La visita del Papa a Lampedusa ha riportato in primo piano molti dei temi riguardanti l'immigrazione che da tanti anni si dibattono in Italia e in Europa inutilmente perché non si riesce a trovare uno spunto comune per dirigere gli sforzi verso un miglioramento della situazione. Una situazione che, superata la commozione delle parole e della preghiera recitata insieme al Papa, rimane angosciosa per la sua precarietà e per il desiderio di trovare per queste popolazioni che fuggono dal proprio Paese, delle soluzioni «vere», ossia funzionali ad una vita sociale e culturale in Africa simile a quella che cercano da noi. Questo è un punto determinante e del quale non si discute quasi per nulla perché non visibile al primo impatto con persone che arrivano alla spicciolata, affrontando il mare con mezzi fragili e pericolosi, abbandonando tutto quello che a noi sembra indispensabile anche a una persona «povera»: la propria terra, i propri confratelli, la propria lingua, i propri costumi religiosi e sociali, il proprio lavoro, la propria casa In realtà, però, queste sono tutte cose che noi, l'Europa e l'Occidente in generale, siamo riusciti ad ottenere con un lungo sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale, insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell'attività delle officine, dell'apprendimento scolastico e sanitario. È stata necessaria per prima cosa la convinzione e la salvaguardia di un «valore»: quello di ogni singola persona e di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno può violare. Senza questa base del «diritto» non reggerebbe nulla della nostra civiltà: la libertà politica, l'indipendenza della nazione, l'ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto quanto ne dipende. È questo il valore primario che attrae, anche se non saprebbero forse spiegarlo chiaramente neanche a se stessi, tutti coloro che si avventurano in mare per venire da noi. L' Io, il nostro essere prima di tutto «Io», come individuo, come persona di valore assoluto, è una certezza iscritta nel cuore di ogni uomo, da quando emette il primo vagito fino a quando muore, in ogni paese, in ogni epoca, in ogni cultura. Purtroppo in vaste zone dell'Africa esistono molti gruppi presso i quali questo valore non è stato elaborato chiaramente e messo alla base dell'organizzazione sociale ed è questo il compito fondamentale che dobbiamo svolgere in Africa, un compito per il quale noi abbiamo moltissimi strumenti già pronti, ma che lo Stato italiano non ha finora incoraggiato e utilizzato in maniera esplicita a questo scopo. Un facile esempio consiste nel fatto che il maschio in Africa lavora poco lasciando il lavoro della terra alle donne. Ma i maschi musulmani da noi lavorano senza troppe remore e il punto è che debbono convincersi che lo possono fare anche a casa loro perché il lavoro è un diritto, un onore, un «valore» ovunque. Insomma deve essere chiaro a tutti, ma prima di tutto ai nostri governanti, che se si vuole aiutare l'Africa, bisogna farlo insegnando ai suoi abitanti a organizzarsi nel proprio paese secondo il valore della «persona» e del «lavoro». L'immigrazione in Italia deve essere assolutamente esclusa , senza eccezioni di nessun genere, oltre che per gli evidenti motivi di ordine culturale, perché la popolazione si è triplicata nel giro di un secolo e la densità demografica mette seriamente a rischio una vita ordinata e civile. Ma noi abbiamo l'obbligo di convincere gli africani a lavorare per il proprio Paese anche perché l'abbandono dell'Africa impoverisce tutto il mondo non soltanto delle sue immense estensioni, delle sue ricchezze, delle sue possibilità (la Cina sta già cercando di sostituirsi agli indigeni) ma di tanti sogni, tante speranze in un orizzonte diverso.
mercoledì 10 luglio 2013
Sugli sbarchi...
Cito: "arrivano qui perchè in italia l'individuo conta". Si, conta più l'individuo straniero che l'individuo italiano.
Riprendono gli sbarchi: vengono da noi perché qui l'individuo conta. Se si vuole aiutare l'Africa, bisogna farlo insegnando ai suoi abitanti a organizzarsi nel proprio paese secondo il valore della "persona" e del "lavoro" di Ida Magli
La visita del Papa a Lampedusa ha riportato in primo piano molti dei temi riguardanti l'immigrazione che da tanti anni si dibattono in Italia e in Europa inutilmente perché non si riesce a trovare uno spunto comune per dirigere gli sforzi verso un miglioramento della situazione. Una situazione che, superata la commozione delle parole e della preghiera recitata insieme al Papa, rimane angosciosa per la sua precarietà e per il desiderio di trovare per queste popolazioni che fuggono dal proprio Paese, delle soluzioni «vere», ossia funzionali ad una vita sociale e culturale in Africa simile a quella che cercano da noi. Questo è un punto determinante e del quale non si discute quasi per nulla perché non visibile al primo impatto con persone che arrivano alla spicciolata, affrontando il mare con mezzi fragili e pericolosi, abbandonando tutto quello che a noi sembra indispensabile anche a una persona «povera»: la propria terra, i propri confratelli, la propria lingua, i propri costumi religiosi e sociali, il proprio lavoro, la propria casa In realtà, però, queste sono tutte cose che noi, l'Europa e l'Occidente in generale, siamo riusciti ad ottenere con un lungo sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale, insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell'attività delle officine, dell'apprendimento scolastico e sanitario. È stata necessaria per prima cosa la convinzione e la salvaguardia di un «valore»: quello di ogni singola persona e di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno può violare. Senza questa base del «diritto» non reggerebbe nulla della nostra civiltà: la libertà politica, l'indipendenza della nazione, l'ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto