevano chiesto per lui una pena detentiva di 14 anni) di essere a disposizione di Provenzano sia nell’ambito della sanità che nella politica rivestendo un ruolo apicale nel vertice di Cosa Nostra. Secondo la Procura di Palermo l’ex primario della Radiologia del Maurizio Ascoli, nonché primo cugino del consigliori di Provenzano Tommaso (Masino) Cannella, aveva messo a disposizione la sua perizia professionale per l’effettuazione di esami clinici in favore dei boss.

MICCICHE' - «L’assoluzione di Giovanni Mercadante mi riempie di gioia e lascia dentro di me tanta, tantissima amarezza: Mercadante è stato condannato a patire le pene dell’inferno, ancor prima di ricevere una vera sentenza di condanna». Lo afferma il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e leader di Forza del Sud, Gianfranco Miccichè. «Anni di carcere - aggiunge Miccichè - senza che il fatto sussistesse: non ci sono parole. Solo interrogativi e i tanti dubbi sulla giustizia di questo Paese, che ci portiamo dietro da quasi vent’anni ormai e che ancora una volta - conclude - si dimostrano assolutamente fondati».

Le pressioni dell'onu


MILANO - Il possibile flusso di profughi dalla Libia in fiamme spaventa l'Europa, e in particolare l'Italia, ma l'Onu lancia un appello affinché non si respingano le persone in fuga dagli scontri. Melissa Fleming, la portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) dell'Acnur, ha detto che l'Italia è tra i paesi che «più probabilmente riceveranno un afflusso di persone in fuga dalla Libia», tra cui cittadini libici e profughi di altre nazioni. «Stiamo dicendo, "per favore, non respingeteli"», ha detto in un briefing a Ginevra, dove l'agenzia ha la sede. «E' il momento di mostrare spirito umanitario e generosità verso gente che ha subito un forte trauma». Ci sono in Libia circa 8000 rifugiati politici registrati dall'Acnur e altri 3000 richiedenti asilo con la domanda in sospeso provenienti da Sudan, Iraq, Eritrea, Somalia, Ciad e Territori palestinesi.

BOSSI: «LI MANDIAMO IN FRANCIA E GERMANIA» - La risposta di Umberto Bossi sbatte però la porta in faccia a questa soluzione: «intanto non sono arrivati - ha detto il leader della Lega - e speriamo che non arrivino. Se arrivano li mandiamo in Francia e Germania...».

PREOCCUPAZIONE DI NAPOLITANO - Anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano «segue con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia» e attraverso un comunicato ha chiesto che si fermino le violenze e che si ascolti il popolo. Intanto il governo italiano sta predisponendo i mezzi per cercare di evacuare i nostri connazionali presenti nel Paese di Muammar Gheddafi. Il capo dello Stato sottolinea, «come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare.

RIENTRI - Intanto un aereo C130 dell'Aeronautica Militare «è pronto a partire dall'Italia per rimpatriare un centinaio di connazionali che si trovano a Bengasi». L'indicazione la offre il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti ad Abu Dhabi, dove si trova in visita ufficiale. Tuttavia la notizia della distruzione della pista dell'aeroporto di Bengasi e quella di bombardamenti in corso a Tripoli, sembrano aver reso più difficile il compito del governo nel predisporre il rientro dei nostri connazionali. «L'aereo arriverà in un altro scalo, che per motivi di riservatezza non vi dico», ha detto successivamente il ministro ai giornalisti. «Lasciamo un minimo di embargo sulla notizia vista la delicatezza della situazione. L'operazione non viene meno, cambiano soltanto orari, tempi e luoghi», ha precisato La Russa. E' il primo accenno istituzionale a un piano di rientro degli italiani in Libia. Alcuni Paesi europei e non, come Portogallo, Austria, Giappone, si erano già mossi cominciando l'evacuazione dei loro cittadini dalla Libia. Gli italiani «stabilmente» in Libia sono 1.500 e la Farnesina e l'ambasciata avevano consigliato fino a lunedì di partire con voli commerciali. Le aziende invece avevano cominciato a muoversi. Le possibilità di lasciare la Libia ovviamente sono legate alla regolarità dei voli. A quanto si è appreso Alitalia, oltre ai due collegamenti giornalieri (uno già partito per Tripoli questa mattina alle 8.15), ha messo a disposizione un volo speciale operato con un Boeing 777 capace di 280 posti, per consentire in tempi quando più rapidi il rientro dei connazionali. Nel frattempo, fonti delle Fiamme Gialle fanno sapere che si sono spostati dallo loro base a Bengasi all'ambasciata italiana a Tripoli i finanzieri che normalmente svolgono compiti di supporto a bordo delle motovedette libiche, come previsto dal trattato Roma-Tripoli sui pattugliamenti in mare. «Non si erano manifestate criticità - spiegano le stesse fonti - ma l'incarico è stato semplicemente sospeso visto che le autorità libiche non stanno svolgendo pattugliamenti in mare». Nel frattempo il ministero della Difesa ha fatto sapere che il cacciatorpediniere Mimbelli incrocia nelle acque del canale di Sicilia, visto che questa nave è dotata di un sistema radar molto efficiente ed è quindi in grado di monitorare l'arrivo di nuovo velivoli dalla Libia, visto il caso precedente dei due caccia giunti a Malta.