quanto ne dipende. È questo il valore primario che attrae, anche se non saprebbero forse spiegarlo chiaramente neanche a se stessi, tutti coloro che si avventurano in mare per venire da noi. L' Io, il nostro essere prima di tutto «Io», come individuo, come persona di valore assoluto, è una certezza iscritta nel cuore di ogni uomo, da quando emette il primo vagito fino a quando muore, in ogni paese, in ogni epoca, in ogni cultura. Purtroppo in vaste zone dell'Africa esistono molti gruppi presso i quali questo valore non è stato elaborato chiaramente e messo alla base dell'organizzazione sociale ed è questo il compito fondamentale che dobbiamo svolgere in Africa, un compito per il quale noi abbiamo moltissimi strumenti già pronti, ma che lo Stato italiano non ha finora incoraggiato e utilizzato in maniera esplicita a questo scopo. Un facile esempio consiste nel fatto che il maschio in Africa lavora poco lasciando il lavoro della terra alle donne. Ma i maschi musulmani da noi lavorano senza troppe remore e il punto è che debbono convincersi che lo possono fare anche a casa loro perché il lavoro è un diritto, un onore, un «valore» ovunque. Insomma deve essere chiaro a tutti, ma prima di tutto ai nostri governanti, che se si vuole aiutare l'Africa, bisogna farlo insegnando ai suoi abitanti a organizzarsi nel proprio paese secondo il valore della «persona» e del «lavoro». L'immigrazione in Italia deve essere assolutamente esclusa , senza eccezioni di nessun genere, oltre che per gli evidenti motivi di ordine culturale, perché la popolazione si è triplicata nel giro di un secolo e la densità demografica mette seriamente a rischio una vita ordinata e civile. Ma noi abbiamo l'obbligo di convincere gli africani a lavorare per il proprio Paese anche perché l'abbandono dell'Africa impoverisce tutto il mondo non soltanto delle sue immense estensioni, delle sue ricchezze, delle sue possibilità (la Cina sta già cercando di sostituirsi agli indigeni) ma di tanti sogni, tante speranze in un orizzonte diverso.
La visita del Papa a Lampedusa ha riportato in primo piano molti dei temi riguardanti l'immigrazione che da tanti anni si dibattono in Italia e in Europa inutilmente perché non si riesce a trovare uno spunto comune per dirigere gli sforzi verso un miglioramento della situazione. Una situazione che, superata la commozione delle parole e della preghiera recitata insieme al Papa, rimane angosciosa per la sua precarietà e per il desiderio di trovare per queste popolazioni che fuggono dal proprio Paese, delle soluzioni «vere», ossia funzionali ad una vita sociale e culturale in Africa simile a quella che cercano da noi. Questo è un punto determinante e del quale non si discute quasi per nulla perché non visibile al primo impatto con persone che arrivano alla spicciolata, affrontando il mare con mezzi fragili e pericolosi, abbandonando tutto quello che a noi sembra indispensabile anche a una persona «povera»: la propria terra, i propri confratelli, la propria lingua, i propri costumi religiosi e sociali, il proprio lavoro, la propria casa In realtà, però, queste sono tutte cose che noi, l'Europa e l'Occidente in generale, siamo riusciti ad ottenere con un lungo sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale, insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell'attività delle officine, dell'apprendimento scolastico e sanitario. È stata necessaria per prima cosa la convinzione e la salvaguardia di un «valore»: quello di ogni singola persona e di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno può violare. Senza questa base del «diritto» non reggerebbe nulla della nostra civiltà: la libertà politica, l'indipendenza della nazione, l'ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto quanto ne dipende. È questo il valore primario che attrae, anche se non saprebbero forse spiegarlo chiaramente neanche a se stessi, tutti coloro che si avventurano in mare per venire da noi. L' Io, il nostro essere prima di tutto «Io», come individuo, come persona di valore assoluto, è una certezza iscritta nel cuore di ogni uomo, da quando emette il primo vagito fino a quando muore, in ogni paese, in ogni epoca, in ogni cultura. Purtroppo in vaste zone dell'Africa esistono molti gruppi presso i quali questo valore non è stato elaborato chiaramente e messo alla base dell'organizzazione sociale ed è questo il compito fondamentale che dobbiamo svolgere in Africa, un compito per il quale noi abbiamo moltissimi strumenti già pronti, ma che lo Stato italiano non ha finora incoraggiato e utilizzato in maniera esplicita a questo scopo. Un facile esempio consiste nel fatto che il maschio in Africa lavora poco lasciando il lavoro della terra alle donne. Ma i maschi musulmani da noi lavorano senza troppe remore e il punto è che debbono convincersi che lo possono fare anche a casa loro perché il lavoro è un diritto, un onore, un «valore» ovunque. Insomma deve essere chiaro a tutti, ma prima di tutto ai nostri governanti, che se si vuole aiutare l'Africa, bisogna farlo insegnando ai suoi abitanti a organizzarsi nel proprio paese secondo il valore della «persona» e del «lavoro». L'immigrazione in Italia deve essere assolutamente esclusa , senza eccezioni di nessun genere, oltre che per gli evidenti motivi di ordine culturale, perché la popolazione si è triplicata nel giro di un secolo e la densità demografica mette seriamente a rischio una vita ordinata e civile. Ma noi abbiamo l'obbligo di convincere gli africani a lavorare per il proprio Paese anche perché l'abbandono dell'Africa impoverisce tutto il mondo non soltanto delle sue immense estensioni, delle sue ricchezze, delle sue possibilità (la Cina sta già cercando di sostituirsi agli indigeni) ma di tanti sogni, tante speranze in un orizzonte diverso.
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