FRATTINI: «RISCHIO MAREA DI IMMIGRATI» - Intanto, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha dichiarato durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa: «Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione verso l'Unione Europea di dimensioni epocali». Frattini si era detto lunedì «molto preoccupato per le ipotesi che stanno emergendo di un emirato islamico a Bengasi». Frattini ha affermato che l'Ue «non deve interferire» nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di «esportare» il proprio modello di democrazia. Parole che hanno sollevato dure critiche da parte dell'opposizione. Ma proprio oggi Frattini si rivolge all'opposizione sull'apertura di Maroni e, dall'altra parte, di Casini: «Spero che la parte responsabile dell'opposizione possa in questo momento condividere quest'appello».

PALAZZO CHIGI - L'Italia è vicina al popolo libico che sta attraversando un momento tragico della sua storia. È quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi che sottolinenano come sono «totalmente false, provocatorie e prive di fondamento le voci riguardo presunti aiuti italiani militari o sotto qualsiasi altra forma nelle azioni contro i manifestanti e a danno dei civili».

Sempre più a fondo...


Roma - A meno di colpi di scena dell’ultimo minuto, Futuro e libertà subirà oggi una nuova, pesante "scissione". Il capogruppo al Senato Pasquale Viespoli, Andrea Ronchi e quattro o cinque senatori hanno infatti fatto sapere ai "mediatori" futuristi l’intenzione di lasciare il partito. L’annuncio dovrebbe arrivare dopo la riunione dei senatori che si terrà nel primo pomeriggio a Palazzo Madama. È in atto invece un estremo tentativo di mediazione con Adolfo Urso, al cui destino è legata anche la permanenza in Fli del coordinatore siciliano Pippo Scalia. Urso ieri ha incontrato Bocchino, senza però che la riunione sbloccasse la situazione. E' possibile che sia lo stesso Gianfranco Fini a incontrare oggi Urso.

Lo scontro Bocchino-Viespoli. "Esodi di massa da Futuro e Libertà non ce ne sono". Ad assicurarlo - nonostante la prova dei fatti - è proprio Bocchino denunciando che è in atto "un’operazione di Palazzo con l’acquisizione di alcuni parlamentari". Ai microfoni di Omnibus, Bocchino dice di non essere preoccupato se Fli non avrà un gruppo al Senato, "neanche Casini ce l’ha". Poi assicura: "Il partito è vivo e vegeto: siamo come quelli che manifestavano in piazza Tien An Men e Timisoara: a mani nude contro i carri armati". Pasquale Viespoli insorge al solo sentir parlare di "manovre di palazzo" o di "potere finanziario del premier". Parla, invece, di scelte "coraggiose e disinteressate". "Io sto nel palazzo e mi occupo del palazzo, ma non delle manovre del palazzo - spiega - ogni scelta andrà quindi rispettata perchè sarà una scelta politica. Non so a chi si riferisse Fini, ma non credo parlasse di quei parlamentari che hanno fatto scelte in difesa di una cultura di centrodestra".

Cresce il numero dei "responsabili". Sei deputati del Pdl passano al gruppo dei "responsabili" alla Camera, che raggiunge così quota 28, indispensabile per riequilibrare i numeri della maggioranza e quelli dell’opposizione nelle commissioni. Ad iscriversi al nuovo gruppo, ha annunciato in aula a Montecitorio in apertura di seduta il vicepresidente Maurizio Lupi, sono Giancarlo Lehner, Giovanni Mottola, Andrea Orsini, Gerardo Soglia, Maria Elena Stasi e Vincenzo Taddei. Lupi ha ufficializzato anche l’uscita dal gruppo di Fli alla Camera di Roberto Rosso e Luca Barbareschi: Rossi è rientrato nel gruppo Pdl, mentre Barbareschi si è iscritto al gruppo Misto.

... ma la colpa si sa di chi è, è di quel cattivone del caimano... lui c'ha i soldi e può comprarsi tutti. Quasi quasi che il povero Fini comincia a farmi pena... ma anche no!

Punti di vista... libero accesso, pretese

Appello: IL PRIMO MARZO CONTRO I REGNI DELLA PAURA

Appello:

Non bisognava aspettare oggi per sapere che i cosiddetti regimi moderati del Mediterraneo avevano tra i loro compiti anche quello di reprimere la libertà di movimento dei migranti. Notizie drammatiche giungono però in queste ore dalla Libia, dove il governo di Gheddafi sta reprimendo in un bagno di sangue le legittime proteste di quello che fino a ieri chiamava il suo popolo. Non dimentichiamo che il governo Libico è stato ed è ancora un caposaldo delle politiche migratorie italiane e quindi europee. Per anni i governi italiani hanno stretto patti con il governo libico per poter esternalizzare il lavoro sporco di repressione dei migranti che cercano di raggiungere l'Europa. Il risultato sono stati migliaia di morti nel deserto libico, migliaia di detenuti nei centri di detenzione libici, senza alcun diritto, esposti alla mercé di un regime che oggi mostra a tutti il suo volto bombardando i manifestanti.

Di fronte a tutto questo non possono esistere titubanze, non esistono "se e ma". Bisogna scegliere ancora una volta da che parte stare: o in nome della difesa di una politica basata sui decreti flussi si continuerà a cercare l'appoggio di chiunque purché fermi i migranti, oppure si mette la parola fine alle politiche inaugurate con gli accordi di riammissione e le politiche dei respingimenti.

Il silenzio e le titubanze del governo italiano e di molte forze politiche, preoccupate soprattutto da ipotetiche "invasioni" o da nuovi sbarchi, mostrano le ipocrisie della politica italiana. A tutti loro vorremmo dire che la loro preoccupazione ha consegnato per anni i migranti nelle mani della repressione più dura, contravvenendo a tutte le leggi internazionali, senza alcun rispetto per i diritti umani. E' ora di dire basta, e di rispondere in massa: non sono solo le politiche portate avanti all'interno dei confini italiani che ci riguardano, ma anche ciò che il governo italiano fa e promuove fuori dall'Italia. Dietro la maschera della cooperazione l'Italia e l'Unione Europea sono responsabili delle politiche portate avanti da governi dittatoriali contro i migranti e tutti i loro cittadini, cui viene fornito appoggio militare, economico e tecnico. Con inqualificabile cinismo, in queste settimane, di fronte alla lotta per la libertà di centinaia di migliaia di uomini e di donne, l'unica preoccupazione è sembrata essere una fantomatica invasione di disperati. Non c'è nessuna invasione. Basta con i regni della paura in Italia e in LIbia. Quegli uomini e quelle donne seguono con coraggio la speranza della libertà e di una vita migliore. C'è chi teme i califfati alle porte dell'Italia e il fondamentalismo islamico, mentre tutto ciò che si vede è un sano integralismo della libertà.

Abbiamo già affermato lo stretto legame che esiste tra le lotte per la libertà in Africa e le lotte dei migranti in Europa. Il primo marzo sarà una giornata di sciopero e mobilitazione del lavoro migrante, contro il ricatto della Bossi-Fini, contro il razzismo istituzionale e per i diritti di tutte e tutti. Dopo la mobilitazione dello scorso anno, dalla rivolta dei braccianti a Rosarno alle sciopero e alle proteste della gru a Brescia e della torre a Milano, quest'anno i migranti torneranno a essere protagonisti in prima persona. Con loro ci saranno tanti lavoratori e lavoratrici italiani, studenti e studentesse. Una protesta che si sta allargando a diversi paesi europei: lo scorso anno la Francia, la Grecia e altri, quest'anno l'Austria, perché lo sciopero dei migranti parla della possibilità di difendere ed estendere i diritti di tutte e tutti.

Rivolgiamo a tutti un appello affinché questa giornata dalla parte dei migranti sia anche una mobilitazione generale contro la repressione in atto e quelle a venire e contro le politiche europee di complicità con regimi sanguinari. Oltre a portare in piazza le rivendicazioni contro la Bossi-Fini e il razzismo istituzionale in Italia, il primo marzo sarà anche un'occasione per esprimere il nostro appoggio a queste rivolte di uomini e donne liberi di scegliere il proprio destino.

Noi chiediamo:

- la fine di ogni appoggio finanziario, logistico e militare finalizzato alla repressione dei migranti, a partire dall'accordo con la Libia

- la fine della politica dell'esternalizzazione dei confini europei attraverso finanziamenti e accordi con governi confinanti per reprimere i migranti per conto dell'Unione Europea

- la chiusura dei CIE e di tutti i centri di detenzione finanziati dall'Italia in Libia e in altri paesi

- la chiusura di Frontex, unico corpo militare europeo esistente, che viene utilizzato per tentare di fermare i migranti, costringendo ogni volta a cercare altre vie più pericolose

- la fine dei tentativi di respingimento che non hanno avuto altro risultato che aumentare il numero dei morti nel Mediterraneo


Coordinamento Migranti Bologna e provincia

... si, certo, come no... e la marmotta incartava la cioccolata...

Realistici punti di vista?


Per capire che cosa sta accadendo a Tripoli bisogna considerare innanzitutto il quadro strategico. Non siamo di fronte a rivolte spontanee, ma indotte che mirano a replicare nel nord Africa quanto avvenuto alla fine degli anni Ottanta nell’ex Unione Sovietica. Anche allora la rivolta partì da un piccolo Paese, la Lituania, e all’inizio nessuno immaginava che l’incendio potesse propagarsi ai Paesi vicini e non era nemmeno ipotizzabile che l’Urss potesse implodere. Il Maghreb non è l’Unione sovietica e non esistono sovrastrutture da far saltare, ma per il resto le analogie sono evidenti. La Tunisia è il più piccolo dei Paesi della regione ed è servito da detonatore per le altre volte. A ruota è caduto il regime di Mubarak, la Libia è in subbuglio, domani forse Teheran e, magari sull’onda, Algeria, Marocco, Siria. Che cos’avevano in comune i regimi tunisini, egiziano e libico? Il fatto di essere retti da leader autoritari, ormai vecchi, screditati, che pensavano di passare il potere a figli o fedelissimi inetti.

Non è un mistero: le rivolte sono state ampiamente incoraggiate – e per molti versi preparate – dal governo americano, come dimostrato. Da qualche tempo Washington riteneva inevitabile l’esplosione del malcontento popolare e temendo che a guidare la rivolta potessero essere estremisti islamici o gruppi oltranzisti, ha proceduto a quella che appare come un’esplosione controllata, perlomeno in Egitto e in Tunisia. Perché controllata? Perché prima di mettere in difficoltà Ben Ali e Mubarak, l’Amministrazione Obama ha cementato il già solidissimo rapporto con gli eserciti, i quali infatti non hanno mai perso il controllo della situazione e sono stati gli artefici della rivoluzione. Non scordiamocelo: oggi al Cairo e a Tunisi comandano i generali, che anche in futuro eserciteranno un’influenza decisiva. Washington ha vinto due volte: si è assicurata per molti anni a venire la fedeltà di questi due Paesi e ha messo a segno una straordinaria operazione di immagine, dimostrando al mondo intero che l’America è dalla parte del popolo e della democrazia anche in regimi fino a ieri amici.

Le dinamiche libiche sono diverse perché Gheddafi non era un alleato degli Stati Uniti e perché le Ong legate al governo americano non hanno potuto stabilire contatti e legami con la società civile libica; insomma, non hanno potuto fertilizzare il terreno sul quale far germogliare la rivolta. Che però è esplosa lo stesso. Per contagio e alimentando non la fedeltà dell’esercito, ma il suo malcontento. Come in tutte le rivoluzioni sono le forze armate a determinare l’esito delle rivolte popolari. Gheddafi in queste ore paga gli errori commessi in passato. Come ha rilevato Domenico Quirico sulla Stampa, il Colonnello, da vecchio golpista qual’era, non si è mai fidato dei generali e ha proceduto a numerose purghe. Gli uomini in divisa per 42 anni lo hanno temuto, ma non lo hanno mai davvero amato. Così in queste ore molti di loro o si danno alla fuga o passano con i rivoltosi soprattutto nelle città lontane da Tripoli. Gheddafi può contare solo sulle milizie private e su una piccola parte dell’esercito; è questa la ragione di una mossa altrimenti inspiegabile come quella di reclutare centinaia o forse migliaia di miliziani africani.

La conseguenza è inevitabile: sangue, sangue e ancora sangue. L’impressione è che Gheddafi alla fine sarà costretto a fuggire. L’immagine, ridicola, del Raìs in auto con l’ombrello ricorda quella di Saddam Hussein braccato dagli americani nei giorni della caduta di Bagdad. In ogni caso la situazione rischia di essere molto imbarazzante per l’Italia. Se il regime dovesse cadere, la Libia tornerebbe ad essere il porto di partenza verso le nostre coste per decine di migliaia di immigrati. Se dovesse resistere, per noi sarebbe imbarazzante mantenere buoni rapporti con un leader sanguinario. E in entrambi i casi ballerebbero contratti milionari per le nostre aziende. Eni in testa. Non dimentichiamocelo: buona parte dei nostri approvvigionamento energetici dipendono proprio dal Nord Africa. L’esplosione controllata rischia di essere comunque devastante per gli interessi del nostro Paese.